Nei giorni scorsi ho parlato con un ragazzo di quindici anni che, con risultati per ora insoddisfacenti, sta tentando di superare il primo anno di liceo. Per passare la classe, mi diceva, dovrei essere un eroe. Mi ha colpito l’uso di questa parola. Eroe. Probabilmente è una delle più antiche dell’umanità: quale epoca, quale popolo non ha cantato le gesta dei suoi eroi? Qualcuno, come il drammaturgo Bertold Brecht, considera sventurati i popoli che hanno bisogno di eroi. Ma esiste un popolo che ne possa fare a meno? Certo, la parola nel corso dei secoli ha cambiato forma e colore: siamo passati dal valoroso Agamennone e dall’astuto Ulisse alle diverse follie di Orlando e Don Chisciotte, da Parsifal e Lancillotto fino all’uomo senza qualità di Robert Musil, da Tex Willer a Charlie Brown, da Robin Hood a tanti inetti della letteratura del Novecento, per arrivare agli attori, ai calciatori, ai politici, ai cuochi della tivù. E non sto a citare i supereroi, gli antieroi, i post-eroi che sempre più affollano il nostro immaginario. Che lavoro potrebbe fare oggi un eroe, un vero eroe senza macchia e senza paura? Aprirebbe un ufficio da detective, come Philip Marlowe, oppure si accontenterebbe di aprire un profilo su Facebook, per cambiare il mondo a colpi di post?
Nei romanzi fantasy gli eroi compiono ancora il loro dovere, come ai vecchi tempi. Ma prendiamo per esempio Aragorn, uno dei personaggi più amati del Signore degli anelli di Tolkien. Se vivesse nel nostro mondo, che mestiere potrebbe fare? Ne ho parlato con una lettrice esperta di Tolkien, che senza esitazione mi ha risposto: farebbe lo spazzino.
Secondo lo psicologo e studioso di mitologia Joseph Campbell, i nostri non sono più tempi per l’eroe celebrato dalla collettività; oggi l’eroe si rivela non nei momenti gloriosi delle grandi vittorie della sua tribù, ma nei silenzi della sua disperazione. Un modello di eroe moderno si trova in un racconto scritto da Graham Greene nel 1940, intitolato The news in english. Il protagonista è David Bishop, un professore britannico che, durante la seconda Guerra mondiale, tiene anonimamente alla radio tedesca trasmissioni filonaziste rivolte agli inglesi; in patria viene soprannominato “dottor Funkhole” (che sarebbe come dire “dottor vigliacco”). Scrive Greene: La tragedia di questi tipi di uomini è che non sono mai soli al mondo. A Crowborough, davanti al focolare, la madre e la moglie di Bishop lo ascoltano reiterare le menzogne. La madre condanna il figlio e insiste per denunciarlo alle autorità. La moglie cerca di difenderlo, dice che di sicuro lo avranno costretto con la forza. La vecchia e la giovane signora Bishop discutono con veemenza. Ma non capisci cosa significa – esclama Mary Bishop – potrebbero processarlo per tradimento, se vinceremo. E subito la suocera puntualizza: quando vinceremo. Alla fine lo denunciano, e naturalmente i media si scatenano: Il massimo che un giornale avrebbe ammesso era che se c’erano state delle minacce Bishop se l’era cavata in modo poco eroico. Commenta Greene: Esaltiamo gli eroi come se fossero rari, ma siamo sempre pronti a biasimare il nostro prossimo per la mancanza di eroismo. La vecchia signora Bishop continua ad ascoltare il figlio ogni sera, e ogni sera infierisce sulla sua vigliaccheria. La giovane signora Bishop ha paura a uscire di casa.
A volte pensava quasi con odio: “Perché David mi ha fatto questo? Perché?”
Poi improvvisamente ebbe la sua risposta.
Per una volta la voce imboccò una direzione nuova. Disse: «In qualche luogo in Inghilterra mia moglie forse mi sta ascoltando. Io sono un estraneo per tutti voi, ma lei sa che non ho l’abitudine di mentire».
Un appello personale era troppo. Mary Bishop aveva affrontato la suocera e i giornalisti, ma non poteva affrontare suo marito. Si mise a piangere, seduta vicina alla radio come una bambina accanto alla sua casa di bambola dentro alla quale è stato rotto qualcosa che nessuno può riparare.
