La settimana scorsa ogni mattina, alla radio, ho presentato una rassegna stampa con gli articoli di attualità e di cultura. Prima della diretta, nel silenzio dello studio sottolineavo le frasi degli editorialisti, le dichiarazioni dei politici, parole di rammarico, sfida, provocazione, tristezza, sconcerto. Le notizie penetravano in me con forza. Qualche volta mi pareva insopportabile: stupri di guerra in Etiopia, bambine brutalizzate, milioni di sfollati in Africa e in tutto il mondo, lavoratori agricoli pagati un euro all’ora in Italia, l’aridità che brucia ogni anno dodici milioni di ettari, colpendo tre miliardi di persone. Anche a livello locale spiccavano disgrazie, sopraffazioni, atti di violenza. Poi, certo, c’erano pure notizie buone: miglioramenti sul fronte del Covid o la scoperta di una terapia contro il glaucoma, la seconda maggiore causa di cecità nel mondo (dopo la cataratta). Nelle pagine culturali, qualche volta, c’erano belle cose, magari solo un verso, un paragrafo. Qualcuno citava il clamor cogitationis di Agostino: il suono che fa il pensiero mentre lo pensiamo dentro di noi, bisognoso di spazio e silenzio per venire accolto.
Ma al di là della bilancia tra notizie negative e positive, a restarmi impressa era anche l’atmosfera generale. Leggendo i social media, per esempio, ho sempre l’impressione d’intravedere su ogni parola una patina traslucida di una sostanza velenosa, in grado di sfregiare le parole degli altri, d’insinuarsi nella mente e cancellare i pensieri, lasciando solo gli slogan. È facile notare quanto odio si riversi dai social media; tuttavia sarebbe sbagliato ridurli a catalizzatori di malevolenza, perché c’è anche altro. Il problema è che su di me prevale l’effetto deleterio: sento crescere la rabbia, lo sdegno, vorrei subito rispondere a chi sparge il veleno dell’insulto e dell’intimidazione, vorrei denunciare gli egoismi, le chiusure ideologiche, la stolidità, il sarcasmo, il disprezzo e soprattutto il rifiuto dell’altro, in qualunque forma si manifesti. Dopo un po’, mi rendo conto che il veleno sta circolando anche in me. Allora mi fermo. Esco dal recinto virtuale e provo a riflettere. Il problema di fondo mi sembra una irriducibile divisione fra “noi” e “gli altri”, in cui gli altri si possano al massimo tollerare (con sufficienza), ma in nessun caso accogliere. Se si vuole accogliere l’altro, infatti, è necessario conoscerlo, pur nella divergenza di opinioni. Sarebbe bello se riuscissimo sempre a trovare nelle affermazioni di un’altra persona qualcosa che ci corrisponda, specialmente quando la nostra visione del mondo è opposta.
Un giorno, dopo la fine della rassegna stampa, ho ritrovato nel mio telefono una striscia di Schulz che mi aveva inviato un amico. Charlie Brown legge il giornale mentre Snoopy è seduto sulla sua cuccia. Una notizia lo colpisce: «Qui dice che ci sarà una mostra canina…». Nella seconda vignetta Charlie chiede a Snoopy: «Hai mai pensato di partecipare a una mostra canina?» Nella vignetta successiva Snoopy pensa: «Come potrei?» E nell’ultima vignetta, sdraiato sulla cuccia: «Non possiedo neanche un cane!»
A parte la semplicità e la bellezza dell’ironia, mi ha colpito una verità di fondo: Snoopy non possiede un cane, pur essendo un cane. Non possiede sé stesso, certo; ma è indubbio che nemmeno Charlie Brown possieda Snoopy. Quella del bracchetto è solo in apparenza una battuta, ma esprime una verità filosofica: non possediamo niente. Non possiamo possedere niente, perché niente è nostro in maniera esclusiva.
Che sia proprio questa la causa del veleno? In qualunque situazione, siamo mossi dal desiderio di possesso. Un oggetto, un luogo, una persona, un’idea. Addirittura vogliamo possedere la verità. Io credo che se riuscissimo a liberarci da questa logica potremmo trovare un antidoto al veleno da social media, sviluppando invece la capacità di una reazione sana alle notizie. La verità si può riconoscere, non possedere, e l’insulto è sempre violenza, anche quando il destinatario sembra meritarlo. Anch’io nel mio piccolo non posso promuovere il confronto con l’altro, l’accoglienza dell’altro a ogni costo, e poi lasciare che in me prevalga il pessimismo.
