Muling

[“Viaggi immaginari” è una serie di reportage da luoghi che non ho mai visto, scelti a caso sulla mappa del mondo. A farmi da guida l’antico gioco Hanafuda, che scandisce le stagioni dell’anno. Ogni mese le carte mi accompagnano nella scrittura di un racconto di viaggio e di un haiku.]

Febbraio
Hanafuda: Pruno / Usignolo
Luogo: Muling, Mudanjiang, Heilongjiang, Cina
Coordinate: 44°49’25.9″N, 130°35’12.8″E
(Latitudine 44.82385; longitudine 130.58689)
«Ho avuto la gastrite», dice una donna al telefono nella piazza deserta. Io la osservo dall’alto, seduto sul terrazzo. Accanto a me, per terra, la carcassa dell’albero di Natale. Una colomba si posa in cima alla betulla. Gli aeroplani, lassù, fanno due scie lunghissime; nel cuore del silenzio disegnano una X. Io resto immobile. Sul terrazzo. Con l’albero che mi guarda e sembra rimpiangere tempi migliori. Ma ci sono tempi migliori? Migliori di questo, voglio dire, migliori dell’istante in cui scrivo della donna, della gastrite, dell’albero, della colomba. Vorrei che qualcuno mi raccontasse tutto ciò come una fiaba, come una delle storie meravigliose che da bambino ascoltavo prima di dormire. Certe volte spero che qualcuno da qualche parte custodisca quelle fiabe, per dirmele a bassa voce quando sarò in punto di morte. Intanto la colomba è volata via. Una sirena suona da lontano. Sulla strada  passa un camion della nettezza urbana.
Queste immagini e questi suoni mi tornano in mente poco prima dell’alba, nei campi intorno a Taihecun (太和村). Sono nel nordest della Cina, vicino al confine con la Russia, e sto camminando in un vuoto di storie. La terra è nera e secca, il terreno brullo. Cade una pioggia insistente. A quest’ora non c’è nessuno in giro, né contadini né animali. Corro il rischio di perdermi. Per fortuna a poco più di un chilometro c’è Taihecun, con le sue strade polverose, i suoi cortili e le sue fattorie colorate. Ho l’impressione di essere in un luogo remoto, ma mi rendo conto che non è vero. La città di Muling (穆棱市), il capoluogo della regione, dista appena dieci chilometri e ha trecentomila abitanti. Andando verso nord in automobile, potrei raggiungere in due ore Jixi (鸡西市), che di abitanti ne ha circa due milioni. E allora perché questa sensazione di vuoto, sotto la pioggia, nel grigio che precede l’alba?
È perché non senti-ti-ti, non senti, mi risponde il canto di un uccello. Mi guardo intorno. Sono qui, qui, qui. Sopra un palo di legno si posa un uccellino. Ha il becco arancione e la gola gialla. Appena lo guardo lui riprende a cantare. La cosa strana è che, pur riconoscendo che si tratta di un insieme di trilli e gorgheggi, riesco a capirlo come se fossero parole. Sai cosa volevo dirti-ti-ti? Faccio segno di no. L’uccellino allora comincia a raccontare che in questa regione c’è un bellissimo giardino di pruni selvatici, protetto da quattro mura. Sono pruni speciali, perché possono fiorire anche in pieno inverno, anticipando la primavera. È sufficiente che un uomo saggio entri nel giardino e li guardi. Se li guarda uno stolto non succede niente. Al contrario, lo sguardo di un saggio suscita la primavera, facendo sbocciare mille fiori rosa del colore dell’alba nascente o delle guance di una fanciulla.
L’uccellino ha finito di raccontare. Si posa su un cespuglio, poco più in là. Sento che sta per volare via. Aspetta, vorrei dirgli. La storia non è finita. Dov’è il giardino? Quante persone hanno provato a far sbocciare i fiori? È già successo che un uomo saggio riuscisse a compiere il miracolo? Come se mi avesse letto nel pensiero, l’uccellino piega la testa. Quei fiori nessuno mai li sbocciò-ciò, nessuno mai. E perché? Forse non ci sono uomini saggi? Ma cosa dici-ci-ci? L’uccellino cinguetta che la primavera non è mai cominciata in anticipo. Infatti gli stolti guardano i pruni e non succede niente, mentre i saggi non li guardano mai prima del tempo. Perché se uno è saggio, sa che la primavera comincia quando comincia. Nel momento giusto. Né prima né dopo. I fiori sbocciano quando devono sbocciare. Proprio così-sì-sì.

