Ho bisogno di soldi!

Care lettrici e cari lettori di questo blog,
mi auguro di poterci trovare questa volta. Io ho fatto un viaggio a Bradford (United Kingdom) e mi hanno rubato la mia borsa con il passaporto e gli affetti personali. L’ambasciata mi ha solo rilasciato un passaporto temporaneo ma Io devo pagare il biglietto e saldare le fatture alberghiere. Io ho fatto contattare la noia banca ma mi ci vorrebbero 5 giorni lavorativi per accedere ai fondi nel conto da Bradford (United Kingdom). Western Union transfer è la migliore opzione per inviarmi denaro. Fammi sapere se hai bisogno dei miei dati (nome completo/località) per fare il trasferimento. Puoi raggiungermi via email o telefono Hotel +447024030611. Il mio telefono è stato rubato. Per favore fammi sapere se puoi aiutarmi a spedire la somma oggi stesso. Fammi sapere se puoi essere d’aiuto. Grazie mille per la collaborazione, un cordiale saluto. Grazie mille.
Prima che un’orda di lettori si precipiti a inviarmi del denaro, preciso che quanto avete letto sopra è una menzogna. (Detto questo, se davvero volete darmi dei soldi, scrivetemi e vi dirò come fare…). Ho ricevuto la lettera che vi ho trascritto da un amico al quale avevano rubato l’account. Ciò che mi ha incuriosito è il linguaggio: l’ostinazione nell’ aggiungere United Kingdom ogni volta che si nomina Bradford; il pronome Io maiuscolo che dà un tocco filosofico alla missiva; il lapsus freudiano di noia banca; il modo in cui non si intima direttamente “mandami del denaro”, ma con eleganza si fornisce l’informazione che Western Union transfer è la migliore opzione per inviarmi denaro; l’insistenza nella richiesta e nei ringraziamenti. Ma soprattutto, lo splendido errore iniziale: mi hanno rubato la mia borsa con il passaporto e gli affetti personali. È spaventoso: non soltanto si sono fregati i soldi, ma pure gli amori e le amicizie. (Sarebbe una buona idea per una storia fantastica: una borsa magica nella quale immagazzinare affetto e altri sentimenti, per potervi attingere in caso di bisogno).
Di recente ho ricevuto una mail anche da un certo Joseph K. Il mittente mi ha incuriosito perché ho pensato a Josef K., il protagonista del romanzo Il processo di Franz Kafka: un impiegato che viene posto sotto accusa per ragioni imprecisate e che si trova coinvolto in un processo lento, ramificato, burocraticamente assurdo e incomprensibile. Il mio Joseph K. invece si limita a chiedere soldi:

