Tappeti volanti

Di recente mi hanno chiesto di tenere un laboratorio sulla scrittura di viaggio. Ho passato quindi in rassegna vari mezzi di trasporto. Automobile, treno, nave, bicicletta, cavallo… il più elegante resta l’unico perfettamente naturale, cioè camminare. A chi non l’avesse mai fatto, vorrei però suggerire di provare anche il tappeto volante.
È un mezzo pulito, non inquina, potrebbe essere una soluzione efficace al problema del traffico. L’unico problema è come procurarsene uno: i tappeti volanti non s’incontrano sempre dove ci si aspetta di trovarli. Nel canone delle Mille e una notte, per esempio, ne appaiono pochissimi. Ne ho scovato uno nella traduzione in francese di Galland, ripresa in italiano nel 1852 da Antonio Falconetti: Pagato adunque il custode del khan, […] entrò, chiudendosi dietro l’uscio e lasciandovi entro la chiave, e disteso il suo tappeto, vi sedé coll’officiale seco lui condotto. Allora, raccolto in sé stesso, e concepito seriamente il desiderio di venir trasferito nel luogo dove i principi suoi fratelli dovevano recarsi al par di lui, si avvide in breve d’esservi giunto; fermatosi colà, e spacciandosi per un semplice mercante, stette ad aspettarli.
Il tappeto volante richiede immaginazione. La fiaba che ho citato – Il principe Ahmed e la fata Pari-Banu – non fa parte del corpus originale della raccolta, ma riassume bene la tecnica di decollo: bisogna concepire il desiderio di essere in un luogo, raffigurandolo nell’anima prima di vederlo con gli occhi. Un altro tappeto celebre appare nella fiaba Aladino e la lampada magica. In realtà, nemmeno questa appartiene al nucleo più antico delle Mille e una notte; inoltre, nella sua prima versione, non menziona nessun tappeto volante. Il tappeto sarebbe un’aggiunta più tarda, nata da contaminazioni con la tradizione russa e approdata venticinque anni fa in un film della Walt Disney: Aladdin (1992), diretto da Ron Clements e John Musker. A quanto pare, la Disney vorrebbe festeggiare l’anniversario girando un remake, con attori diretti da Guy Ritchie, ma la produzione starebbe incontrando difficoltà, forse per la paura di misurarsi con un film che ha segnato un’epoca del cinema di animazione. In effetti, sembra difficile trovare un interprete per il tappeto volante, che è un vero e proprio personaggio dinamico: parla, combatte, gioca perfino a biliardo o a scacchi (e lo fa con grande talento).

Non è certo Aladdin il primo film a mostrare un tappeto volante. Uno dei più belli, sempre ispirato alle Mille e una notte, venne girato nel 1924 da Raoul Walsh con il titolo The thief of Bagdad (Il ladro di Bagdad). Me lo sono procurato in dvd e una sera, dopo cena, ho proposto ai miei commensali: che ne dite di guardare un’avventura esotica? (Ho astutamente taciuto che si trattava di un film muto, in bianco e nero, lungo 155 minuti.) In realtà, la storia è avvincente. Il film, con Douglas Fairbanks nei panni del protagonista, ha il pregio di avere una forza visionaria che si esprime nelle grandiose scenografie e negli effetti speciali. Anzi, The thief of Bagdad è la prova che gli effetti speciali, se sono sorretti da un’intuizione poetica, restano efficaci anche quando la tecnologia si rinnova.

