Le vacanze dei morti

Intorno al primo novembre nella Svizzera italiana le scuole chiudono per una settimana: da sempre, famigliarmente, si chiamano “le vacanze dei morti”. Penso che la denominazione ufficiale sia “vacanze autunnali”, ma non mi dispiace pensare che anche i morti, nel loro vasto periplo lungo l’eternità, si possano concedere una pausa. In questi giorni tutto, in maniera sommessa, è un richiamo alla loro assenza-presenza: l’accorciarsi dei pomeriggi, lo splendore del paesaggio, il blu compatto e indecifrabile del cielo.
img_7565Ci pensavo l’altro ieri, camminando in un sentiero di montagna con alcuni amici. Dalla cima del Camoghè (2228 mslm), l’occhio scorgeva i luoghi consueti: Bellinzona, il lago Maggiore, il lago Ceresio, il lago di Como, la Mesolcina, il piano di Magadino… più distanti, le cime innevate del Cervino e dei picchi vallesani. Ma in generale, quella fuga di montagne azzurre verso l’orizzonte era emblema di una lontananza difficile da definire, perché posta in una dimensione che non apparteneva più allo spazio, almeno nel mio pensiero. Il sole si posava radente sulle radure, trasfigurando i colori, facendoli apparire nello stesso tempo più vividi e più irraggiungibili. Non erano luoghi dove potersi fermare, quei declivi erbosi, sfiorati da una luce troppo dolce, troppo incantevole per durare nel tempo.
img_7573Lungo la discesa, chiacchierando, un’amica ha evocato brevemente il mito di Orfeo ed Euridice: il poeta scende negli Inferi per ritrovare la moglie defunta; ma poi, quando sta per uscire con lei, si volta indietro e la condanna a restare laggiù, nel regno dei morti. Perché si volta indietro? Davvero c’è una distanza incolmabile fra noi e ciò che siamo stati, fra il nostro qui-e-ora e ogni possibile aldilà?
Anche Elia Contini, nel romanzo L’arte del fallimento (Guanda) si trova a riflettere su queste domande.

I defunti si affacciavano all’improvviso, per strada o dopo una siesta pomeridiana, e qualche volta le ferite tornavano a sanguinare. Tanti anni dopo, però, Contini si era convinto che quella persistenza non fosse senza significato. Erano le vacanze dei morti: un’intersezione fra il tempo e ciò che stava fuori dal tempo. Purché non durasse troppo a lungo, e purché non ci si dimenticasse di essere ancora vivi, dopotutto.

A un certo punto Contini deve fare i conti con la violenza, con l’assurdità della morte che irrompe nella quotidianità. Eccolo al cimitero, il 2 novembre, insieme a un uomo che ha perso la moglie in un omicidio apparentemente privo di senso.

La vita degli altri, pensò guardandosi intorno, la vita di chi porta fiori ai propri cari nel giorno dei morti, e nessuno di loro è stato ucciso brutalmente da un assassino. Ma esiste davvero una vita senza patemi, senza ingiustizie? Contini ne dubitava. In fondo la morte, comunque arrivi, è sempre un’ingiustizia.

Quando ha un momento d’incertezza, Contini esce di casa, va a camminare. La vicinanza con le volpi, che vivono nei boschi intorno a Corvesco, ha un misterioso effetto calmante su di lui.

C’era un sentimento che lo teneva legato. Poteva riconoscerlo in un lungo silenzio, o nei fari di un’auto che saliva dal fondovalle. Il bosco pareva soffocante, perfino minaccioso. L’unica salvezza era prendere la macchina fotografica e camminare: lungo le piste appena distinguibili, a pochi passi da un ruscello o da un dirupo, non c’erano più pensieri, soltanto azioni, e c’erano volpi nell’oscurità, presenze ignote ma vicine.

img_7572Come accettare che lo splendore dell’autunno sia una prima avvisaglia della morte? Come vivere con questo addensarsi progressivo dell’oscurità? Ognuno di noi, inevitabilmente, prova a rispondere a queste domande. Purché non ci si perda troppo a lungo nella riflessione (per riprendere le parole di Contini) e non ci si dimentichi di essere ancora vivi, dopotutto… L’assenza-presenza dei morti può essere un movimento segreto nella vita di tutti i giorni, senza che divenga per forza un pensiero esplicito. Mi pare d’intravedere qualcosa del genere in questa poesia di Billy Collins (qui in versione pdf; qui l’originale).