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Magari tutto ciò sarebbe piaciuto a Kafka. Ogni volta che ci connettiamo alla rete entriamo in un paese di cunicoli, in un formicaio dove ciò che sembra solido si rivela sabbia e ciò che sembra sabbia è un passaggio per altri formicai, account, profili, vite di persone che non esistono. Di recente pure questo blog ha subito un attacco massiccio di spam, prontamente rintuzzato dal mio webmaster. Ho ricevuto migliaia di messaggi pubblicitari per Viagra (direttamente dal Canada), Cialis e altri farmaci atti a risolvere disfunzioni sessuali; ma c’è anche qualcuno che mi ha offerto Ventolin e pomate per far ricrescere i capelli. C’erano testi in inglese, in italiano, in francese, in tedesco, in spagnolo, in turco, in russo e in arabo. Alcuni, come un certo Hoadanub, hanno scritto prima in italiano (Frase meravigliosa e sul tempo: con quella e che rende il concetto assai ermetico), poi in tedesco (Sie lassen den Fehler zu. Ich kann die Position verteidigen. Schreiben Sie mir in PM) e in spagnolo (Que palabras adecuadas… La idea fenomenal, excelente); infine, lo stesso Hoadanub mi consiglia di visitare un sito dal nome “sexybang”, che immagino possa offrirmi altre palabras adecuadas.
L’ondata di spam riguardava soprattutto due articoli, che a quanto pare non sono nemmeno i più letti. Si tratta di Mio eroe, in cui m’interrogo su che cosa significhi oggi comportarsi in maniera eroica, e di Le vacanze dei morti, in cui a partire da una gita in montagna rifetto sulla morte e sulla memoria dei nostri cari defunti. Non so che cosa c’entri tutto ciò con il sesso e la ricrescita dei capelli. Probabilmente sarà casuale. Ma certo non posso fare a meno di pensare a due fra le maggiori paure della nostra epoca: l’eroismo e la morte. L’eroismo fa paura perché lo confondiamo con il fanatismo, perché ci sembra inadeguato, fuori moda, perché nell’accezione comune essere eroi sembrerebbe richiedere troppi followers, troppi muscoli, troppo Viagra. La morte fa paura perché… be’, perché pervade ogni momento della nostra vita, anche quando non ci pensiamo. Con discrezione, la morte ci manda un messaggio a ogni capello che perdiamo, a ogni affetto personale che ci viene sottratto dal tempo.
Alzo gli occhi dallo schermo. Dietro l’altro schermo della finestra, vedo il cielo che cambia colore. Mi sento confuso. Preso nel vortice di spam, smarrimenti britannici e Joseph K., l’unica cosa reale mi sembra l’uomo di nuvole che suona la tromba appena sopra le montagne. Penso che forse una possibile forma di eroismo sia tentare di essere qui e ora, senza cedere alla quasi-vita virtuale, con il suo corredo di false immagini (di noi, del mondo). Che la vera sfida del presente sia proprio quella di essere presenti? Sembra facile, ma richiede uno sforzo di attenzione e il coraggio della differenza.
Di recente mi sono imbattuto in un racconto ebraico (o arabo: esiste in entrambe le tradizioni). I personaggi sono figure storiche, celebri per la loro saggezza e la loro arguzia: il re Salomone e la regina di Saba. Si racconta che la regina di Saba avesse invitato Salomone nel suo sontuoso palazzo, per sottoporgli un enigma. Secondo l’anonimo narratore, la regina condusse il re in una sala che i suoi abilissimi artigiani avevano riempito di fiori artificiali. A prima vista, sembrava davvero una radura primaverile: colori stupendi, erba fresca, profumi soavi. La regina disse al re: Uno solo tra queste centinaia di fiori è vero, soltanto uno. Sapresti indovinare quale? Salomone guardò attentamente. Dispiegò tutto il suo acume e la sua sensibilità, ma non riuscì a distinguere il fiore autentico. Allora, poiché stava sudando, domandò alla regina se uno dei suoi servitori potesse aprire una finestra. La regina acconsentì. Ecco il vero fiore, disse Salomone qualche istante più tardi. Non avrebbe potuto sbagliarsi: un’ape, entrata dalla finestra, si era posata con sicurezza sull’unico fiore autentico. Gli antichi commentatori di questa storia facevano notare che, se è sempre difficile essere Salomone, è ancora più difficile essere l’ape. Ma la cosa più difficile, in ogni epoca, è essere il fiore.

PS: Del re Salomome e della regina di Saba parla anche la Bibbia  (1 Re 10; 2 Cr 9), oltre a numerosi altri testi ebraici o arabi. Il racconto tradizionale che ho riportato è narrato da Jean-Claude Carrière in Le cercle des menteurs (Plon 1998).

PPS: Un ringraziamento speciale a Patrick Felder per aver debellato con sapienza l’invasione di spam.

PPPS: Per completezza: non sono mai stato a Bradford (United Kingdom); come si nota dalle scritte in sovrimpressione, la fotografia proviene da internet. Il cielo, invece, è autentico. E anche il fiore.

PPPPS: Secondo me, il trombettista fatto di nuvole stava suonando qualcosa sul tempo e la distanza. Un brano in minore, con una punta di malinconia ma pure un desiderio, un’attesa. Time venne composto da Richie Powell avendo in mente il tempo che un uomo passa standosene seduto in prigione, chiedendosi quando uscirà.

Il brano, tratto dall’album Clifford Brown and Max Roach at Basin Street (Verve 2002), fu inciso a New York nei mesi di gennaio e febbraio del 1956. I musicisti: Clifford Brown (tromba), Max Roach (batteria), Sonny Rollins (sax tenore), Richie Powell (piano), George Morrow (basso). Quattro mesi dopo, il 26 giugno, Clifford Brown e Richie Powell morirono in un incidente automobilistico; avevano appena ventisei e venticinque anni. Qualche volta, nelle lunghe sere di giugno, immagino che i due ragazzi continuino a suonare laggiù, nel punto dove l’azzurro delle montagne incontra le nuvole rosate del tramonto.

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