Del resto, il tappeto volante è uno dei primi effetti speciali della storia. A prescindere dalle necessità narrative, è interessante indagarne il meccanismo: perché il tappeto vola? In un saggio sull’argomento, la scrittrice Cristina Campo spiega che nella lingua araba classica una radice comune lega tappeto e farfalla. Poi aggiunge: Il tessere e l’annodare alludono di per sé alle vicende ordite per gli uomini da invisibili mani. In questo senso, il tappeto da preghiera della tradizione islamica (ma non solo), dà un valore mistico all’azione di volare. La preghiera è un mezzo per accedere a un altrove, a partire dal qui e ora del tessuto annodato e decorato. Il tappeto – questa piccola, ironica terra che può volare – è uno spazio privilegiato che consente un’esperienza mistica: infatti per descrivere la decorazione i Persiani usavano la parola zemân, cioè il tempo. I motivi ornamentali si stagliano sullo sfondo (zemîn); secondo la tradizione, gli stessi motivi e lo sfondo si uniscono in un intreccio spazio-temporale (zemîn u zemân) che consente l’unione mistica tra finito e infinito.
Il tappeto veniva usato anche per il viaggio in assoluto più avventuroso: quello che accompagna le anime verso l’aldilà. Nel 1947 gli archeologi sovietici Sergej Rudenko e Mikhail Griaznov stavano esaminando una tomba scita nella valle siberiana di Pazyryk, sui monti Altaj, a 1650 metri sul livello del mare. I due studiosi scoprirono che il tumulo ospitava le spoglie di un capotribù. I saccheggiatori avevano rubato arredi e oggetti preziosi, ma non si erano accorti di un tappeto fissato nel permafrost, insieme ai resti di alcuni cavalli (gli Sciti avevano l’abitudine di seppellire sette cavalli per ogni capo morto). Anzi, paradossalmente proprio il saccheggio, aprendo il sepolcro al deflusso delle piogge, aveva assicurato la conservazione del tappeto. Il prezioso manufatto, conosciuto come “tappeto di Pazyryk”, è databile al quinto secolo avanti Cristo. Fatto di lana su trama di lana e pelo di cammello, è il più antico tappeto a noi pervenuto: misura 200×182 centimetri ed è composto da circa 360mila nodi. Nonostante sia stato trovato a migliaia di chilometri dalla Persia, secondo gli studiosi è di origine persiana (della dinastia alchemide). Oltre a una fila di alci, sul bordo esterno si nota una processione di cavalli e cavalieri: probabilmente il corteo funebre alla morte del capo. Il tappeto venne deposto nella tomba perché il guerriero scita lo potesse usare per raggiungere la sua ultima dimora. Non si sa se sia servito allo scopo oppure no; comunque sia, oggi è esposto al museo dell’Hermitage a San Pietroburgo.
Il tappeto volante è promessa di lontananza, intreccio di fili che raccontano storie, ordito misterioso, spazio circoscritto in cui liberare la fantasia. Nello stesso tempo, è un oggetto apparentemente domestico e usuale. Seguendo questo paradosso, per costruire o usare un tappeto volante non c’è bisogno di stoffa o peli di cammello. Basta affidarsi alla forza evocativa delle parole, della musica, dell’arte, di tutto ciò che ci aiuta, nello stesso tempo, a calarci nelle profondità di noi stessi e a esplorare orizzonti sconosciuti.

PS: A chi volesse leggere in italiano Le mille e una notte consiglio la traduzione a cura di Francesco Gabrieli, pubblicata per la prima volta nel 1948 e riedita da Einaudi nel 2017 nella collana “I millenni”. La fiaba Il principe Ahmed e la fata Pari-Banu non è presente; in compenso, nell’appendice, si trova la Storia di Aladino e della lampada magica (ma senza tappeti volanti). Il saggio di Cristina Campo è contenuto nel volume Il flauto e il tappeto (Rusconi 1971); oggi si può trovare nella raccolta Gli imperdonabili (Adelphi 1987; 2008).

PPS:  A parte le immagini cinematografiche e la fotografia del “tappeto di Pazyryk” (che viene dal sito dell’Hermitage), gli altri tappeti di questo articolo sono tratti dal catalogo pubblicato in occasione della mostra Tappeti volanti, che si è svolta all’Accademia di Francia a Roma (Villa Medici) dal 29 maggio al 21 ottobre 2012, a cura di Philippe-Alain Michaud. Responsabile editoriale del catalogo è Cecilia Trombadori; i testi sono di Eric de Chassey, Olivier Michelon, Philippe-Alain Michaud e Maximilien Durand, tradotti da Alfonso Cariolato e Giada Daveri per le edizioni Drago. Per chi volesse saperne di più sui tappeti persiani, un’opera di riferimento storica è questa: Joseph Karabacek, Die persische Nadelmalerei Susandschird. Ein Beitrag zur Entwicklungs-Geschichte der Tapisserie de Haute Lisse, (Seemann, Lipsia 1881; esiste una versione in inglese, credo, ma purtroppo non in italiano).

PPPS: Ho usato alcune parti di questo articolo per scrivere un brevissimo saggio sui tappeti volanti nel cinema. Il testo si trova nella rivista Cinemany (dicembre 2017).

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8 pensieri su “Tappeti volanti

  1. Come dimenticare il sogno di trovare un principe che venisse a prendermi con un tappeto volante :-)) mitico film Disney!!

  2. Questo articolo mi ha colpito tantissimo. Non avevo mai pensato ai tappeti volante come figura dell’immaginazione e della mistica. Complimenti per lo stile limpido e per la precisione con cui affronta l’argomento. La conoscevo come romanziere, ma non come studioso di letteratura araba e persiana… questo blog è una piccola sorpresa!

    1. Grazie, Federico. Direi che mi accontento di essere un romanziere. Più che uno studioso, sono un semplice curioso, affascinato dalla letteratura e dalla cultura araba. Inoltre, sono un collezionista di tappeti volanti…

  3. Mi è venuto in mente un augurio per “La scuola che verrà” e per HarmoS: con qualche tappeto volante in più e tanti test in meno ne avrebbe da guadagnare il Paese, con tutti i suoi abitanti, d’ogni colore, provenienza e fede.
    Grazie Andrea.

