Immaginate di avere quindici anni, nel milleottocentonovanta. È un giorno di primavera, ma dalla pianura vengono ondate di caldo che annunciano l’estate. Il sole, a picco sopra la stazione, taglia ombre nette, precise, come disegnate da un geometra. Indossate il vostro abito più bello: i calzoni che furono di un vostro fratello maggiore, la giacchetta di fustagno già appartenuta a tre o quattro fratelli e un berretto con la visiera che avete preso a vostro padre. Di certo non si offenderà. E comunque, presto tutto sarà lontano: il sole, la stazione, quel cielo immenso e l’odore dei campi ai bordi della città.
La lontananza. È qualcosa che vi spaventa? O che al contrario vi dà un brivido di piacere? Lasciarsi alle spalle tutto e prendere il treno verso nord. Attraversare le Alpi. Arrivare in una città straniera, grande almeno tre volte Cremona, piena di gente sconosciuta. Ma vi hanno detto che a Zurigo abitano migliaia di italiani: qualcuno con cui parlare lo troverete. Fra poco arriva il treno. Portate la valigia nel fabbricato passeggeri. Intorno a voi, tutto è famigliare: un agrario con il panciotto, un prete che legge il “Messaggere”, una madre che trascina due bambini. Sapete il nome e il cognome del capostazione, avete frequentato i suoi figli. Presto invece, dentro quell’altra stazione su a nord, sarà tutto nuovo.
Dev’essere andata più o meno così quando il mio bisnonno, Benvenuto Fazioli, partì da Cremona e se ne andò in Svizzera. Prima lavorò a Zurigo, poi nel Canton Ticino. Conobbe una donna ticinese e, dopo anni, tornò a Cremona a prendere i documenti necessari per il matrimonio. Appena scese dal treno, sulla piazza della stazione, un uomo si avvicinò, e cominciò a sbirciarlo, poi a osservarlo sempre più da vicino. Infine osò rivolgergli la parola. «Ma tu… ma sei Benvenuto?» Il mio bisnonno fece segno di sì, e l’altro esclamò: «Sono tuo zio!»
La lontananza. Quella degli emigranti che partivano per davvero, prima dei telefoni (figuriamoci skype e i social network), quella di un ragazzo amante dell’avventura che balza su un treno e si lascia indietro la sua infanzia. Ma anche la mia lontananza, nel tempo e nello spazio.
Qualche giorno fa sono tornato a Cremona, per la prima volta da quando ero bambino. Ho presentato L’arte del fallimento all’Osteria del Fico, con lo scrittore Marco Ghizzoni e il libraio Mario Feraboli. La serata è stata speciale per l’ottima accoglienza, per le parole e i pensieri di Marco e Mario, per qualche incontro prezioso. Dopo il momento ufficiale, ho avuto l’occasione – fumando la pipa e facendo due chiacchiere davanti a un bicchiere di grappa – di fare un tuffo nella piccola cronaca cremonese, con le sue storie e i suoi personaggi. Il mattino successivo mi è capitato poi di bere un caffè con un lettore fedele che, al contrario di Benvenuto, dalla Svizzera è emigrato a Cremona.
Di solito a questi incontri vado solo, o qualche volta con mia moglie. Stavolta invece ero con mio padre: quando ha saputo che avrei presentato il libro a Cremona, ha voluto accompagnarmi. Un normale viaggio di lavoro si è trasformato così in una ricognizione memoriale: un padre e un figlio sulle tracce del passato, in una sorta di piccola ricerca del tempo perduto in chiave elvetico-lombarda…
Mio padre ha passato lunghi periodi della sua infanzia a Cremona, ma pure io ho qualche ricordo. Si può appartenere a un luogo che non si conosce? Mi vengono in mente i versi di una poesia: anch’io, senza saperlo, sono figlio / di questa terra. Quello che ho sentito è un nodo passeggero che è nostalgia, / ma di seconda mano. Ha contribuito il cielo della Bassa, che al momento del nostro arrivo si è incendiato di rosso dietro una cortina grigia, lasciando intravedere cattedrali di nuvole dorate. Più tardi, la prima esplorazione del centro: con i dettagli avvolti nell’oscurità, le case e i muri avrebbero potuto essere gli stessi di venti o di cinquanta anni prima. Era soltanto un’impressione, certo, ma quella sospensione temporale mi ha aiutato a entrare nel paesaggio.
Abbiamo rivisto i parenti di Cremona. Con l’aiuto dei ricordi e delle fotografie (e di un buon bicchiere di Franciacorta), abbiamo riannodato fili e richiamato alla mente persone scomparse. Scomparse? Forse semplicemente emigrate, anche loro come Benvenuto, forse più vicine di quanto immaginiamo. Presto o tardi, sul piazzale di qualche stazione più che remota, ci capiterà di rivederli. Chissà se li riconosceremo subito?
Il passato a volte gioca a essere presente. In via dei Mille c’è un cortile che avevo visto da bambino; i parenti che abitavano lì sono morti da anni, ma la casa è sempre uguale. Non solo: avvicinandomi alla porta, ho scoperto che resiste ancora il vecchio citofono, ormai un po’ arrugginito, con il cognome “Fazioli” ben visibile. È assurdo, lo so. Non c’è nessuna logica. Ma vi confesso che ho avuto la tentazione di suonare. E se mi avesse risposto una voce dal passato? Se il citofono fosse una sorta di macchina del tempo? Se in quel punto – nel banale portone di una cittadina tranquilla dove sembra sempre domenica – si nascondesse una misteriosa via d’accesso alla realtà invisibile?
Ecco, lo sapevo. Anche nei percorsi memoriali, la mia parte romanzesca mi prende sempre la mano. Che ci volete fare? È una deformazione professionale…
(Però quel campanello, quando passo di nuovo da Cremona, proverò a suonarlo. Non si sa mai).
PS: I versi citati sono presi da “Conosci il mare”, di Yari Bernasconi. L’autore parla di un ritorno, con il mare e il sale che corrode, / che scava nelle piccole esistenze. La lirica si trova nella raccolta Nuovi giorni di polvere (Casagrande 2015). Potete leggere qui il testo completo.
C’ero anch’io, come si usa dire. E dunque non posso che confermare quanto i segni fisici aiutino talvolta a ritrovare scaglie di memoria. In questo caso il filo risale quattro generazioni, fino a quel ragazzo quindicenne che nel 1890 salì sul treno a Cremona per andare in Svizzera a cercar lavoro…Là trovò una morosa ticinese, la sposò, divenne cittadino di Bellinzona, ed eccoci qui. Uno risale i rami dell’albero genealogico di famiglia e si ritrova in riva al Po, dentro la grazia di una bellissima cittadina lombarda che confina con la terra emiliana.
Bellissimo resoconto di viaggio (anche commovente). Viene voglia di andare a Cremona!!! E mi è piaciuta molto anche la poesia di Bernasconi. Il libro si trova in giro?
Grazie per il commento, Laura. Il libro di Yari Bernasconi s’intitola “Nuovi giorni di polvere”; è stato pubblicato da Casagrande nel 2015 e si trova in tutte le librerie (se non c’è, basta ordinarlo).
Ma perché non hai suonato il campanello, dio bono ?