In fondo al sottopassaggio c’è una rosa celeste. Un pittore ignoto l’ha dipinta sullo sfondo azzurro chiaro della parete. Percorro la galleria per attraversare la strada, salgo le scale e raggiungo la solita piazzetta, a Bellinzona, tra via Raggi e via Borromini. Il sole nudo e tagliente del pomeriggio occupa gli spazi, si riflette su ogni superficie, su ogni finestra, su ogni chiazza di neve. Avanzo sul sottile strato di ghiaccio e mi siedo su una panchina asciutta.
Non c’è nessuno. Ormai conosco i personaggi che popolano questo luogo durante la bella stagione: i pensionati, l’ubriacone che tiene in fresco le birre nella fontana, la donna sola con il cagnolino, le ragazze che eternamente attendono risposte su WhatsApp. Mi chiedo dove siano finiti tutti. L’aria è fredda e limpida, di fianco alla piazza scorrono automobili e autobus, la gente cammina di fretta. Mancano due giorni a Natale. Da qualche parte, nel tepore di un appartamento, i pensionati staranno aspettando anche loro i cenoni, i raduni delle famiglie allargate, l’abito della festa, lo spumante. L’ubriacone di sicuro non si farà cogliere impreparato, e contrasterà l’attacco della malinconia con un un folto contingente di birre. Quanto alle ragazze, si annoieranno ma sopravvivranno – baciare sulle guance vecchie zie è pur sempre meglio che andare a scuola. Quelle più fortunate magari otterranno il permesso di andare il ventiquattro sera al Christmas Party alla “Fabrique” di Castione, con Kenny Ground & Chris Leon nella Plus floor Underground. La signora sola forse sarà sola anche a Natale o forse no, forse anche lei ha il suo manipolo di parenti. Oppure passerà alla pista di pattinaggio in Piazza del Sole e guarderà le persone che scivolano avanti e indietro, lanciandosi squillanti “Buone feste!”, avanti e indietro senza stancarsi mai.
Ho portato Tutto si rinnova, una raccolta di poesie di Luisa Famos, un’autrice svizzera che scrive nella variante vallader del romancio. Mormoro i versi a fior di labbra. Le sillabe sonore riempiono il silenzio della piazzetta. Vers saira / Cur sunansoncha / Rebomba tras cumün / Tuot dvainta nouv // La prada e’ls chomps / La jassa e’l balcon tort / Suot la pensla / Il gnieu da randulinas / La saiv da l’üert / E l’aua dal bügl d’larsch / Tuot dvainta nouv. // Fa che dvaintan nouvs / Eir no (“Verso sera / Quando scampanio / Rimbomba per il paese / Tutto si rinnova // I prati e i campi / Il vicolo e lo sporto / Sotto il frontone / Il nido delle rondini / il recinto dell’orto / E l’acqua della fontana di larice / Tutto si rinnova // Fa’ che ci rinnoviamo / Anche noi”). Mi pare una scena estiva o primaverile, più che invernale. Mi chiedo se, nel profondo delle cose, anche oggi accada il rinnovamento. Ma la fontana è spenta, la crosta di neve impassibile. Non ci sono campane, solo il frullare degli uccelli sugli alberi e il flusso del traffico al semaforo.
Arriva un suono più lancinante degli altri. Alzo gli occhi e vedo un pick-up della Toyota che, uscito in retromarcia dal parcheggio, sta cercando di superare un mucchio di neve. Il ringhio del motore si fa più cattivo, finché con uno scatto rabbioso il pick-up scavalca il cumulo di neve e sbatte contro un albero. Rumore di vetri infranti, lamento di lamiera accartocciata. L’autista non si volta indietro, ma riparte con un nuovo ringhio, nel quale stavolta mi pare di cogliere un rimpianto, una nota di tristezza.
Poi tutto tace, ancora, e niente si rinnova.
Penso al Natale. In qualunque modo ci si districhi fra panettoni e aperitivi aziendali, anche involontariamente, si finisce per attribuire a questa festa un senso di promessa. Come se qualcosa dovesse cambiare: Fa che dvaintan nouvs / Eir no. Mi pare che questa aspettativa vada oltre la dimensione religiosa, o forse ne conservi le caratteristiche anche in assenza della fede. La stagione spoglia, la rarefazione della luce inducono per reazione viscerale a un’attesa dal valore antropologico, legata alla nostra condizione di essere umani più che ai nostri riferimenti culturali. Secondo la Chiesa, l’incarnazione non è solo qualcosa di cui si fa memoria ma è un evento che deve avvenire di nuovo per ciascuno, fino alla fine dei tempi. In generale, pure chi non crede nell’incarnazione sente il bisogno di qualcosa che dia un senso alla quotidianità. Il Natale è implacabile: è difficile fare finta di niente. C’è chi lavora, chi è circondato da stuoli di parenti, chi è solo, chi è ammalato. Ognuno, per un moto inestirpabile dell’anima, aspetta qualcosa. Ognuno cerca di guardare oltre il buio e la barriera dell’inverno.