  4. Avevo 14 anni quando mia madre mi trovò un posto di apprendistato presso un negozio di tappeti nel centro di Lugano.
    Ricordo bene il mio primo giorno di lavoro, fu come entrare in un altro mondo, fatto di mille colori, lane che brillavano e centinaia di disegni a me sconosciuti.
    Con i primi pochi soldi guadagnati mi comprai, in un mercatino, i miei primi libri e cominciai a studiare, quasi ossessionato da quest’arte cosi misteriosa.
    Furono proprio il tappeto e la sua infinita storia che cambiarono la mia vita!
    Nel 1991 ho aperto il negozio STORICA, nel centro di Lugano.
    A 34 anni ero già considerato un “guru” in tappetologia, ma, ahimè, ero consapevole che ero solo agli inizi, ricordando le parole del grande maestro Latif Kerimov che disse in un congresso: “Ho studiato per tutta la mia vita la storia del tappeto, ed ora, finalmente, posso dirvi che io, di tappeti, non capisco proprio niente!”
    Avevo già viaggiato sia in Iran che in Turchia, ma volevo vedere di persona quello che era considerato il tappeto più antico del mondo; partii per San Pietroburgo e mi recai immediatamente al museo dell’Hermitage, un museo infinito. Finalmente, dopo ben quattro ore di ricerca, mi fu indicato il salone dove il tappeto di Pazyriyk era esposto, ma purtroppo la stanza era poco illuminata, se non quasi buia. Il tappeto era in fondo alla stanza, in una bacheca che non era mai stata probabilmente pulita. Per fortuna trovai un punto meno sporco e lo potei osservare attentamente, fissandolo e scrutandolo per quasi mezz’ora, ora è impresso nella mia mente.
    Il tappeto volante mi ha accompagnato per tutta la vita.
    Nel 1992 ero a New York, ed ero stato invitato a cena al ristorante che si trovava al 107° piano di una delle due torri gemelle World Trade Center (…). Uscii per andare in bagno e, nell’atrio dinanzi all’entrata del ristorante, che cosa vidi? UN TAPPETO.
    Era collocato sotto la piccola scrivania del receptionist, un certo Bob, un gigante di colore con un grande sorriso. Mi avvicinai e gli chiesi dove aveva preso quel tappeto e se me lo vendeva. Si trattava di un tappeto Kazak Fachralo, caucasico antico ma ormai molto malandato e con un evidente buco. L’omone mi guardò con faccia stupita e poi mi disse: “Ok, te lo vendo, ma quanto mi dai?” Io dissi 200$, lui: “300$ e te lo porti via”.
    Dopo una certa trattativa lo comprai per 220$. Dopo averlo pagato gli chiesi dove lo aveva preso e lui, con il suo grande sorriso e i soldi stretti nella mano, mi disse: “L’ho trovato nel container della spazzatura qui sotto, qui c’è il marmo per terra ed io che sto ore qui seduto avevo sempre freddo ai piedi”. “Beh ora dovrai trovarne un altro, se no prenderai freddo, amico mio,” gli risposi. Lui mi guardò con l’espressione di uno che stava pensando: “Te lo avrei dato anche per 100$”, io lo guardai pensando: “Beh, io te ne avrei dati anche 300$”.
    Sono passati 25 anni ed ho ancora questo tappeto nella mia collezione, ogni tappeto ha una storia, è VOLATO da una parte all’altra del mondo; questo tappeto parte dal Caucaso per arrivare negli USA, probabilmente portato da un immigrato che lo ha venduto per mantenersi, dopo averlo usato e consumato, l’acquirente lo ha gettato via, ma l’omone che aveva freddo ai piedi l’ha salvato nonostante le sue precarie condizioni, poi arrivo io, e me lo porto in Svizzera! Eh sì, i tappeti volano e fanno volare…
    Flaviano

    1. Grazie mille, Flaviano, per questa bellissima testimonianza.
      È proprio vero che i tappeti sono oggetti misteriosi: così aderenti al suolo, così domestici e quotidiani e, nello stesso tempo, capaci di suscitare meraviglia, capaci di viaggiare e far viaggiare. Nel mio articolo avevo dimenticato questo dettaglio importante: i tappeti non si spostano solo grazie all’immaginazione, ma anche seguendo le migrazioni dei popoli, degli uomini e delle donne che passano da un continente all’altro. Come i libri, i quadri, i film, i tappeti raccontano storie, parlano di chi li ha tessuti ma anche di chi li ha usati e di chi li ha contemplati. La prossima volta che andrò in centro a Lugano, mi fermerò al negozio “Storica”, così potrò ammirare dal vivo qualche bell’esemplare di tappeto volante…
      Buona serata, a presto!
      Andrea

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