HAIKU

Sulla betulla
si posa una colomba –
È quasi marzo.

 

PS: Trovate qui il primo viaggio immaginario e un’introduzione a tutta la serie.

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18 pensieri su “Muling

  1. Come vorrei incontrare anch’io in questi giorni il tuo uccellino! Chissà che non si aggiri anche lui nelle strade di Bellinzona in questi giorni di sole… speriamo che il carnevale non lo spaventi!!

  2. Meraviglioso! 😍 È come se fossi davvero lì, nella campagna piovigginosa, in Cina, e io con te. La prima parte è molto forte, davvero, scrittura nitida, precisa, profonda. Anche terribile. Poi la seconda parte è molto tenera, un soffio di speranza…

  3. Caro Fazioli,
    mi piaceva la serie sua e di Bernasconi sulla piazza di Zurigo e mi piace anche questa. Però ho l’impressione che con l’andar del Tempo sia difficile recuperare tutti i testi sulla Rete. A quando una pubblicazione cartacea? Cordiali saluti.

    1. Gentile signor Lauro,
      la ringrazio per le sue parole. I testi si trovano ancora tutti disponibili online, ma capisco che il piacere di stringere fra le mani un libro sia un’altra cosa. Vedremo. Intanto, mi aspettano ancora dieci viaggi immaginari da portare a termine…

  4. Curioso!, cerco spesso un collegamento tra la costruzione letteraria e la piccola realtà vissuta personalmente, e… il “pruno speciale” mi ricorda un detto degli anziani delle mie parti. Si diceva che per curare il gelo invernale ai polpastrelli bastava metterci delle foglie di vite! Certo, perché le foglie di vite si aprono a primavera inoltrata quando il gelo alle dita è ormai andato.

  5. Gli Haiku NON si scrivono sulla base di “viaggi immaginari”, la logica di base e la peculiarità prima di questa straordinaria impone il fatto che lo haiku debba partire da un “quì e ora” reale, concreto e soprattutto VISSUTO.
    Fantasia e immaginazione appartengono ad altri mondi, non al mondo Haiku.

    1. Gentile Tommaso,
      conosco bene la tradizione letteraria legata agli haiku, soprattutto nella loro manifestazione originaria giapponese. Sono quindi d’accordo con lei. Come spiegavo nella puntata di gennaio di “Viaggi immaginari”, l’haiku è il racconto di una fulminea epifania, di un istante quotidiano colto in un frammento. Perciò l’haiku è “concreto” e “vissuto” (o almeno si presenta come tale). In effetti, se ha letto gli haiku di gennaio e febbraio, avrà notato che cerco di rispettare questi vincoli: gli haiku non sono direttamente ispirati al viaggio e alla divagazione fantastica, ma piuttosto alla situazione di partenza da cui scaturisce il viaggio. Prenda quello di questo mese, per esempio. La betulla e la colomba, in quell’istante di quasi primavera, sono legati a una mia esperienza concreta. La funzione dell’haiku è proprio quella di fare da suggello, dopo il “viaggio immaginario”, condensando l’atmosfera del mese in un lampo, in un gesto, in una minuta osservazione, come per segnare il ritorno a casa.
      (Ciò detto, credo che in poesia non esistano i NON tutti maiuscoli. Come le ho spiegato, io uso gli haiku nella maniera tradizionale; ma credo che ognuno sia libero di partire dal genere per contaminarlo con altri generi, per tentare altre vie, altri esperimenti di vita e letteratura. Data una regola, un’impostazione formale, esiste sempre per fortuna la possibilità non rispettarla…)

  6. Gentile Andrea,
    E’ proprio perché dichiara di conoscere “la tradizione letteraria legata agli haiku” che quello che scrive lascia alquanto perplessi.
    Intanto se si definiscono haiku devono essere haiku. Non “haiga” (con un’immagine), non “haibun” (con uno scritto dedicato a contorno), ecc, ecc.
    Se lei scrive di questi suoi “viaggi immaginari”, di fatto “indirizza” il lettore in una precisa direzione, il che rende più facile per lei far arrivare il lettore dove lei vuole, ma snatura comunque lo spirito dello haiku (soprattutto se non è un “haibun” vissuto) ma soltanto un prodotto della sua fantasia.