A un certo punto, David pronuncia le parole «Sta di fatto che…»; poi comincia a elencare cifre e dati che mostrano quanto sia florida la Germania. Mary ha un sussulto; afferra una matita e annota qualche parola su un taccuino. Il giorno dopo riesce a ottenere un colloquio con un funzionario al Ministero della Guerra. Per farla breve, Mary si è accorta che il marito sta usando il loro codice segreto: «Quando era lontano da me e al telefono mi diceva “Sta di fatto che” intendeva sempre “Sono tutte bugie, ma trascrivi le iniziali delle parole che seguono”… Oh, colonnello, se sapesse da quanti spiacevoli fine settimana l’ho salvato… perché, vede, poteva sempre telefonarmi, anche davanti al suo ospite».
Gli esperti del Ministero si accorgono che la giovane signora Bishop ha ragione: suo marito fornisce informazioni preziose per gli Alleati. Le raccomandano di tacere, di mantenere il segreto: agli occhi del mondo, David Bishop deve rimanere il “dottor Funkhole”. Ogni sera, quando lo sente alla radio, Mary ha il terrore che suo marito non vada più in onda. Quel codice era un codice da bambini. Come avrebbero potuto non individuarlo? Ma fu proprio così. Uomini dalla mente complicata possono venire ingannati dalla semplicità. Il funzionario del Ministero esorta Mary a tenere duro: È un uomo coraggioso, signora Bishop.
Finché, dopo quattro settimane, il governo si decide a fare un tentativo per salvare David: in fondo il codice funziona in entrambe le direzioni; gli inglesi hanno un notiziario trasmesso in Germania, e David potrebbe ascoltarlo. L’operazione sembra funzionare, tanto che viene organizzato un piano di recupero: David deve soltanto recarsi a una stazione sul Reno, non lontano da Wesel. Quella sera la vecchia signora Bishop chiede: «Non ascolti tuo marito?» E Mary: «Non trasmetterà». Molto presto avrebbe potuto affrontare trionfalmente la madre di lui e dire: «Ecco, lo avevo sempre saputo, mio marito è un eroe». Ma inesorabilmente, anche quella sera il “dottor Funkhole” è in onda. La vecchia signora Bishop sibila un «te l’avevo detto». Mary è disperata.
Vi trascrivo il finale del racconto.
Parlava tanto velocemente che lei quasi non riusciva a tenergli dietro con la matita. Le parole si raggruppavano sul suo taccuino: «Cinque sottomarini al rifornimento oggi mezzodì 53.23 per 10.5. Notizia fonte attendibile Wesel così tornato. Discorso non autorizzato. Fine.»
«Adesso mi ascoltate? Molto orzo germoglia là in estate» esitò. «Ancora dobbiamo dire in onestà che…» La voce si affievolì, cessò del tutto. Le vide sul suo taccuino: A mia moglie, addio c…
Fine, addio, fine. Le parole rintoccavano come campane a morto. Si mise a piangere, seduta come aveva fatto in precedenza, attaccata all’apparecchio radio. La vecchia signora Bishop disse con una sorta di piacere: «Non sarebbe mai dovuto nascere. Io non l’ho mai voluto. Vigliacco» e a questo punto Mary Bishop non poté sopportare oltre.
«Oh», gridò alla suocera all’altro capo della stanzetta di Crowborough, surriscaldata e troppo ingombra di mobili «almeno fosse un vigliacco, almeno lo fosse. Ma è un eroe, che sia maledetto, un eroe, un eroe, un eroe…» continuò a gridare disperata, sentendo la stanza che le vorticava intorno, e immaginando confusamente dietro a tutto il dolore e all’orrore che anche lei, come altre donne, un giorno sarebbe stata orgogliosa.
È un eroismo segreto, sulle onde della radio, siglato da un ultimo, commovente addio. Nel racconto di Greene l’eroe non è più il guerriero che combatte a viso aperto, ma è un uomo solo in un mondo di nemici, ed è considerato un vigliacco dalla sua stessa madre.
Gli eroi saltano fuori quando non te l’aspetti. Come abbiamo visto pure di recente, nel caso di una catastrofe naturale – un terremoto, una valanga – alcuni esseri umani sanno superare i confini delle leggi naturali e rischiano la loro vita per salvare degli sconosciuti. In questi casi, l’eroismo si rivela nella sua natura più profonda, che è un amore disinteressato per il prossimo: l’eroe si mette nella pelle degli altri, e sa dimenticare il proprio “io”, o meglio, sa tenderlo pienamente verso il “tu” che si trova di fronte.