Il problema consiste in un certo modo in cui diciamo “mio”. Se, per ragioni sociali, accettiamo il concetto di “proprietà privata”, non possiamo dimenticare che le “nostre” cose sono anche degli altri, come destinazione originaria. Specialmente in caso di necessità, ogni tipo di proprietà è comune: la condivisione deve nascere prima di tutto dalla consapevolezza che siamo esseri umani e che perciò siamo uguali per diritti e per doveri, senza distinzione fra “noi” e “gli altri”, perché la terra è di tutti. La distanza fra il disprezzo da social network e i milioni di sfollati di cui riferivo all’inizio è assai minore di quanto si potrebbe pensare.
[Questi pensieri, scritti così di getto, mi hanno fatto venire in mente una leggenda su Alessandro Magno, di cui avevo parlato qui. A partire da un testo di Borges, avevo provato a immaginare il conquistatore sopravvissuto a sé stesso, smemorato e perduto, poi recuperato nelle pianure asiatiche da un drappello di soldati mongoli. Ho provato a scrivere un altro brandello di questa leggenda. Eccolo.]
Alessandro Magno non morì a Babilonia nel giugno del 323 avanti Cristo.
Dopo una battaglia, rimasto isolato, il condottiero vagò a lungo nella steppa, finché un giorno si unì a un gruppo di nomadi guerrieri dagli occhi sottili. Aveva perso la memoria ma ogni tanto, come relitti scampati a un naufragio, gli tornavano dei frammenti di quell’altra vita, di quell’altra storia.
Ora Alessandro è un soldato. È scaltro e conosce i segreti del suo mestiere. Ama stare in disparte, ma ogni tanto la sera siede con i suoi compagni davanti al fuoco. Quando assaggia la loro bevanda fermentata, dentro di lui si muove qualcosa di profondo, come l’eco di una frana. Non è più Alessandro, ma gli hanno dato un nome nuovo: un’accozzaglia di consonanti. Negli avamposti della steppa ci sono giorni lunghi, tessuti di attesa e silenzio. Poi c’è il lampo di ferro, l’urlo, l’intensità della battaglia. E di nuovo la calma: curare le ferite, accudire i cavalli, litigarsi le donne.
L’uomo-che-guarda, così lo chiamavano i suoi commilitoni. Forse perché stupiti dai suoi occhi, uno azzurro e l’altro nero. Oppure perché il pomeriggio, quando non era di corvé, si allontanava a piedi e da lontano contemplava l’accampamento.
Si sedeva sull’erba. Dopo un po’ si sdraiava, allargava le braccia. Rimaneva così, fra terra e cielo. Registrava il passaggio di vento, uccelli e nuvole, poi cancellava ogni pensiero e con la mente penetrava il vuoto. Sono qui. Eccomi qui. Non c’è nessuna cosa che io possa pretendere. Ho soltanto il mio nome, il mantello e la spada. Non sono proprietario di case né di navi, non ho ricchezze, donne, servitori. Non ho un posto che possa dire mio.
Questo pensava Alessandro il Macedone, il padrone del mondo.
PS: Non so precisare l’anno di composizione e pubblicazione della vignetta di Schulz. Per quanto riguarda Alessandro Magno, i riferimenti bibliografici si trovano in coda a questo articolo. Ho preso da internet le fotografie della steppa e delle nuvole.
Bellissimo il racconto su Alessandro Magno! Mi è piaciuto perché rappresenta in maniera artistica quello che prima era detto in maniera più esplicativa. In una scena quante parole si riassumono. E quella scena del condottiero disteso sull’erba, privo di tutto eppure padrone del mondo… mi ha fatto battere il cuore!
Intuisco un accorgimento per ovviare alla barbarie citata nel blog: meno social media, persino quasi niente del tutto.
Grazie per avere portato le sue parole nel mio solitario sabato sera milanese. Come sempre, un’occasione per riflettere.
Gentile Elena Macchi, grazie a lei. Un cordiale saluto.
