Non importa dove

CARTOLINE (MARZO)

“Cartoline” (#cartoline2020) è un progetto ideato e scritto da Yari Bernasconi e Andrea Fazioli.

CARTOLINA NUMERO 9
Da Parigi, Francia
Un bar, un palazzo in periferia, un ponte sulla Senna, l’angolo di una piazza, un parco, un take-away… Non importa dove: Parigi offre sempre un punto di fuga, un aldilà. Scendendo da Montmartre ci fermiamo per scriverti questa cartolina, appoggiati a un muretto. All’inizio non ce ne accorgiamo, sentiamo solo un fruscio, un respiro interrotto. Poi voltiamo lo sguardo ed eccolo, sta uscendo da un muro. Noi sobbalziamo. L’uomo sbuca fuori, letteralmente, da un solido muro di pietra. Ben vestito, sulla quarantina. Si rivolge a noi con gentilezza e si presenta come Dutilleul. Gli chiediamo qualche spiegazione, ma lui – come se tutto fosse normale – alza le spalle. Forse ha ragione: a cosa serve un muro, dopotutto, se non a passarci attraverso?

CARTOLINA NUMERO 10
Dal solaio
Nella penombra appaiono bambole, bottiglie, ceste di vimini. In un angolo troviamo una grossa scatola di cartone con la dicitura LIBRI! in rosso. È un’indicazione intrigante, ma la scatola è ben sigillata con un nastro adesivo marrone scuro, del genere più tenace. Esitiamo, poi ci blocchiamo. Una scoperta del genere è un bivio: impossibile sapere se la scatola rappresenti un banale ritardo, una dimenticanza, o al contrario un’attesa, un anticipo. Insomma, il trasloco è alle spalle o all’orizzonte? Nell’attimo stesso in cui lo sguardo incontra il punto esclamativo, non è più chiaro se questa sia la casa in cui stiamo per vivere o quella in cui abbiamo vissuto.

CARTOLINA NUMERO 11
Da Bellinzona, in un giorno di primavera del Neolitico medio
C’è un’armonia naturale nella precarietà delle capanne circolari. La luce del sole si allunga sui prati. Da quassù, la piana alluvionale sembra vicina e al tempo stesso lontana: è come se la vedessimo con anticipo sul tempo che scorre. Fra seimila anni le macchine fotografiche saranno tutte per le rocce delle fortificazioni. Verranno ricordate le prime tracce di edifici romani, risalenti alla fine del I secolo avanti Cristo, e via via le altre tappe che renderanno possibile il celebre insieme di castelli e cinta murarie. Un panorama che indurrà i passanti a fermarsi e a scattare selfie spettacolari. Tutto il contrario di queste capanne leggere, ridicole di fronte ai millenni. Eppure il silenzio ha un odore diverso, qui, sul verde della collinetta che guarda con torpore la pianura da una parte e la montagna dall’altra. La notte, non c’è bisogno della torre più alta per avvicinarsi al cielo.

CARTOLINA NUMERO 12
Dalla cucina di un palazzo nobiliare
La cucina è vasta e polverosa. Ci sono arcate di pietra, un solido tavolo di legno, pentole di rame, lunghi spiedi, forchettoni alle pareti. Di fianco all’immenso camino, una catasta di legna; nel camino stesso, sotto l’ampia cappa, hanno messo due piccole panche su cui sedersi. La ragazza sta lì e fissa il vuoto. Proviamo ad attirare la sua attenzione con un colpo di tosse. Lei si volta e nei suoi occhi leggiamo dolore, rassegnazione, nostalgia per il tempo perduto. Ma è così giovane! «Che succede?», chiediamo. «Sei sola in casa?» La ragazza abbassa lo sguardo sulla cenere. «Sono tutte al ballo». In quel momento percepiamo nell’aria qualcosa di insolito. Tutto è inesorabilmente grigio e triste, ma allo stesso tempo sembra vibrare qualcosa di potente, come un pulviscolo di scintille invisibili, forse magiche. «Come ti chiami?» Lei fa un sorriso mesto. «Che cosa importa? Tutti mi chiamano Cenerentola».

