Mi capita a volte di pensare ad animali che non esistono.
Per anni ho buttato giù appunti su queste bestie immaginarie. Mi sono appassionato all’argomento, ho letto bestiari medievali e bestiari moderni. Piano piano ho scritto delle prose, poi molte le ho abbandonate, altre le ho corrette e riviste, altre ancora le ho perse e ritrovate. Alcune sono finite nel romanzo Le strade oscure (Guanda).
Da sempre gli scrittori affidano agli animali le parole che non riescono a dire. Nelle mie ricerche sono partito da antichi testi cinesi ed ebraici e dalla stessa Bibbia, che contiene molti animali fantastici. Poi mi sono soffermato sul Fisiologo, che è il bestiario occidentale più antico, composto in greco ad Alessandria nel II secolo.
Nella loro ingenuità, i vecchi bestiari possono suscitare commozione. «C’è un uccello chiamato upupa – dice il Fisiologo. – I figli, quando vedono i genitori invecchiati, strappano le loro vecchie ali e leccano i loro occhi, li riscaldano sotto le loro ali e li covano e questi ridiventano giovani; allora dicono ai loro genitori: “Voi ci avete covati e avete faticato per allevarci; anche noi abbiamo fatto lo stesso con voi”.» Oltre alla tenerezza delle cure, stupisce questa infanzia rinata nell’estrema vecchiezza. Curioso come proprio questo uccello sia stato in seguito, come ebbe a dire Eugenio Montale, «calunniato dai poeti». Foscolo lo rappresenta come un’«immonda» creatura che svolazza fra le tombe e Parini l’annovera fra i «mostri avversi al sole». Montale invece è più vicino al Fisiologo, quando definisce l’upupa un «ilare uccello» e un «nunzio primaverile», celebrandone la vitalità: «per te il tempo s’arresta / non muore più febbraio».
Anche nei migliori bestiari del Novecento gli animali esprimono la drammaticità e la grazia della vita umana. Federigo Tozzi, per esempio, con le sue Bestie (1917) compone una serie di prose brevi dove compare sempre un animale, come clausola misteriosa. Così l’autore racconta il suo ritorno a casa in una notte stellata: «E tutta la bellezza della sera vorrebbe entrare dopo di me; e spinge in qua l’uscio, sì che duro fatica a rinchiuderlo. Perché la gatta miagola e si spenzola dalla grondaia?» Il brano finisce qui, con il fremito dell’animale che rappresenta la segreta tensione dell’uomo.
In questo caso sono animali reali, come l’upupa e la gatta, usati però al servizio dell’immaginazione. Ma nei bestiari appaiono anche veri e propri animali immaginari, come le «particelle grammaticali» di Ermanno Cavazzoni: «I laonde, i per cui, i costà appartengono alla categoria degli insetti e ronzano intorno alla testa del poeta sotto ispirazione». Oppure pensiamo al Manuale di zoologia fantastica, in cui Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero annotano le caratteristiche di molte creature interessanti, fra le quali il Goofus Bird, «uccello che costruisce il nido a rovescio e vola all’indietro, perché non gli importa del posto dove va, ma di quello dove stava».
Nel romanzo Le strade oscure appaiono animali tratti dai bestiari antichi e da quelli moderni. Ma le prose specificamente dedicate a queste invenzioni, sebbene partano dalle figurazioni medievali, si sviluppano in maniera indipendente.
Ecco un esempio.
Avrai sentito parlare del grizzly. È uno degli orsi più grandi che ci siano al mondo. Ho letto di un esemplare che pesava ben 680 chilogrammi. Poi c’è il cosiddetto «orso grolare», che è ancora più grosso ed è un incrocio fra un grizzly e un orso polare. Pochi invece conoscono l’esistenza del grilly. È altrettanto grande e pericoloso, ma non ha denti né unghie. Per dirla tutta non ha nemmeno pelo, grasso, ossa, nervi o muscoli. Il grilly non si può toccare, non si può vedere. È qualcosa che percorre le strade nei pomeriggi assolati dei weekend.
Le madri preparano l’insalata di patate, i padri accendono la carbonella. I bambini giocano dentro una piscina azzurra. I nonni o gli zii bevono un bicchiere di bianco. L’uomo che cammina cade facilmente nell’agguato. La stretta poderosa del grilly lo cattura all’improvviso: egli allora pensa a quanto sia lontano dai suoi cari e si perde nella nuvola odorosa di carne, birra, famiglie felici, risate, persone che sanno stare tranquille. L’uomo, tra le zampe della bestia, è disperatamente solo.