“Se, per ragioni sociali, accettiamo il concetto di “proprietà privata”, non possiamo dimenticare che le “nostre” cose sono anche degli altri, come destinazione originaria.” Di rado ho trovato questo concetto espresso con tanta efficacia. Posso chiederLe per quale emittente radiofonica? È possibile ascoltarla da Roma?
Buonasera, grazie per il riscontro.
Lavoro per Radiotelevisione svizzera (RSI) e in particolare per Rete2, il canale radiofonico culturale. Per ascoltare da Roma deve andare sul sito: http://www.rsi.ch/retedue. Un cordiale saluto!
Lei Fazioli sa scrivere bene, però è tendenzioso, come tutti gli scrittori di questo paese. Il solito piagnisteo di sinistra ce lo poteva evitare, tanto per dire che il Macello è roba di tutti. Le sue balle sulla proprietà privata minano l’ordine stesso della nostra società. Sa che cosa dovrebbe imparare, nel suo mondo di sogni? Il rispetto delle istituzioni. Se mi sbaglio, lo dica: io sto con il Municipio di Lugano, e Lei?
L’articolo è una riflessione nata a partire da un mio stato d’animo, non da un fatto di cronaca locale. Poi, certo, ogni lettore è libero di leggere ciò che vuole: i testi non appartengono a chi li ha scritti.
[Comunque, circa il fatto in questione, non si sbaglia: deploro il gesto inconsulto di demolire un edificio significativo (dal punto di vista storico, simbolico, culturale) alle tre di notte, di nascosto, con un abuso di potere; per giunta, un edificio nel quale abitavano delle persone. Il municipio di Lugano ha sbagliato.]
Un cordiale saluto, buona settimana!
Un altro che sta dalla parte dei brozzoni! Ma dove ha il cervello? Non si può permettere l’illegalità di un gruppo che non vuole nemmeno discutere con le autorità, è vergognoso.
Lascio questo pensiero, perché si commenta da sé, ma è l’ultimo. Cancellerò tutti gli altri interventi insultanti o fuori tema. Buona giornata.
Apparentemente un articolo “di getto”, in verità (espressione che non allude a nessun possesso da parte mia, della verità) io credo,… io ritengo sia un articolo profondissimo che pur “di getto” – e proprio in virtù di questa modalità istintiva – esprime una grandezza spirituale dell’autore. Grazie Andrea!
Grazie mille, Angelo, per il tuo riscontro. Troppo gentile. È vero che la scrittura di getto, talvolta, ci può condurre verso territori inesplorati.
Abito lontano da Lugano e non conosco gli episodi di cronaca locale di cui parlano i signori qui sopra.
A me l’articolo è piaciuto come riflessione filosofica sulla natura umana, e soprattutto per lo stupendo mini-racconto su Alessandro Magno. Non mi sembra che parli dell’attualità, ma del presente eterno degli esseri umani.
Condivido pienamente questo pensiero. Quante cose crediamo di possedere, in una lunga vita!
Il racconto su Alessandro mi ha fatto venire dei brividi. È proprio così. Mentre lo leggevo sembrava un film, anzi mi sembrava di essere lui, il Padrone del Mondo che fa il soldato nella steppa.
Deliziosa anche la vignetta di Snoopy!
La riflessione mi è parsa basarsi su una certa filosofia di vita che privilegia il rispetto. Non ho trovato che si volesse negare la legalità o certe consuetudini acquisite della Società così come ce la siamo costruita. Soprattutto non ho trovato nessun esplicito riferimento agli accadimenti luganesi del Centro sociale “accampato” nell’edificio ex Mulino, accadimenti mi paiono seguiti ad una serie di errori reciproci delle due parti che hanno privilegiato lo scontro agli accordi concreti (ma è un danno della nostra Società attuale che sempre meno ricorre alla diplomazia, sempre più alla conflittualità).
Colloquiando di recente con qualche amico e col mio Medico di famiglia appassionatissimo di Letteratura, persone anche di diverse tendenze partitiche ma che privilegiano la Politica come metodo di tutti, abbiamo notato come ormai siamo diventati vassalli di chi davvero guida il mondo, vassalli di chi ci spinge a privilegiare i consumi, schiavi degli oggetti visti come valore primario e fonte di illimitata ricchezza di pochi: non a caso la crisi pandemica ha prodotto il mantra del voler ritornare come eravamo prima, non ha prodotto il ripensamento degli errori commessi (bon, di positivo ne è uscito almeno il senso del volontariato per chi ha avuto necessità di aiuto).