Passa un aeroplano alto, sopra la piazzetta, tracciando una lunga scia che si perde sulle montagne. L’uomo che guidava il pick-up torna indietro a piedi, dalla direzione opposta a quella in cui era partito. Si ferma davanti all’albero, raccoglie il pezzo di lamiera più grande e poi si allontana, con la testa incassata fra le spalle. Il senso di una “festa”, nella storia umana, è distinguere un giorno dalla serie dei giorni normali. Ma tutto questo accade ancora? Il Natale può raccogliere i nostri frammenti sparsi, può accendere una qualunque forma di luce e mantenerla viva nella routine dei prossimi mesi?
Questa è la domanda.
Cumün sainza champs / Sainza üert e sunteri / Mo plain d’sömmis // La not / As distach’üna staila / Da l’ur dal tschêl / E voul s’unir / A la terra (“Paese senza campi / Senza orto né cimitero / Ma pieno di sogni // La notte / Si stacca una stella / Dall’orlo del cielo / E vuole unirsi alla terra”). Con le parole di Luisa Famos, il mio augurio per Natale è che una stella, di qualunque tipo essa sia, possa staccarsi dall’orlo del cielo e venire accolta nella nostra terra, nella nostra quotidianità.
Dalla piazzetta vera e da quella virtuale del blog, buon Natale a tutti voi!
PS: Ho citato integralmente le liriche Sunansoncha (“Scampanio”) e Ant Nadal (“Prima di Natale”), con la traduzione di Marisa Keller-Ottaviano, tratte da Luisa Famos, Tutto si rinnova (Casagrande 2012).
PPS: Questa è l’ultima puntata della serie di reportage dalla piazzetta anonima bellinzonese. Ecco gli articoli di gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre e novembre.
Splendido post “natalizio”! Ho sentito raccontare esattamente ciò che provo anch’io, la stessa desolazione, quel sentimento di attesa che mi sale dentro involontariamente, la speranza. E tutto a partire da una passeggiata in una piazzetta deserta… leggerò anche le altre puntate (e mi procurerò il libro di Luisa Famos, che non conoscevo). Grazie… e buone feste!!!
Grazie, Chiara. La piazzetta è sempre foriera di scoperte: malinconia, incontri, storie. È uno spazio limitato, ma forse proprio per questo consente navigazioni verso l’ignoto. Luisa Famos è un’ottima lettura. Un cordiale saluto, buon Natale e buon 2018!
Auguri di buon Natale anche a lei, gentile Andrea!
Peccato che il ciclo sulla piazzetta sia già finito! Cosa ci aspetta per l’anno nuovo?
Che le stelle siano con lei e con i suoi cari, ci si legge l’anno prossimo.
Gentile Paolo, in effetti la piazzetta resta lì dov’è, e continuerò a passarci di tanto in tanto. Ma lo spunto narrativo-antropologico mi pare esaurito, dopo un anno di osservazioni. L’anno prossimo esplorerò un altro luogo, un’altra piazza… Buon Natale, buon 2018!
Solo adesso ho avuto tempo per leggere… e mi sono arrivate le splendide parole della poesia, di cui cerco di immaginare il suono. Penso che sia meraviglioso: questi idiomi quasi perduti ci fanno sentire vicini a chi li ha scritti e a chi li parla nel momento in cui troviamo le somiglianze con il nostro.
L’attesa è finita. il Natale è arrivato e anche quest’anno nuovo… Auguri!
Cara Barbara, grazie per il tuo messaggio. In effetti, le parole di Luisa Famos risuonano, sono musica prima ancora di essere letteratura. Quanto all’attesa… non so se sia finita; più che altro comincia, per un altro anno. Il Natale in fondo mette in rilievo un atteggiamento esistenziale che dura oltre la circostanza festiva: l’attesa, più o meno visibile, è il basso continuo della nostra quotidianità. Un caro saluto, buon 2018!
Stavo per scrivere ed era il pomeriggio del giorno del Natale. Ma il sistema informatico non permetteva l’apertura del “foglio” per la scrittura. Cosa volevo scrivere ora non lo so più, forse non era importante, forse se n’è andato via assieme alle sensazioni che il Natale riesce sempre a creare… spero le abbiate godute e siate stati tutti sereni.
In effetti, c’è stato un piccolo problema tecnico il ventiquattro dicembre: sono riuscito a pubblicare comunque l’articolo – grazie al provvidenziale intervento del mio webmaster – ma purtroppo non c’era la possibilità di lasciare commenti fino al 28 o al 29 dicembre, quando tutto è rientrato nella normalità. Mi spiace che il suo pensiero sia volato via, e mi auguro di ritrovarlo in una prossima occasione: come se ne vanno via, misteriosamente, a volte i pensieri tornano…