    Se leggiamo infatti questo suo componimento senza “fronzoli”:

    Sulla betulla
    si posa una colomba –
    È quasi marzo.

    rimane qualcosa di estremamente “descrittivo”, direi di “esclusivamente” descrittivo, che non da molto al lettore e non si discosta da una descrittività “fine a se stessa”, non raggiunge cioè la bellezza e la peculiarità di questa straordinaria poetica.

    E’ terribile poi la sua teorizzazione sul “partire dal genere per contaminarlo con altri generi”, davvero terribile.
    Coloro che provano a snaturare lo haiku lo fanno spesso perché non riescono ad arrivare a quell’essenza con qualcosa di davvero bello e significativo.
    Cosa fanno allora? O scrivono “cose” fermandosi ad un’asettica “descrittività” o provano a stravolgerlo e contaminarlo perché così è più facile.

    Scrivere haiku (quelli veri e profondi) non è per niente facile, direi che è molto molto difficile.
    Le suggerisco pertanto di provarci.
    Provi (se riesce) a scrivere uno haiku (tre righe) senza tutto il resto, forse arriverà più vicino allo “spirito” dello haiku che qui (ahimè) manca decisamente.

    1. Gentile Tommaso,
      mi pare che la sua visione sia un po’ rigida.

      Sulla betulla
      si posa una colomba –
      È quasi marzo.

      Questo breve componimento, secondo me, rispetta la tradizione dell’haiku. Magari in autunno potrei scrivere così:

      Su un ramo secco
      d’autunno al crepuscolo
      si posa un corvo.

      Ma questo non è mio, bensì di Bashô (1644-1694), uno dei massimi autori di haiku. Allo stesso Bashô, fra l’altro, capitò di scrivere haiku insieme ad altri testi, nel corso dei suoi viaggi. Non voglio paragonare i miei haiku a quelli di nessuno, ma semplicemente osservare che in ambito artistico non conviene essere troppo dogmatici: ritengo che un autore possa fare l’uso che preferisce di un genere letterario. L’haiku tradizionale giapponese è una cosa, quello tradotto in italiano è un’altra (già solo per il diverso valore delle sillabe). Alcuni fra i più grandi poeti italiani hanno scritto haiku, ognuno a modo suo, magari partendo dal genere per compiere proprie sperimentazioni poetiche. Io nel mio piccolo mi diverto, dopo aver compiuto un viaggio immaginario, a tornare a casa con un haiku. Se chiamo haiku uno haiga o uno haibun, be’, le chiedo scusa per la semplificazione, ma credo che la parola haiku sia di più immediata comprensione, essendo entrata nell’uso anche in italiano. Se fossi a un convegno di studiosi di letteratura giapponese, cercherei di essere più preciso.
      Per concludere questo dibattito su vincoli e libertà formali: all’inizio del percorso mi sono dato una regola (che ho spiegato nella prima puntata della serie) e a quella mi mantengo fedele. Come scrive Georges Perec, parlando di jazz, «la costrizione non impedisce la libertà, la libertà non è ciò che non è costrizione; al contrario, la costrizione è ciò che permette la libertà, la libertà è ciò che nasce dalla costrizione». Perciò continuerò i miei “viaggi immaginari” seguendo i vincoli che mi sono fissato; e spero che, nonostante le nostre divergenze terminologiche, i racconti possano risultare di suo gradimento.

      1. Aggiungo una postilla.
        Il signor Tommaso ha di nuovo risposto alle mie considerazioni, manifestando arroganza e usando un tono che supera i limiti del rispetto e della cordialità. Ho dovuto quindi cancellare la sua risposta. Questo blog non è un social network, dove ognuno può spargere livore. Com’è giusto, garantisco una massima libertà di espressione: ognuno può dire la sua, nel bene e nel male. Ma senza toni offensivi. Se lo stesso signor Tommaso volesse scrivere di nuovo, sarò lieto di leggere i suoi commenti e di rispondere; tuttavia, non intendo accettare insulti e comportamenti maleducati. Mi scuso con le lettrici e con i lettori per il disturbo.

