Ho perso il mio scudo!

Circa duemilasettecento anni fa un soldato greco si trovò a combattere contro i Sai, un popolo della Tracia. Questo soldato si chiamava Archiloco ed era nato a Paro, nell’arcipelago delle Cicladi, ma poi si era trasferito a nord, nell’isola di Taso. Qualcuno dice che suo padre fosse un nobile e sua madre una schiava. Altri raccontano che in gioventù, mentre viaggiava di notte con una vacca da vendere al mercato, Archiloco si sarebbe imbattuto in un gruppo di fanciulle che tornavano dai campi. Dopo qualche battuta scherzosa le fanciulle si dileguarono, e con loro anche la vacca. Invece del bovino il ragazzo avrebbe trovato uno strumento musicale: una lira deposta sull’erba. Che pensare? Di certo le ragazze erano le Muse e la lira un invito a diventare poeta. Archiloco dunque affinò la pratica delle armi insieme a quella delle parole. Non era incline a descrivere la guerra in maniera epica, ma preferiva mettere l’accento sui dettagli della vita quotidiana: «La lancia mi dà il pane, mi dà il vino la lancia, / questo vino che bevo appoggiato alla lancia».

Un giorno, lottando contro i Sai, Archiloco se la vide brutta. Nel trambusto fu costretto a nascondersi e poi a fuggire. Per non rischiare di venire catturato, abbandonò il suo scudo. Alla fine riuscì a salvarsi e lo scudo, probabilmente, venne rubato da uno dei Sai.
Non era un’azione di cui vantarsi. Allora come oggi, il destino degli eroi era quello di morire di morte eroica. Le donne spartane invitavano i loro figli a tornare o con lo scudo (e quindi vittoriosi) o sopra lo scudo (e quindi morti), ma in nessun caso senza scudo. La parola ῥίψασπις, che significa “persona che getta lo scudo e fugge dalla battaglia” non era certo un complimento. Eppure fu lo stesso Archiloco a raccontare la sua avventura in quattro versi che divennero celebri.

Ἄσπίδι μὲν Σαΐων τις ἀγάλλεται, ἣν παρὰ θάμνῳ,
ἔντος ἀμώμητον, κάλλιπον οὐκ ἐθέλων·
αὐτὸν δ’ ἐξεσάωσα. τί μοι μέλει ἀσπὶς ἐκείνη;
ἐρρέτω· ἐξαῦτις κτήσομαι οὐ κακίω.

Sono due distici elegiaci, formati da un esametro e un pentametro, entrambi dattilici (qui potete ascoltare come suonano). All’inizio del primo distico nomina subito lo scudo (Ἄσπίδι), mentre all’inizio del secondo nomina nomina sé stesso (αὐτὸν). In questo modo mette in evidenza l’antitesi fra lo scudo (perso) e la vita (salvata). Nella traduzione ho cercato di rendere questa opposizione, creando un contrasto fra il primo e il terzo verso. Ho messo inoltre in evidenza l’io poetico che, in spregio alla retorica guerresca, preferisce scampare a una morte gloriosa.

Ho lasciato lo scudo fra i cespugli, a malincuore,
un’arma senza macchia. Se ne vanta un soldato dei Sai, ma io
ho salvato la vita. E che m’importa dello scudo?
Vada in malora! Ne prenderò un altro e non sarà peggiore.

Gli studiosi divergono sul significato di questi versi. In genere si pensa che Archiloco abbia voluto sottolineare l’importanza della salvezza, che vale più del codice d’onore militare. Alcuni tuttavia sottolineano la rabbia per avere perso lo scudo e, nell’ultimo verso, mettono in risalto la volontà di rivalsa. In ogni caso, dopo Archiloco, altri poeti ripresero il tema dello scudo abbandonato (Alceo e Anacreonte fra i greci, Orazio fra i latini).

Oggi è il mio compleanno. Non so bene perché proprio oggi abbia ripensato a questo classico, che dormiva negli archivi polverosi della mia mente. Comunque ho notato due cose. Primo: è vero che abbandonando lo scudo si fugge dal nemico, ma nello stesso tempo si è più esposti. Secondo: imparare a combattere senza scudo può essere il segreto per togliersi d’impiccio.
Mi è capitato di abbandonare numerosi scudi, lo confesso. Ma non ho avuto l’impressione di fuggire: anzi, senza schermi la mia percezione si è affinata. Ho scoperto che l’unico modo per essere davvero nel mondo, per essere qui e ora, è accettare di essere vunerabili.
Non amo voltarmi indietro a guardare i cespugli del passato, ma il giorno del proprio compleanno come si fa a evitarlo? Quante armature complete e corazze di piastra ho tentato d’indossare in tutti questi anni. E quanta fatica per capire come fronteggiare i nemici senza protezione: bisogna allenare l’arte della parata e della schivata, bisogna tenere le orecchie e gli occhi aperti, sopportare le ferite e, quando necessario, fuggire. Ci vuole coraggio. Chi l’ha mai detto che si debba vincere combattendo fra gli eserciti che invadono le pianure? Certe battaglie vanno risolte in montagna, nel silenzio, con l’arma della pazienza. Quando sono lassù mi rendo conto di essere il peggior nemico di me stesso.
Come raggiungere la salvezza? Non certo grazie al mio sforzo, che mi porterebbe ad appesantirmi con gli scudi e le piastre di ferro. È facile accorgermi del male che abita dentro di me. Più difficile è avvistare il bene, che si presenta all’improvviso, in maniera gratuita e sorprendente. Arriva sempre dagli altri, dagli incontri, dagli scambi. Non si può costringere in una definizione. È un momento di grazia.

