Radio, tivù e tam tam

Ogni microfono è un invito a stare zitti. Se ne sta lì come un moscone a cui abbiano tagliato le ali. E tace, aspettando di risucchiare parole. Un microfono amplifica. Trasmette. Registra. Distorce. Prende quello che dici e lo porta altrove. Le persone sagge dovrebbero guardare i microfoni con cautela, da lontano, come fanno i turisti che vanno in Africa a spiare i leoni: senza scendere dalla jeep. Ma con un microfono è più complicato. Di solito, se ci sei finito davanti, è perché qualcuno si aspetta che tu scenda dalla jeep.
Come scrittore cerco di essere attento alle parole. Anche una penna o la tastiera di un computer sono un invito a tacere, o meglio, a lasciare che affiorino soltanto le parole necessarie. Credo che la domanda personale – perché scrivo? – sia un’eco della Grande Domanda Impegnativa, quella che indaga il senso della letteratura (per non dire della Letteratura). Senza teorizzare troppo, mi riconosco nel pensiero di Giuseppe Pontiggia: Penso che una delle mete di un narratore sia di dar vita a un testo che alla fine ne sappia più di lui, un testo che rappresenti per lui una fonte di sorpresa, di curiosità, di conoscenza, che non lo deluda alla rilettura, ma anzi riveli significati nascosti che lui stesso non poteva prevedere. Insomma: un testo è riuscito se ne sa di più dell’autore.
Ma questo ancora non ci spiega la ragione per cui, davanti a un microfono, dovremmo scendere dalla jeep. Nel mio caso, si tratta di lavoro: la mattina vado alla radio e accendo il microfono perché mi pagano per farlo. Questa tuttavia è una spiegazione parziale (e lo è pure nel caso della letteratura). Per fare bene il mio lavoro ho bisogno di pormi la domanda personale – perché dico parole alla radio? – e anche la Grande Domanda Impegnativa: a che cosa serve nella Confederazione svizzera l’esistenza di una radio pubblica in lingua italiana, con un canale culturale?
Lavoro alla Radiotelevisione svizzera (RSI) dal 2005: come animatore a Rete2 (il canale culturale), come giornalista all’Informazione, come animatore a Rete3 (un altro canale radiofonico), poi come conduttore in un programma televisivo in diretta, oggi di nuovo come conduttore a Rete2. Sono in onda dalle 6 alle 9.30. Mi sveglio alle 4 a Bellinzona e arrivo a Lugano, nella sede della radio, alle 5. Leggo i giornali, mi preparo. Alle 5.30 arriva il regista tecnico. Alle 6 premo il pulsante rosso.
Ragionavo sul mio lavoro già all’epoca in cui mi occupavo dei notiziari. Sedevo davanti a uno schermo sul quale scorrevano le agenzie da tutto il mondo. Ogni sessanta minuti scrivevo un testo con le notizie più importanti, poi lo leggevo al microfono. Il turno dalle 8 alle 17, quello dalle 18 all’una, quello dall’una alle 8. Anche di notte, implacabilmente, un notiziario a ogni scoccare dell’ora. Anni dopo mi capitò di andare in onda alla tivù il mattino presto, a partire dalle 7. Ricordo i lunghi corridoi fino alla sala trucco. La conduttrice di solito era già lì da un po’ a farsi acconciare i capelli. Io mi sedevo davanti allo specchio e mi trovavo davanti a una faccia che, secondo la truccatrice, era proprio la mia (ma non ne sono ancora sicuro, nemmeno oggi). E mi chiedevo: perché?