        1. Nuova postilla.
          Ho rimosso anche il commento di Sabrina B., che usava toni aggressivi e poco rispettosi nei confronti del signor Tommaso. Prego tutte le lettrici e i lettori di mantenere un contegno civile. Vorrei che questo blog fosse un luogo d’incontro e confronto, non un terreno di scontro.
          Questo sarà il mio ultimo avviso sull’argomento; da ora in poi mi limiterò a eliminare i commenti offensivi.

    2. Se posso dire la mia, un eccesso di formalismo frena la creatività. Ogni arte ha delle regole e ogni arte ogni tanto gioca a metterle in discussione. A me gli haiku di questa serie, piacciono molto (soprattutto quello di marzo sul ciliegio!). Non conosco il giapponese, però ho studiato e insegno letteratura. Senza accanimenti filologici, mi pare che il nome “haiku” sia appropriato per questi lampi che concludono i viaggi immaginari. Capisco anche il signor Tommaso e rispetto il suo amore per la precisione; tuttavia credo che si addica meglio a un consesso di specialisti che a un esperimento creativo come quello di cui si tratta qui.

  7. Tanto per rispondere anche a Christian:

    Il suo commento fa chiaramente capire che lei non ha capito molto del mondo haiku.
    La creatività non viene affatto frenata, per chi sa cos’è il mondo haiku.
    Al contrario, tutte le scorciatoie che vanno a stravolgere e snaturare la logica e la peculiarità di base di questa poetica, non sono altro che un tentativo di impoverire qualcosa di bello inquinandolo con qualcosa che non c’entra niente.

    Il componimento che ha citato lei, per esempio (e che le piace molto), quello del ciliegio, a parte il fatto che non contiene il “kigo” (in questo caso poi, è il problema minore), non può nemmeno essere definito haiku perché non rispetta nemmeno la più importante delle caratteristiche dello haiku (che non è il kigo o la struttura in 5/7/5). Tale componimento, infatti, ha la logica di un pensiero (filosofico, introspettivo, ecc, scelga lei) ma non di uno haiku e non può essere ne considerato ne definito haiku.

    Lasci perdere gli “esperimenti creativi” (nel mondo haiku), Christian, e rilegga anche lei le logiche e le peculiarità del mondo haiku, dopo capirà certamente meglio lo spirito di questa straordinaria poetica.

    1. Signor Tommaso, le rispondo con un haiku introspettivo di Onitsura che mi piace molto (l’ho trovato sul libro di Bonnefoy citato da Fazioli in gennaio).

      La mia anima si tuffa nell’acqua / e ne riemerge / con il cormorano.

      Buon pomeriggio e non si faccia cattivo sangue!

    2. A mio modo di vedere questi commenti puristi sugli haiku sono fuori luogo. Certo, esiste una definizione precisa del genere. Ma grandi poeti del Novecento, da Saba al citato Bonnefoy, hanno usato lo spirito dell’haiku senza essere formalisti. Perché tanta acredine? In fondo si tratta di giocare con le parole. Poi, secondo il mio modesto parere, quelli di Fazioli sono haiku rispettosi del genere, buoni o cattivi che siano: le sillabe sono giuste, contengono il kigo (@Tommaso: il ciliegio funge da kigo) e sono leggibili indipendentemente dal testo. Quello sulla colomba non è puramente descrittivo: in quel gesto, in quel preciso momento, l’autore si dice che è quasi marzo, come se la stagione si condensasse in quella colomba. Insomma, non voglio difendere a ogni costo l’autore di questo blog (qualche haiku è più riuscito di altri, questo lo credo anch’io), ma non esagererei con questa puntigliosità che non porta da nessuna parte.

  8. Tommaso ha ragione. Per la precisione, trovo però che il Sig, Fazioli, Haiku o meno, abbia un modo di scrivere che ha il potere trasportarmi altrove. E questo mi basta.

    1. Sono d’accordo! Tommaso ha ragione su certe cose, su altre si sbaglia, ma sono d’accordo sul potere di questa serie di trasportarci altrove!

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