PS: A proposito di grazia. Di solito il giorno del mio compleanno condivido con i lettori di questo blog un racconto inedito. Quest’anno propongo una breve storia intitolata proprio Grazia e scritta l’anno scorso per Rete 2, il canale culturale della radio svizzera (RSI). Il progetto “I nuovi sillabari”, a cura di Sandra Sain, è un omaggio a Goffredo Parise: 20 autrici e autori svizzeri di lingua italiana hanno immaginato un testo ispirato a una singola parola, come fece Parise nei suoi Sillabari. A me è toccata la parola “grazia”

ASCOLTA IL RACCONTO GRAZIA

PPS: Tradizionalmente, riepilogo anche alcune pubblicazioni uscite nell’ultimo anno. Per prima cosa segnalo Le strade oscure, pubblicato da Guanda. Qui sotto vedete il “booktrailer”. Poi sono uscite alcune traduzioni in tedesco: In Zürich auf dem Mond per Limmatverlag (A Zurigo sulla luna, scritto con Yari Bernasconi e pubblicato da Capelli nel 2021); Tod in den Bergen per Btb Verlag – Randomhouse (Gli Svizzeri muoiono felici, Guanda 2018), Wachtmeister Studers Ferien per Atlantis Verlag (Le vacanze di Studer, scritto con Friedrich Glauser, Casagrande 2020); Damals im Tessin per Atlantis Verlag (L’uomo senza casa, Guanda 2018, già tradotto da Btb con il titolo di Am Grund des Sees nel 2009). Una traduzione in lettone: Kalnu Klusumus per Latvijas Mediji (La sparizione, Guanda 2010). In allegato al “Corriere della Sera” è uscita una riedizione de L’arte del fallimento, nella collana “Noir. Il lato oscuro delle cose”, a cura di Carlo Lucarelli.

Per quanto riguarda i progetti in corso, mi limito a dire che sto lavorando a un saggio-romanzo e a un paio di racconti per delle antologie; inoltre sto riordinando le prose brevi che ho scritto nel corso degli anni. Sto lavorando anche insieme a Yari Bernasconi: abbiamo diversi progetti in cantiere.
Infine, è uscito il film di Fabio Pellegrinelli La tentazione di esistere, prodotto da Rough Cat. Con Marco Pagani e lo stesso Pellegrinelli ho scritto il copione e la sceneggiatura. Qui sotto potete vedere il trailer.

PPPS: Per questo articolo ho tradotto due frammenti di Archiloco rispolverando il mio greco antico (un po’ rugginoso, ormai). Il primo, quello che parla della lancia, è pure un distico elegiaco. Ecco il testo originale: Ἐν δορὶ μέν μοι μᾶζα μεμαγμένη, ἐν δορὶ δ’οἶνος / Ἰσμαρικὸς, πίνω δ’ἐν δορὶ κεκλιμένος.
Su Archiloco ho consultato i seguenti volumi: Archiloco, Frammenti, con un saggio di Bruno Gentili, traduzione e cura di Nicoletta Russello, Rizzoli, Milano 1993; AAVV, Lirici greci dell’età arcaica, a cura di Enzo Mandruzzato, Rizzoli, Milano 1994; Massimiliano Ornaghi, La lira, la vacca e le donne insolenti, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2009; Maria Chiara Martinelli, Gli strumenti del poeta: elementi di metrica greca, Cappelli, Bologna 1997.
È curiosa, fra le varie traduzioni del frammento sullo scudo, quella che fece Giuseppe Fraccaroli all’inizio del XX secolo, cercando di ricreare nei versi italiani gli accenti della metrica latina. Si trova in G. Fraccaroli, I lirici greci: elegia e giambo, vol. 1, Bocca, Torino 1910.

Povero scudo! non so – chi de’ Sai se n’adorni: alla macchia,
splendido arnese, io l’ho – proprio dovuto buttar…
Ci ho guadagnato, però, – la pelle. E che al diavolo vada
quello scudo! N’avrò – presto uno ancora miglior!

PPPPS: La prima fotografia è di dominio pubblico: è il ritratto di un guerriero accovacciato con uno scudo e risale al 560 a. C. (Archiloco visse intorno al 650 a. C, ma non ho trovato scudi di quell’epoca). La seconda ritrae una Genziana primaticcia (Gentiana verna), uno dei primi fiori a sbocciare dopo l’inverno; cresce fino a tremilacinquecento metri di quota e pure oltre. L’ho fotografata sull’altopiano della Greina, in Svizzera, fra il canton Ticino e il canton Grigioni. Credo che anche questa genziana, come il poeta soldato Archiloco, conosca bene l’arte della sopravvivenza.

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