Ho trovato ottima la sintesi prodotta dal mio Medico signor Luciano: “occorre enfatizzare come primo valore la Conoscenza. e non il possesso (FROMM) che sarà sempre fonte di infelicità perché “non ne avrai mai abbastanza” mentre un sol verso di Dante può offrirti una serenità olimpica: …AMOR CHE AL COR GENTIL RATTO S’APPRENDE … ”
my two cents
Pino
Ti prego scrivi più spesso di getto ,è bellissimo leggerti.
Casomai avrai due minuti ,ti rimando ad un post “senza opinioni” di un blog di Andrea Sacchini ,lì c’è un commento che mi sconvolge ,quasi come il ricongiungimento della stessa fonte .
Grazie mille. Cercherò di scrivere più spesso…
(In questo periodo faccio un po’ fatica.)
Grazie anche per il consiglio. Ho letto l’articolo sul blog.
L’autore scrive:
«Ci sono tantissimi argomenti su cui io non riesco a farmi un’opinione e di cui, quindi, non parlo, e la cosa, devo dire, mi provoca un certo rammarico.»
Anch’io, come tutti credo, sono spesso nella medesima situazione. Non sempre tuttavia direi che «non riesco» a farmi un’opinione. A volte mi sembra che si possa stare davanti al mondo, a una qualunque dinamica del mondo, limitandosi a osservarla, cercando di capire quale sia il suo valore (questo è diverso da avere un'”opinione”). Insomma, non mi rammarico di avere opinioni. Non c’è bisogno di avere tutto chiaro: approfondire la realtà – qualunque argomento – significa approfondirne anche il mistero. E sul mistero non si possono avere opinioni: bisogna casomai entrarci in confidenza, provare a viverlo, o comunque affrontarlo in maniera concreta. Fare, invece di scrivere (o parlare). Un cordiale saluto,
AF
La mia email riempie un campo “obbligatorio “per me affinché passi il mio modo di sentire. Non porta a nulla e non perché io non esista, è palesemente impossibile questo… dato che la mia essenza si materializza attraverso la scrittura… Tutto questo ho necessità di scriverlo e me ne scuso, vorrei tu mi perdonassi e non pensassi io sia qui a mascherare un contatto inesistente… ho solo deciso da un po’ di anni di liberare la mia parte più spirituale, esattamente quella che esce di getto un po come la tua qui.
Ho pianto ieri sera leggendo queste righe, un pianto di gioia… in un certo senso mi sono trovata davanti questo tuo post non so come, ha del mistero quello su cui tu ti riferisci, non serve a nulla indagare o sondare. Praticamente in quasi dieci anni di rete e tutti i pezzi lasciati qua e là, attraverso mie osservazioni e libero fluire… ho colto qui un intero mosaico che riassume ogni pezzo o tassello sprigionato altrove.
Poi la pacatezza nelle risposte a delle provocazioni invece che alimentare fuochi che non portano a nulla se non ad appesantire la parte più bella e autentica di ognuno di noi… ognuno di noi possiede questa parte, assopita… che mette alla prova mettendosi alla prova inconsapevolmente.
Potevi ignorare, potevi non leggere quel post, invece lo hai fatto senza per nulla sapere chi o cosa fosse… Sei andato ancora di getto…
Sono felice di sapere che tu esista… da ieri… io so di te.
Grazie… e mi dispiace di questo periodo faticoso per te… ma sono certa che ha un senso anche se non lo comprendiamo subito… chissà farà parte di quel “mistero”!?
Ti auguro di cuore una buona serata
L.
“A volte mi sembra che si possa stare davanti al mondo, a una qualunque dinamica del mondo, limitandosi a osservarla, cercando di capire quale sia il suo valore (questo è diverso da avere un’”opinione”). Insomma, non mi rammarico di avere opinioni. Non c’è bisogno di avere tutto chiaro: approfondire la realtà – qualunque argomento – significa approfondirne anche il mistero. E sul mistero non si possono avere opinioni: bisogna casomai entrarci in confidenza, provare a viverlo, o comunque affrontarlo in maniera concreta.”