Ma nella nostra quotidianità? Senza catastrofi, senza guerre, senza circostanze eccezionali, come può Aragorn mostrare la sua natura eroica nella sua routine di spazzino? Forse ha ragione il ragazzo di prima liceo: l’eroismo è volere intensamente qualcosa e avere il coraggio di crederci, nonostante tutto. Secondo il filosofo Bruce Bégout l’uomo ordinario partecipa tutti i giorni a una certa forma di eroismo. Non si tratta semplicemente di assolvere ai propri doveri, ma di non lasciarsi uniformare dai multipli sistemi sociali che vogliono modellare il comportamento. La sfida non è compiere grandi gesti, ma avere il coraggio dell’imprevisto, della gratuità: preservare una sorta di flou nell’esistenza ordinaria, qualcosa di non impiegato e di non impiegabile, una frangia di esperienza indisponibile che non potrà mai essere messa al servizio della normalizzazione sociale. Sarà un piccolo gesto, niente in confronto a chi salva una vita o a chi sa rischiare la propria, come David Bishop. Ma nella vita di tutti i giorni, è bello avere il coraggio di sfuggire alla regola dell’utilità. Un gesto gratuito, una cortesia fuori luogo, un’attesa, un ascolto, una parola inaspettata… a volte basta poco per seminare briciole di eroismo.
PS: Il racconto di Graham Greene (1904-91) venne pubblicato in The Last Word and other stories (Reinhardt Books, Londra 1990): la raccolta contiene racconti scritti dal 1923 al 1989. Tradotto da Masolino D’Amico, Notiziario in inglese si trova in L’ultima parola e altri racconti (Mondadori 2005) o in Tutti i racconti (Mondadori 2011). Le parole di Joseph Campbell provengono da The Hero with a Thousand Faces (2008); in italiano L’eroe dai mille volti (Lindau 2012). La citazione di Bruce Bégout è tratta da La découverte du quotidien (Allia, Parigi 2010), dove lo studioso analizza i rapporti, talvolta difficili, tra la filosofia e la quotidianità. Come dice lo stesso Bégout, per quanto si possa giudicare, non c’è assolutamente nulla in comune fra il libro Gamma della Metafisica di Aristotele e il fatto di comprare del pane dal proprio panettiere.
PPS: La prima immagine, che ritrae Agamennone seduto su una roccia mentre sorregge uno scettro, risale al 410-400 a. C. e si trova al Museo archeologico di Taranto. La seconda raffigura Humphrey Bogart nei panni di Philip Marlowe, la terza Viggo Mortensen nel ruolo di Aragorn. La quarta è un ritratto di Graham Greene. Poi c’è la foto di una vecchia radio, quella di un cottage a Crowborough (scattata nel 1937), gli attrezzi del nuovo Aragorn, la copertina di un Tex, qualche pagnotta e una vignetta dei Peanuts di Charles Schulz.
Ma che bella definizione dell’eroismo: “l’eroe si mette nella pelle degli altri, e sa dimenticare il proprio “io”, o meglio, sa tenderlo pienamente verso il “tu” che si trova di fronte”. Mi è piaciuta anche la storia di Greene, devo proprio prendere il libro. E l’idea di Aragorn spazzino? Grandiosa, dovrebbero farci un film! Me lo immagino, lui grande guerriero e grande re che si aggira con la scopa nelle strade di periferia… bello bello!
Il racconto di Graham Greene è molto bello, anche per come sa intrecciare i tocchi di atmosfera con le riflessioni morali e con l’indagine psicologica, arrivando a suscitare la commozione dei lettori. Quanto ad Aragorn spazzino, sono d’accordo: è una bella trovata (come ho scritto, l’idea non è mia). Meriterebbe, se non un film, almeno un breve romanzo tolkeniano di due o trecento pagine…
Grazie. Davvero grazie. Mi ci sino ritrovato. Forse perché la quotidianità è diventata una lotta quasi superiore alle mie forze. E vivere è davvero sempre piu un atto di eroismo.