PS: Potete leggere qui le prime quattro cartoline e qui le cartoline dalla quinta all’ottava.

PPS: L’uomo che passa attraverso i muri, l’enigmatico Dutilleul, è il protagonista di un racconto di Marcel Aymé (1902-1967), intitolato Le passe-muraille e contenuto in una raccolta omonima insieme ad altre nove storie (Gallimard, Paris, 1943). In italiano è stato pubblicato con il titolo Garù-Garù Passamuri, tradotto da Fiore Pucci in AAVV, Umoristi del Novecento. Con alcuni singolari precursori del secolo precedente, a cura di Giambattista Vicari, prefazione di Attilio Bertolucci, Garzanti, Milano, 1959. Ecco l’inizio del racconto: «A Montmartre, numero 75 bis della rue d’Orchampt, terzo piano, abitava un brav’uomo, di nome Dutilleul, che aveva il singolare dono di passare attraverso i muri senza alcuna difficoltà».

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“Chi va a Parigi, va a casa”

Faccio fatica a scriverne, ma ci provo.
In questi giorni ho letto molte parole su Parigi, molte grida di dolore, molti ragionamenti. Alcune di queste parole riuscivano a esprimere anche il mio smarrimento, senza bisogno che aggiungessi altro. Passato qualche giorno, sento però il bisogno di scrivere qualcosa non sull’attentato, ma sulla città, sul mio sentimento nei suoi confronti.
Da sempre amo Parigi. Prima di vederla, già la conoscevo attraverso le canzoni, i romanzi, le poesie. Con il commissario Maigret ho scarpinato sui marciapiedi di tutta la città, tanto che quando ci sono stato davvero mi sembrava di tornare a casa. Studiavo letteratura francese, all’università, e da lontano continuavo a esplorare Parigi: bastava un verso, una replica in una pièce teatrale, la rilettura di un classico o la scoperta di un nuovo poeta.
Finanze permettendo, ho sempre cercato di tornare ogni anno a Parigi, anche solo per qualche giorno. Non sto ora a elencarvi i miei luoghi cari, i momenti a Parigi in cui ho capito qualche cosa di me stesso o del mondo. Mi limito a citare un incontro fatto questa primavera, nel mese di maggio.
All’inizio dell’anno mi era capitato di scoprire un breve racconto fantastico di Marcel Aymé. È molto famoso, ma io non l’avevo mai letto. S’intitola “Le passe-muraille” e comincia in maniera affascinante: A Montmartre, numero 75 bis della rue d’Orchampt, terzo piano, abitava un brav’uomo, di nome Dutilleul, che aveva il singolare dono di passare attraverso i muri senza alcuna difficoltà.
La vicenda di questo modesto impiegato e del suo bizzarro talento consente all’autore di tracciare un quadro ironico e affettuoso della Parigi anni ’30-’40. Ora non vi racconto la storia (merita di essere letta). Mi limito a dire che, a un certo punto, il nostro Dutilleul finisce incastrato in un muro… e tanti anni dopo, si trova ancora lì. Immaginate il mio stupore quando per caso, dopo aver svoltato in una via secondaria, mi sono trovato in place Marcel Aymé, dove ho potuto salutare di persona il povero Dutilleul.
IMG_1858Questa è la Parigi che amo: una città dove girovagare, dove perdersi, piena di contraddizioni fra modernità e memoria, fra consumismo e fantasia. Una città sempre sul filo dell’assurdo, come il racconto di Aymé, ma sempre capace di umorismo, di eleganza. Una città che è riuscita a sopravvivere a momenti storici drammatici, che ha rischiato di essere bruciata dai nazisti ed è ancora qui. Una città ferita, certo, ma viva, pronta a resistere e a stupirci di nuovo.
Per concludere, prendo in prestito le parole di un poeta, che in una breve lirica ha espresso ciò che sento in questo momento: il mio cuore batte a Parigi. La poesia è di Giorgio Caproni ed è stata scritta nel 1979.
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PS: Il titolo di questo post è una fulminea poesia dello stesso Caproni, intitolata “Assioma” e tratta da Erba francese, una plaquette pubblicata nel ’79 (da cui ho preso anche “Il cuore”).

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