È possibile sconfiggere un grilly? Sì, ma bisogna essere molto coraggiosi. E anche molto fortunati.
Prima di chiudere vorrei fare un altro esempio, per illustrare la genesi di un altro animale immaginario che si trova nel romanzo.
Spesso, quando guardo il cielo, mi capita di vedere draghi. Molte persone riconoscono forme nelle nuvole: uomini, donne, cose, bestie, magari anche creature più oniriche e bizzarre. È quasi inevitabile. Gli animali, del resto, non appaiono soltanto nelle nuvole, ma si nascondono ovunque: ricordo un passo di Moby Dick in cui Melville accenna alle balene intraviste in un profilo di montagna. Da quando lo lessi per la prima volta, anch’io ho avvistato parecchi di questi inafferrabili “cetacei di montagna”.
Tornando al cielo, in un primo momento mi venne in mente di scrivere una piccola prosa dedicata alla “nuvola-drago”. Ma mi sembrava troppo banale, troppo ancorata a un semplice esercizio di fantasia. Voglio dire, nella mia vita avevo conosciuto molte nuvole-drago (e ogni estate ne scopro di nuove), ma non mi sembravano un vero e proprio animale immaginario come lo sniek, il buiardo, il segretolo, l’erkraidguyok, la fogliassera, il ciottolicchio, la pulciottera e tutti gli altri che riempivano le pagine del mio taccuino (quelli appena citati, in particolare, sono finiti anche nel romanzo).
Alla fine compresi che il drago doveva apparire diverso: non una nuvola che si staglia nel cielo, ma una creatura più profonda, più vasta, più indecifrabile, proprio come il cielo stesso.
Nella vita di tutti noi ci sono molti draghi. Quelli più remoti, che risalgono alle fiabe ascoltate da bambini, quelli impalpabili che cerchiamo nelle costellazioni o nella forma delle nuvole, quelli che incontriamo nei libri, nei dipinti, nelle sculture. Ci sono draghi che s’insinuano di notte nei nostri sogni, altri a cui diamo nomi diversi: dinosauri, serpentoni, mostri, chimere.
Ma il drago più grande è il cielo. O meglio, non il vero cielo, ma una creatura che gli si pone davanti, dello stesso colore, della stessa sostanza. È un animale mimetico, in grado di assumere la forma celeste tanto da ingannare chiunque. Per individuarlo bisogna sdraiarsi su un prato, in un pomeriggio estivo, e contemplare a lungo l’azzurro. Allora capiterà di sorprendere un movimento furtivo, un colpo d’ala o uno sbuffo di fumo. Per un attimo sarà come vedere un cielo adagiato contro il cielo. Quando poi il drago volerà via, la profondità sopra di noi sembrerà ancora più vasta, più misteriosa. A che cosa serve, ti chiederai, questo drago tanto difficile da reperire? È semplice: serve a guardare meglio il cielo.
PS: Approfitto di questo articolo che prende spunto da Le strade oscure per annunciare ai lettori di questo blog che il romanzo è stato scelto nella cinquina dei finalisti al Premio Scerbanenco 2022, in seguito alla selezione della giuria e al voto del pubblico; a questo proposito, ringrazio di cuore tutte le persone che hanno votato per il romanzo.
PPS: Avevo già approfondito qui alcuni aspetti della genesi del romanzo. E avevo già parlato degli animali immaginari in un articolo apparso su “Il Libraio”.
PPPS: Ecco un elenco dei testi che ho citato nell’articolo: AAVV, Bestiari tardoantichi e medievali, a cura di Francesco Zambon, Bompiani 2018; Foscolo, “I sepolcri”, in Sepolcri Odi Sonetti, Mondadori 1987; Parini, “La Notte”, in Il Giorno, Mondadori 1986; Ermanno Cavazzoni, Guida agli animali fantastici, Guanda 2011; Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero, Manual de zoología fantástica, 1957, Manuale di zoologia fantastica, trad. di Franco Lucentini, nuova edizione a cura di Glauco Felci, Einaudi 1998; Federigo Tozzi, Bestie, in Opere, Mondadori 1987. Non ho citato esplicitamente il passo di Moby Dick (ve lo lascio cercare, se volete, com’è giusto che si faccia con le balene); comunque, se l’avessi fatto, sarebbe stato nella traduzione di Cesare Pavese pubblicata da Adelphi.