L’alba è il momento delle domande. Guardo il parcheggio, spettrale, illuminato da un lampione che ce la mette tutta ma sembra addormentato pure lui. A che cosa serve questo lavoro? Me lo chiedo guidando lungo l’autostrada deserta, poi quando finalmente saluto le ascoltatrici e gli ascoltatori. Forse la risposta si trova proprio in quella solitudine che, il mattino presto, sembra avvolgere il mondo.
Di recente mi è capitato di leggere una poesia di Antonia Pozzi, intitolata Lieve offerta. I versi finali esprimono un auspicio: Vorrei che la mia anima ti fosse / leggera, / che la mia poesia ti fosse un ponte, / sottile e saldo, / bianco – / sulle oscure voragini / della terra. Antonia Pozzi affida alla poesia il ruolo di un ponte. Questo può essere vero sia per la scrittura, sia per la radio e la tivù. Le parole hanno la capacità prodigiosa di fare da ponti, di costruire connessioni fra persone che non si vedono e che magari non s’incontreranno mai. Ma la voce di una radio accesa è già un incontro, così come lo è il riconoscersi nei personaggi di un romanzo. Tutti sappiamo quanto possano essere oscure le voragini della terra, e quanto gli esseri umani abbiano l’esigenza di riconoscersi negli altri.
Esiste un mezzo più antico e più potente della radio e della tivù. Forse anche più potente della scrittura. Parlo del tam tam, il tamburo africano che veniva usato per trasmettere a distanza segnali e messaggi. Mi ha sempre stupito, fin da bambino, l’estrema essenzialità del codice: una sequenza di colpi assume un significato, come se i battiti del cuore diventassero parole. Inoltre, mi affascinava la classica scena da storia avventurosa, con i personaggi che camminano nella giungla e sentono all’improvviso risuonare i tamburi. Qualcuno immancabilmente chiede: Che cosa stanno dicendo? E la guida, con tono brusco: Parlano di noi.
Parlano di noi. È tutto qui. Parlano di noi. Sempre Pontiggia diceva che parlare è scoprire, attraverso il dialogo, qualcosa che non si sapeva di conoscere. In un buon programma radiofonico o televisivo, ogni discorso è un dialogo: fra il conduttore e l’ospite oppure fra il conduttore e il pubblico (anche se non parla, resta un interlocutore, presente e concreto). Ecco una possibile risposta alla domanda personale e alla Grande Domanda Impegnativa. Sebbene non abbiano la potenza primordiale dei tam tam, la radio e la tivù sanno tessere una rete di legami. Oggi più che mai è utile e preziosa una radiotelevisione che crei un ponte fra il vasto e intricato mondo e la Svizzera italiana, fra la Svizzera italiana stessa e i suoi abitanti, fra le diverse anime e lingue della Confederazione e, non da ultimo, fra me e me stesso, fra me il mondo, fra me e te.PS: Giuseppe Pontiggia è uno dei miei maestri. Le frasi che ho riportate provengono da una serie di conversazioni tenute nel 1994 e registrate dalla radio italiana (Radio 2 RAI). Si trovano nel volume Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere (Belleville 2016). Antonia Pozzi, nata nel 1912, morì suicida a 26 anni nel 1938. Il 5 agosto 1934 scrisse la lirica che ho citato (qui il testo completo). La poesia è tratta dal volume Lieve offerta (Bietti, 2014).