C’è una semplicità sconvolgente in queste righe e ci sono anche valori che arrivano al Valore di cui scrivi, quello dato dall’ascolto e soprattutto dal silenzio…
Non sempre scrivo, spesso osservo e ascolto… poi accade qualcosa, soprattutto quando intuisco che le persone preferiscono ferirsi per far prevalere le proprie ideologie, piuttosto che amarsi e discuterle nello stesso piatto. Ecco in queste circostanze il mio andare di getto non mira a nessun do ut des, è semplicemente lì, spogliato da qualunque tipo di tornaconto e visibilità, e si esprime liberamente.
Ne sono felice di tutto questo… nonostante ciò che osservo è davvero molto doloroso e triste.
Chissà… se quando ripasserò da te, troverò un altro pezzo di te come qui, senza che tu lo senta faticoso… buonanotte e grazie per l’ascolto.
Di nuovo, gentile Lara, grazie mille per le sue considerazioni. Nelle prossime settimane prevedo di scrivere un paio di nuovi articoli… vedremo! Intanto, un cordiale saluto!
In questi giorni ho sentito accendersi una nuova luce che mi porta a leggere meglio questo concetto di “spontaneità”, questa forza naturale che non ha ancora subito nessun processo di modifica o di condizionamento esterno… come se dentro di noi si facesse spazio per poi lanciarsi come satellite nell’universo. Forse è dopo che tutto cambia e che può avere una destinazione a frantumarsi ma non necessariamente a morirne… magari qualche pezzo arriva a buona destinazione rigenerandosi.
Scrivere di getto, ascoltare ciò che il cuore in quel determinato momento ci suggerisce e poi dargli in mano questa penna che con una velocità sorprendente compone parole e frasi con un senso preciso, affrettandosi a farlo per timore di non poter recuperare l’attimo, il momento che è li a testimoniare un frammento di bellezza avvolgente, nulla di inventato, nulla di confuso, è tutto chiaro lì… qui. E nel momento conclusivo una gioia dentro che si congratula con la nostra anima… ecco,bene, ce l’hai fatta, depositami pure qui e nel caso in cui mi cercherai saprai come e dove mi hai lasciato, un involucro in cui potrai sempre sentirti a casa… a casa.
Quanta bellezza ci avvolge, ma ne parliamo sempre così poco e vediamo sempre più dare spazio a quella parte piu oscura, come le notizie che devi comunicare che vanno a scontarsi con il tuo mondo interiore… e qualcosa ritorna a farti star male, perché sai che la vita, l’ universo non è e non può mai essere tutta questa cronaca nera.
Io non so chi sia tu e giuro che mai vorrei turbare la pace dei tuoi silenzi ,dei tuoi spazi, del tuo essere… come potrei, chi o cosa dovrei essere io, però so che mi trovo qui a scriverti come se ti conoscessi in qualche modo, credo ad un livello spirituale.
È un linguaggio “alieno ” il mio :))… sirrudo, forse è più razionale pensare che io soffra di chissà quale disturbo… ma è questo il punto, se mi mettessi ad indagare su, come indagano gli altri per arrivare a capire il “mistero”, io perderei un contatto irrazionale… esattamente quello legato e collegato all’amore.
Tornando al tuo scritto su… l’Amore è il primo insegnamento al Non possesso… non possiede e non vuole essere posseduto… da qui poi tutto ciò che è terreno va compreso allo stesso livello… una forma di coniugazione che non ha tempi come i nostri verbi, in quanto è Eterna.
Buona domenica e Grazie per l’ascolto.
Spero che vada tutto serenamente per te..
Ripasso spesso da qui fiduciosa che qualcosa scriverai da un momento all’altro, lo so che non sempre si può scrivere di getto, ci sono momenti che hanno bisogno di piú tempo e piú riflessione per essere scritti o raccontati…e magari vi sono momenti piú delicati dove si preferisce non scrivere pubblicamente…
Non sono molto esperta con la tecnologia sai, nel senso che qui non vedo ancora aggiornamenti e spero di non perderli dietro altri modi che non conosco..
Buon fine settimana
L.
Gentile Lara,
finalmente ho riavviato questo spazio di scrittura e condivisione. Sono passati diversi mesi, lo so. Ma è bene fermarsi, di tanto in tanto. Buon Natale!