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Infine, vorrei suggerirvi di ascoltare un brano di Bill Evans (1929-80). È tratto dall’album You must believe in spring, inciso nel 1977 da Evans (piano) insieme a Eddie Gomez (basso) e a Elliott Zigmund (batteria). L’album fu pubblicato dalla Warner solo nel 1981, un anno dopo la morte del pianista. Nei vari brani s’intuisce il tema della morte.
img_7575Anni prima, Evans aveva perso il suo bassista e amico fraterno Scott La Faro, morto in un incidente a 25 anni; da allora, era scivolato sempre più nella dipendenza dagli stupefacenti. Nell’album dedica il brano B Minor Waltz alla prima moglie Ellaine, che era morta suicida. We will meet again invece è dedicato al fratello Harry: sembra quasi una premonizione, visto che Harry (il quale soffriva di malattie psichiche) si toglierà la vita due anni dopo. Nel disco c’è anche la ripresa del tema della serie televisiva M.A.S.H (Suicide is painless, “Il suicidio è indolore”). Vi propongo qui proprio il brano che dà il nome all’album. You must believe in spring è uno standard, composto originalmente da Michel Legrand con parole di Jacques Demy, per il musical Les demoiselles de Rochefort (1967). La versione di Bill Evans è sospesa fra la malinconia e la speranza, fra la cupezza di certi passaggi e la fantasia inventiva dell’assolo di piano (da 2.57, in crescendo) che davvero sembra volerci guidare verso la primavera.

PS: La lirica The Dead (“I morti”) di Billy Collins è tratta dalla raccolta Questions About Angels (1991), poi confluita in Sailing Alone Around the Room e pubblicata in italiano da Fazi nel 2013 con il titolo A vela in solitaria intorno alla stanza. Per concludere, un ringraziamento ai miei compagni di viaggio; a Paolo, in particolare, per alcune delle fotografie che corredano questo articolo.

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10 pensieri su “Le vacanze dei morti

  1. Bellissimo post! Molto commovente! Mi ha fatto pensare… anche un po’ sorridere… e piangere, forse, ma alla fine più sorridere! E mi sento vicina a Elia Contini!

  2. Destino inesorabile per ciascuno di noi: non fare i conti con questa realtà ci fa rimanere perennemente adolescenti, non credi?

    1. Hai ragione. Credo che sia ciò che intendiamo per maturità.
      Ma c’è anche il rischio di cadere in una sorta di adolescenza al contrario, indugiando troppo nel pensiero di ciò che non è più. Nella sua poesia “Il duro filamento”, Mario Luzi rifletteva proprio su questo. E concludeva, dando voce ai defunti: «Passa sotto la nostra casa qualche volta, volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti. Ma non ti soffermare troppo a lungo.»

    1. Grazie. Molto belli questi versi che pongono i morti nella quotidianità: “da linde camere odorose di canfora / scendono per le botole in stufe / rivestite di legno, aggiustano i propri ritratti, / tornano nella stalla a rivedere i capi / di pura razza bruna.”
      Non solo. Questa vicinanza, quando accade, se accade, ha un misterioso effetto pure su di noi: “Ed io, restituito
      a un più discreto amore della vita…”

  3. Complimenti!
    Mi piacciono molto anche le foto nei tuoi post (specialmente quando le ingrandisci, perché sono un po’ piccole, bisogna cliccarci sopra). Le fai tutte tu e i tuoi amici o le prendi anche da internet?

    1. Grazie! In genere le foto sono originali, ma non sempre sono io l’autore (qualche volta ringrazio il fotografo in un “PS”, qualche volta preferisce restare anonimo o anonima). In generale, non prendo quasi mai fotografie da internet, se non è indispensabile. Buona giornata!

  4. Proprio stamattina passeggiavo in montagna e, nel silenzio, pensavo alle persone care che non ci sono più. Ma non era un pensiero triste: mi sembrava che il rosso e il giallo degli alberi fosse un invito a rallegrarsi, a tenermi stretta questa vita, l’unica che abbiamo. Grazie, grazie per le tue parole, per la musica, per i romanzi. Sono un segno di speranza.

    1. Gentile Ada, grazie a lei per le sue parole e per la condivisione della sua passeggiata mattutina. È vero, il pensiero dei morti può balenare all’improvviso, come hanno scritto molti poeti. (Quelli citati sopra, per esempio, o Chandra Livia Candiani: La voce dei morti / è quell’aria / che intorno a loro / si fa pace, quelle pieghe / di ordinario silenzio / moltiplicato fino a zittirci, / in punta di silenzio / cammina chi resta e piega / vestiti e carte come / fossero sipari e sbircia / l’attimo abbagliante / la coda di scintille / che indossano i morti. Ma proprio quella coda di scintille è un segno che ci muove nella vita, verso la vita.

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