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19 pensieri su “Radio, tivù e tam tam

  1. Non conosco i programmi della radio e della televisione svizzera, ma ne ho sentito parlare bene da amici che abitano vicino al confine. Mi è piaciuta questa riflessione narrativa intorno al proprio lavoro: si vede tutta l’abilità di uno scrittore raffinato, capace di osservazione acuta e d’ironia e di costruzione della suspense… i tam tam poi mi hanno fatto sorridere! Ma è vero: in fondo sono il mezzo di comunicazione più vicino al cuore dell’uomo!

    1. Vorrei raccontarLe la mia esperienza di persona che dista 35 chilometri dal Confine del Bizzarone e che aveva scoperto la TV svizzera che arrivava nel Nord Italia col ripetitore del Monte Penice, poi la Radio con le onde medie che giungevano fino in Veneto e sulle colline bolognesi (ero riuscito ad ascoltare, solo la notte, persino sui Colli riminesi). Così sono molte le persone in Italia che hanno ancora un ottimo riferimento nei programmi informativi e culturali dell’attuale RSI (un tempo RTSI). Per la TV oggi ci sono molti problemi per i diritti televisivi internazionali, ma parecchie trasmissioni sono visibili in Rete (in replica) nel sito web . Per la Radio è semplicissimo: nel sito indicato potrebbe entrare in “ascolta la Radio” su in alto e selezionare una delle tre reti disponibili per l’ascolto in diretta!
      Se posso permettermi un giudizio circa la qualità, li trovo i migliori programmi in Lingua italiana e non li cambierei certo con le trasmissioni che oggi si trovano (con poche eccezioni) sul nostro suolo italiano… dove purtroppo si cerca molto l’audience a scapito dell’obiettività e del vero approfondimento e del rispetto del cervello di chi guarda ed ascolta: esempi ne potrei trovare a bizzeffe, ma qui glisso. Spiace solo che certi ambienti dell’imprenditoria liberista e del nazionalismo isolazionista (a mio vedere) stiano provando a smantellare il Servizio RadioTV pubblico a favore (dicono) della libertà individuale di scelta: senza forse capire che l’ingresso dell’imprenditoria nell’Informazione limiterebbe certamente la varietà e la qualità della programmazione (come è purtroppo accaduto a sud di Chiasso). Non so se Andrea vorrà mantenere nel blog il mio giudizio, per non contaminare il blog culturale con delle opinioni politiche… ma in fondo in fondo anche la politica è cultura che influenza il nostro pensiero ed il nostro vivere, in senso allargato.
      Pino – nativo e cittadino AltoMilanese

  2. Grande! Partire da un microfono e arrivare ai tam-tam! In mezzo, poi, una riflessione sul perché diciamo quello che diciamo e scriviamo quello che scriviamo. In me stimola anche domande. Per esempio: chi lavora con le parole non rischia di abituarsi troppo? Di perdere la capacità di ascolto e stupore? Da riflettere. Mi rileggerò il post con calma nei prossimi giorni.

    1. L’abitudine è sempre un rischio. Da un lato, come in ogni mestiere artigianale, l’esperienza approfondisce la tecnica; dall’altro lato, è necessario secondo me cercare sempre sentieri nuovi. La capacità di ascolto e di stupore cresce nel silenzio. Quando scrivevo il romanzo “La sparizione” (ma non solo) mi sono trovato a riflettere su questi argomenti, anche a causa di alcune vicissitudini personali. Credo che chi lavora con le parole debba educarsi anche a tacere.

  3. Guarda, non l’hai mai nominata, ma evidentemente se hai scritto questo post è anche per la votazione sulla no-billag. Certo tu lavori lì, quindi non puoi essere d’accordo. Io non lo so ancora cosa voterò, ma devo dire che la propaganda per il “No a No Billag!” mi fa venire voglia di votare sì (come quello spot con l’incendio, che è irrispettoso e vergognoso!). Per questo ammiro post come il tuo, che racconti la tua esperienza in maniera elegante, senza allarmismi e senza piagnucolare e senza insultare qualcuno come fanno tutti in questo Cantone! Bravo, almeno mi hai fatto pensare. Vedremo… 😉

    1. Scusate, io sto nelle Marche e sono un po’ lontana. Non ho capito che cosa sia questa “no billag” e che cosa c’entri con l’articolo (che per inciso ho apprezzato molto).

      1. Grazie, sono lieto che abbia apprezzato l’articolo. Rispondo alla sua domanda circa la “No Billag”: in tutta la Svizzera, in seguito a una iniziativa popolare, si voterà il 4 marzo 2018 per esprimersi sull’abolizione del canone radio-televisivo (riscosso da una società chiamata Billag). Il testo di legge in votazione prevede che la Confederazione non possa né sovvenzionare né gestire emittenti. Se venisse accettato, decreterebbe la fine della Società svizzera di radiotelevisione (SRG SSR).

  4. Ognuno dovrebbe interrogarsi sul proprio lavoro o sui propri lavori. Al di là del fatto che ci assicurano uno stipendio (cosa che come lei dice, signor Fazioli, resta comunque importante…). A parte l’aspetto filosofico, molto interessante, mi sono divertito molto a leggere dei tam tam, che mi hanno ricordato tante letture che ho fatto da ragazzo. Ed è proprio vero che abbiamo tutti bisogno di riconoscere un volto che ci richiami a noi stessi. Un tam tam solo per noi. Un cordiale saluto e complimenti per i suoi romanzi!

    1. Grazie mille. Mi piacerebbe rispondere al suo saluto con un tam tam ma, non disponendo né del mezzo né della sapienza necessaria, mi limito a un messaggio. Un cordiale saluto anche a lei!

