Ratafià

La settimana scorsa ero a Berna per un evento organizzato dal DFAE, il Dipartimento degli affari esteri della Confederazione svizzera. Ho letto qualche pagina dal romanzo L’arte del fallimento, dialogando con la musica di Zeno Gabaglio. È stato un momento speciale, per l’atmosfera avvolgente del luogo (l’Ono, un locale del centro) e per la grande attenzione del pubblico. Alla fine mi hanno rivolto numerose domande, anche a proposito del linguaggio e di alcuni aspetti tecnici della scrittura. Non voglio però parlarvi dell’evento pubblico, quanto di una piccola disavventura privata.
img_7515Alloggiavo in un albergo che ha come insegna una chiave d’oro. Naturalmente, la chiave è soltanto un simbolo: tutte le porte (stanze e ingresso principale) si aprono con una tessera magnetica. L’albergo non ha un portiere notturno e perciò, quando sono rientrato poco dopo mezzanotte, ho usato la mia tessera per passare dal portone principale e per azionare l’ascensore. Quando però l’ho accostata alla serratura della mia stanza, non c’è stata nessuna reazione. Ho provato, riprovato, rigirato la tessera in ogni modo. La porta era inesorabilmente chiusa. Ho perlustrato l’albergo – che era deserto – alla ricerca di indicazioni, numeri di telefono da chiamare, qualsiasi cosa. Niente.
img_7514Una muraglia invalicabile si ergeva tra me e il sonno, tra me e i miei effetti personali, i miei libri, i miei vestiti, i miei documenti, il mio spazzolino, il mio computer… Non mi restavano che la giacca, il telefono e quelle poche cose che tengo nelle tasche. Più la tessera, naturalmente. E una copia del mio romanzo: sebbene il titolo fosse in un certo senso adatto alla circostanza, era forse l’oggetto più inutile in quella versione bernese di un naufragio su un’isola deserta.
Ho aspettato un quarto d’ora, poi ho tentato di nuovo. Ho lisciato la tessera, ci ho soffiato sopra, l’ho accarezzata, l’ho supplicata. Tutto inutile. Allora mi sono arreso e ho chiamato Zeno Gabaglio, che mi ha accolto nella sua stanza (dove per fortuna c’erano due letti).
img_7517Il mattino dopo mi hanno spiegato che la serratura era guasta. Ma perché ve ne parlo? Perché l’esperienza di essere tagliato fuori mi ha fatto riflettere su quanto la nostra vita privata sia spesso inaccessibile o incomprensibile anche a noi stessi. Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere dal punto di vista materiale; ma in senso filosofico, lo ammetto, mi succede spesso di sentirmi escluso dalla mia stessa esistenza. A volte ho l’impressione di osservarmi dall’esterno, senza riuscire a comprendere il nesso profondo che unisce le azioni di una giornata.
Forse il blog serve anche a questo. È un taccuino d’appunti in formato digitale, che mi permette di annotare qualche idea colta al volo. Lo scrivo quasi sempre in fretta, senza soffermarmi troppo a rileggere: è un modo per riflettere sul mio lavoro e per mantenere un contatto con i lettori. L’ho aperto un anno fa, su suggerimento della mia casa editrice e di qualche amico. Per divulgare i contenuti del blog, ho cominciato anche a usare (con parsimonia) il mio account su Facebook. Con il tempo, sempre più lettrici e lettori si sono iscritti alla lista di chi riceve gli aggiornamenti via mail. Inoltre, molti mi comunicano le loro impressioni: alcuni mi scrivono in privato, altri lasciano un pensiero qui oppure un commento su Facebook. E io, settimana dopo settimana, mi sono abituato a condividere questa piccola stanza virtuale, dove per fortuna si può entrare senza bisogno di tessere né di chiavi d’oro.
Per festeggiare il primo anniversario del blog, ho pensato di riproporvi qualche articolo. Ecco per esempio quelli con cui ho cominciato il 29 ottobre 2015 (due nello stesso giorno!).

1) Alla ricerca della noia

2) In a sentimental mood

Ho chiesto poi al gestore del sito di segnalarmi i tre articoli più letti (cioè quelli che fino a oggi hanno collezionato più “visualizzazioni”).

1) Working poor

2) La stanza chiusa

3) “Chi va a Parigi, va a casa”

Ecco infine cinque articoli che trovo significativi, per una ragione o per l’altra:

1) Il citofono di Cremona, dove ricordo la figura del mio bisnonno Benvenuto Fazioli.

2) Il gusto della birra, dove mi siedo al tavolino di un bar in compagnia del commissario Maigret.

3) “Every style is the result of a handicap”, dove parlo dei miei tentativi con il sax.

4) Kids are pretty people, dove rifletto sulla scuola e l’educazione.

5) La luna sottoterra, dove racconto di quando mi sono travestito da mezzaluna per carnevale.

Qualcuno mi consiglia di pubblicare con maggiore frequenza (ma anche volendo, non riuscirei; inoltre vorrei preservare i lettori che si sono iscritti agli aggiornamenti: un messaggio alla settimana mi sembra più che sufficiente). Altri invece mi hanno suggerito di diradare gli articoli, perché a questo ritmo non hanno il tempo di leggerli (ci penserò). Altri ancora mi chiedono di proporre articoli più brevi: in effetti, mi sono accorto che rispetto a qualche mese fa sono diventato più prolisso (cercherò di limitarmi).
Ma che compleanno sarebbe senza stappare una bottiglia? Per l’occasione, chiederei a Paolo Conte di versarci un po’ del suo Ratafià. Si tratta di una canzone del 1987 (nell’album Aguaplano), in cui c’è un verso che dice così: Il cinema è un gaucho seduto al caffè.
È una frase che mi sembra ricca d’ispirazione. Mi piacerebbe che in questo blog ci fosse proprio quell’atmosfera di avventurosa contemplazione della vita: l’inquietudine del gaucho, la quotidianità del caffè, la meraviglia del cinema.
Che altro dire?
Beviamo questo ratafià, e non perdiamoci di vista.

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