Secondo Bruce Bégout, che riprende e trasforma una riflessione di Thoreau, «si tratta di salvare una certa selvatichezza del quotidiano, accordandogli il carattere contingente, mobile e imprevedibile della natura stessa». Ma non è facile, e in generale sono d’accordo: vivere, semplicemente compiere la continua scelta di vivere, è già un atto di eroismo; specialmente quando la vita si nasconde nelle zone più oscure della quotidianità, dove rischia di soccombere «alle forze sociali che mirano a omogeneizzarla» (Bégout). Be’, che dire? Cerchiamo di resistere, finché possiamo.
Graham Greene, un grande scrittore del 900. Troppo dimenticato. Questo suo racconto lo conferma
Sono d’accordo. Oltre ai racconti, mi piacciono anche i romanzi, come per esempio “Il potere e la gloria”, “Il nostro agente all’Avana”, “Il terzo uomo”, “Il fattore umano” e tanti altri.
I personaggi mitici diventavano eroi nell’immaginario di noi bimbi che giocavamo ad interpretare storie e personaggi dei libri o dei cinema che vedevamo nella sala dell’Angelicum (proprio la sala dove avevano esordito i Legnanesi della Teresa di Felice Musazzi e della Mabilia di Toni Barlocco)… erano di volta in volta gli Argonauti od i Tre Moschettieri con D’Artagnan, Tommy River o Geronimo o Mangas Colorado coi guerrieri Apache. Più tardi capimmo come l’eroismo era probabilmente più questione di persone umili e sconosciute, come l’Eroe per Caso che non dà peso al proprio gesto fin quando capisce che qualcun altro glielo sta scippando per far quattrini!
Non so se il ragazzino quindicenne conoscente di Andrea Fazioli debba ergersi ad eroe per passare una classe di Liceo. Vorrei tuttavia incitarlo ad avere fiducia e non considerarsi sconfitto prima di averci provato intensamente. Lo avevo fatto con mia sorella quando pareva le cadesse il mondo scolastico addosso (ma vedevo che aveva capacità, solo non riusciva a tirar fuori gli “artigli” necessari)… alla fine si era sentita sorretta dalla fiducia ed è arrivata con le sue forze alla laurea in Architettura. A volte piccoli dettagli possono fare la differenza, caro Quindicenne! vorrei poterti dare la spinta che ti serve, e non aver paura di bocciare, la paura ti farebbe più probabilmente bocciare. Poi ci sono sempre altre vie, dunque stai tranquillo e mantieni intatte voglia e impegno. Sarà sempre soddisfacente, lo so, ci credo!
“A volte piccoli dettagli possono fare la differenza.” Sono d’accordo. E penso che l’eroismo, comunque lo vogliamo definire, a volte si nasconda proprio nei dettagli. Grazie, caro Giuseppe, per la sua testimonianza; e anche per l’incoraggiamento al ragazzo di primo liceo: gli trasmetterò le sue parole, che di sicuro lo aiuteranno a farsi coraggio.
Molto toccante il racconto di Graham Greene e intensa l’immagine dell’eroe calato nel mondo moderno (amo Tolkien e rifletto sull’associazione Aragorn-spazzino). Mi sorprendo a riflettere sul fatto che viviamo in un mondo di eroi occulti e silenziosi, composto da giovani e anziani.
Ce ne sono molti, nascosti nell’anonimato.
Esseri umani che compiono grandi azioni, invisibili alla massa, ma che nel piccolo spazio del proprio entourage portano le fatiche di una missione accorata. Io ho avuto l’onore di conoscere tanti piccoli grandi eroi silenti: madri, padri, nonni, figli che portano avanti una missione nel quotidiano senza onori né glorie…
Grazie Andrea per questa tua profonda riflessione.
Emese
Grazie a te, Emese, per questi pensieri su eroismo e anonimato. In effetti, da una parte si pensa che “eroe” sia chi si distingue dalla massa (e infatti ai nostri giorni è una parola molto usata nello sport); ma ci si dimentica che ci si può staccare dalla massa anche nell’altro senso, sprofondando nel cuore del silenzio, dove ciò che conta è il gesto, perché è il gesto che – silenziosamente – può fare la differenza. Aragorn-spazzino è una brillante idea di un’amica, che ha suscitato molte reazioni fra i lettori del blog (alcuni mi hanno scritto anche in via privata). In effetti, sembra un personaggio promettente: sempre vicino, sulle strade della quotidianità, ma con un’ombra misteriosa nello sguardo…