La luna sottoterra

Pensando al carnevale mi ricordo, come se fosse un sogno, di una notte stravolta, rumorosa, e della luna che suonava il sax nel buio di un sottopassaggio. Certo, non era facile trovarla. Le ore correvano piene di grida, scoppi, risate, voli di coriandoli. La città era chiusa in una gabbia. La folla premeva da tutte le parti: maschere, pazzoidi, agenti della sicurezza. Ma dentro quel caos, ad ascoltare bene, c’era il filo di una musica. Bastava seguirlo. Allontanarsi dalla ressa. Superati i lampioni e un cortile deserto, ecco le scale del sottopassaggio. Laggiù, nella penombra, c’era la luna che suonava il sax. E sapete una cosa? Quella luna ero io.
IMG_0034Non è una metafora o roba del genere. Ero proprio io. Nel terzo episodio della web-serie Notte noir c’è una scena in cui il protagonista, durante il carnevale, incontra un ragazzo mascherato da mezzaluna, che si è rintanato a suonare sottoterra. L’episodio, come gli altri sette, è stato girato da Fabio Pellegrinelli; insieme a Marco Pagani, ho scritto la sceneggiatura. Ma poiché la serie è stata prodotta con un forte spirito di gruppo, ognuno dava una mano come poteva. Perciò, pur non avendo nulla dell’attore, mi sono ritrovato un ruolo da comparsa: indossata una luna di cartapesta, ho suonato il sax per qualche secondo nel gelo di una notte di febbraio.
Era il 2014. Scrivere in pochi mesi una serie per il web, ambientata nella Svizzera italiana, è stata un’esperienza preziosa. Con Marco Pagani ci siamo messi giorno dopo giorno al computer, accanto a un camino acceso, e abbiamo provato a far parlare i personaggi. In seguito, ho imparato molte cose anche dalle visite sul set: regista, tecnici e operatori erano tutti professionisti, e lavoravano a questa web-serie perché credevano nel progetto. Ho ammirato la fantasia con cui hanno inventato soluzioni creative impensabili: potete immaginare i mille problemi di una troupe che, nei giorni più freddi dell’anno, ha la bizzarra idea di girare un film ambientato durante il carnevale.

Ecco la presentazione “ufficiale” della web-serie:
Bruno Cesconi, un uomo di mezza età, taciturno, un po’ ruvido, ha perso sua moglie Erika in un incidente stradale. Lavora in una cava di granito, nel nord del Canton Ticino, e dopo la morte di Erika, non ce la fa più a stare a casa da solo. Allora diventa volontario di Nez Rouge, l’associazione che fornisce un servizio a chi, per un motivo o per l’altro, la sera non se la sente di guidare la propria automobile. Nel corso di un lungo inverno di pioggia e di neve, Cesconi scarrozza su e giù per la Svizzera italiana un popolo notturno e bizzarro, composto da ubriaconi, ragazzine sognanti, drogati, lavoratori assonnati, individui patetici o inquietanti. Una sera, scopre per caso qualcosa di sorprendente sulla morte di Erika. Da quel momento comincia un’indagine personale che lo porterà a interrogarsi su di sé e sulla propria capacità di amare.

Oggi, di quei giorni, mi ricordo il gran freddo e l’urgenza creativa. Fabio Pellegrinelli, Marco Pagani, Mauro Boscarato, Adriano Schrade, Edoardo Gemma, Ilaria Antonietti, Davide Briccola, il protagonista Franco Ravera, Emiliano Brioschi, Sara Bertelà e tutti gli altri attori, i ragazzi della Rec, ognuno ha lavorato per dare forma e sostanza a un frammento di realtà notturna. Una piccola storia, a tratti ironica a tratti dolorosa, un racconto noir ma anche una fantasticheria stralunata. La serie ha poi ottenuto premi e riconoscimenti, è stata proiettata al cinema e alla tivù, ma io più che riguardarla preferisco ricordarmela come l’ho vissuta.
Da allora, per me, attraversare un sottopassaggio non è più un gesto scontato. Niente è impossibile. Arriva sempre il momento giusto per tutto: basta aspettare. Anche la luna, quando è bella piena, matura, può cascarti fra le braccia…

PS: La fotografia è stata scattata durante le riprese. Il primo video è la puntata numero uno della serie (le altre sono disponibili qui); l’altro è il backstage. La scena della luna si trova nella puntata numero tre.
La citazione finale di questo articolo proviene da La voce della luna, l’ultimo film di Federico Fellini (girato nel 1990).
Di seguito, per concludere, un’altra fotografia scattata durante le riprese della “scena lunare”: l’occhio attento del regista sorveglia i movimenti delle dita sulla tastiera del sax…
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“Every style is the result of a handicap”