  5. Per le persone che non conoscono la RSI Radio Svizzera di Lingua italiana, come le Signore Giada e Pamela, potete andare nel sito web rsi.ch e cliccare su in alto su “ascolta la Radio”… potete accedere all’ascolto (in tutto l’universo mondo e senza dover pagare la tassa d’ascolto alla Billag) delle tre reti radiofoniche. Personalmente l’avevo trovata come RadioMonteCeneri in un vecchio radiogrammofono Imperial dei miei genitori, ed ascoltavo dalla Lombardia in onde medie la sola ReteUno. Ora la Rete informatica ci aiuta ed abbiamo accesso alle tre reti Radio. Chi volesse ascoltare Andrea (ed anche alcuni suoi colleghi e colleghe molto in gamba) sulla ReteDue dalle ore sei del mattino alle 9.30 troverà la lettura dei giornali svizzeri ed italiani, molte riflessioni di prima mano ed appuntamenti pre-registrati, musica interessante, l’Informazione dei RadioGiornale, poi ottimi documentari Laser alle 9.00… consigliabile l’appuntamento giornaliero delle ore 8.18 (puntualità svizzera!) con persone della cultura di lingua italiana (sia italiani sia svizzeri, di volta in volta) che si esprimono sui fatti dell’attualità informativa o culturale o sociale o scientifica. Li ritrovate qui, riascoltabili: https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/in-altre-parole/puntate/
    Ho recentemente ascoltato lo studioso di semiotica Bruno Osimo che ha molto coinvolto, ed anche il linguista Stefano Vassere proprio a colloquio con Andrea Fazioli. Li trovate nel link che ho appena indicato.
    Ah, i vari conduttori dell’appuntamento mattutino (io quando posso ascolto mentre controllo ed utilizzo la posta elettronica, o faccio colazione, o riordino in casa, o mi preparo per lavori senza orario e cartellino da timbrare – che fortuna!) propongono sempre musica non scontata ed interessante… Andrea spesso del jazz o pezzi “storici” fissati nel libro dei migliori. BUON ASCOLTO A TUTTI!
    POSCRITTO: bello il pezzo, caro Andrea! i tam-tam mi ricordano molto i romanzi di Emilio Salgari sulle Tigri di Mompracem e sui loro condottieri Yanez e Sandokan e Tremal Naik… ma anche i segnali di fumo sono un bel mezzo di comunicazione!
    Quanto al silenzio sono il primo ad ammettere che dovrebbe essere più praticato: quante volte ho maledetto di aver pigiato troppo affrettatamente sui tasti dell’elaboratore! e rimpianto la notte di riflessione che stava dietro una bella lettera scritta a mano con la penna!!

    1. Grazie mille, caro Giuseppe, per le riflessioni, le spiegazioni (con tanto di link) e i complimenti (grazie anche a nome delle mie colleghe e dei miei colleghi!). Sono lieto che abbia evocato Emilio Salgari, che ha significato tanto nella mia giovinezza. E come ho fatto a dimenticare i segnali di fumo? Insieme ai tam tam, sono il mezzo di comunicazione che vorrei saper usare. Ma ho bisogno prima di fare ancora un po’ di pratica con i blog e con i microfoni…

  6. Bel post. È la prima volta che leggo qualcosa su internet o sui social scritta da qualcuno dell’ambiente RSI che mi fa veramente pensare di votare no alla No Billag. Avessero tutti la tua eleganza e la tua empatia… Bravo!

  7. Anch’io sono una che pensava di votare sì, più che altro per noia. Ma quando ho letto il post mi sono emozionata! ❤️
    Adesso penso di cambiare idea, più che altro perché, a parte i soldi e i posti di lavoro che magari sono troppi, è sempre sbagliato distruggere i ponti!!! 😜

  8. Era da un pezzo che non leggevo un racconto così piacevole sulla quotidianità di un lavoro. In fondo, più che le cifre e le ragioni teoriche, a stabilire l’utilità dell’arte o del giornalismo è la natura stessa, profonda, dell’umanità: edificare ponti. Indagare l’anima è gettare ponti. Dare una notizia è edificare ponti. Questo è l’essenziale. Grazie!

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