C’è chi me lo chiede, ogni tanto. Perché uno come te, senza talento musicale, si è messo in mente di suonare il sax? Io rispondo che si tratta di un esperimento: uso me stesso come cavia per dimostrare che la musica è qualcosa che tutti abbiamo dentro e che, presto o tardi, troverà una via d’uscita.
image1Da qualche anno prendo lezioni di sax. E sto imparando. Non sarò mai un virtuoso, ma forse un ascoltatore più attento. Inoltre, il fatto di suonare apre nella mia vita spazi di gratuità: un’attività che faccio per il gusto di farla, da solo, per il piacere di sviluppare un suono personale. Senza dover dimostrare niente a nessuno. Be’, naturalmente ho un maestro paziente, che ogni tanto viene a rincorrermi nelle giungle di accordi strani in cui mi smarrisco.
La musica mi aiuta fra l’altro a comporre i dissidi e ad apprezzare la semplicità. Questi per me sono due grandi insegnamenti.
FullSizeRenderQuando suoni con qualcuno devi ascoltarlo, non si scappa. Non puoi essere concentrato sempre e solo sulla tua voce, ma devi prestare attenzione, reagire agli stimoli. Ogni tanto ti succede di sbagliare, capita anche ai più bravi, e devi proseguire lo stesso. Come diceva il pianista Thelonius Monk, bisogna fare gli errori giusti.
Con il tempo e il lavoro, ti accorgi poi che non si tratta di aggiungere, ma di togliere, di rendere più essenziale la propria voce: è la difficile arte della facilità. Per averne un’idea si può guardare un video del dicembre 1957, in cui un gruppo di musicisti accompagna Billie Holiday. Dopo trenta secondi, Billie comincia a cantare “Fine and Mellow”. Poi si alza Ben Webster, per il suo assolo. Subito dopo, intorno al secondo minuto, ecco apparire Lester Young, un po’ all’improvviso, come se il suo intervento non fosse previsto. Fra Lester e Billie c’è un rapporto di amicizia profondo, sebbene negli ultimi anni si siano visti poco; entrambi del resto sono affaticati da alcol, droga, malattie. Moriranno due anni dopo, nel 1959, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra, dopo un declino rovinoso. Ma nei momenti catturati dalla cinepresa, Lester Young riesce a compiere un piccolo miracolo: soffia nel sax e fa un assolo semplicissimo (a partire dal minuto 1.23). Poche note indietro sul tempo, una linea musicale scarna, commovente, che risponde al sentimento di Billie ed esprime tenerezza, malinconia, partecipazione. Infatti lei alza gli occhi, lo guarda e senza parlare dice tutto: è così, annuisce, è proprio così.

È una scintilla che dura pochi secondi, poi riprende la canzone. Ma in quegli istanti si capisce come la musica possa placare una ferita – specialmente il blues – come uno sguardo possa dire più di lunghi discorsi, più di mille telefonate, lettere, messaggi. IMG_0600Basta una serie di note, limpide come gocce d’acqua, basta un sorriso.
Quanti musicisti hanno imparato ad accettare le loro imperfezioni, anzi, a usarle per essere più autentici, più compiuti. Non parlo soltanto degli schiavi che inventarono il blues o dei jazzisti degli anni Cinquanta minati dalle dipendenze. Penso anche a un virtuoso come Keith Jarrett, che nel 1996 fu travolto da una sindrome da affaticamento cronico. Nel 1999, durante la convalescenza, incise da solo il disco The melody at night with you: niente di straordinario, poche canzoni d’amore suonate in maniera sommessa. Ma proprio per questo, forse, è uno dei dischi di Jarrett che più mi hanno colpito al primo ascolto.

Il mio mestiere non è suonare, ma scrivere.
La musica è un’attività meno intensa, meno sofferta, però a volte mi porta in territori che non avrei mai pensato di attraversare. E allora sbaglio il ritmo, non sento gli accordi, perdo il treno. Poco male. Basta avere pazienza, perché prima o poi le cose si sbloccano. Anche per chi, come me, parte con un forte handicap. Ma diceva proprio Lester Young: Every style is the result of a handicap. Ogni stile è il risultato di una mancanza.

PS: L’incisione di I love you Porgy risale a un concerto del 1986 (quella del disco The melody at night with you non è disponibile su internet).

 

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