“L’intraducibile blu dell’inverno”

La città di Bregenz, in Austria, è immersa nel silenzio. È una mattinata fredda: bianco il cielo e bianchi volti dei passanti, che tirano diritto con le mani in tasca. Camminando, ascolto il suono dei miei passi, il fruscio di una bicicletta sul lungolago. Finché un uomo comincia a gridare. Così, di colpo. All’inizio non si capisce da dove venga quella voce rauca, che invade le vie pedonali. Nessuno manifesta stupore, nessuno si ferma. Per parecchi minuti urla a squarciagola frasi incomprensibili (almeno a me). A un certo punto mi sembra di averlo intravisto, ma non ne sono sicuro: un’ombra in un vicolo verso il castello. Chi era, che cosa voleva? Non posso togliermi dalla testa quella cantilena sgraziata.
FullSizeRender-2Sono entrato nella Cappella rotonda dedicata a San Giovanni Nepomuceno. Doveva essere un uomo interessante: nato a Nepomuk, una cittadina della Boemia, divenne sacerdote a Praga. Gli capitò di ascoltare la confessione della moglie di re Venceslao IV di Boemia; si rifiutò di raccontare ciò che aveva detto la regina; venne torturato e, il 16 maggio 1383, venne annegato nella Moldava dal sovrano marito.
Il silenzio delle vie di Bregenz, il silenzio del confessore, il silenzio del cielo gonfio di futura neve. E nel silenzio, quelle grida selvagge. Sono sicuro che da qualche parte ci dev’essere un significato, ma non riesco ad afferrarlo. Temo che forse, per coglierlo pienamente, esista una sola via: uscirmene ora per le strade di Bellinzona e gridare a squarciagola.
image1-2Ero invitato a un festival letterario a Norimberga (Nürnberg). Dopo aver fatto tappa a Bregenz, mia moglie e io siamo partiti di buon mattino: in meno di tre ore saremmo dovuti giungere a Norimberga, dove avrei avuto tutto il tempo per preparare la conferenza. Prima di lasciare l’albergo, ho notato una scritta sul muro: proprio in quell’edificio aveva vissuto dal 1829 al 1832 Alois Negrelli, l’ingegnere che disegnò il canale di Suez. Per la mente mi sono passate immagini di viaggi, navi, terre esotiche, mercanti e avventurieri. Non sapevo che presto avremmo avuto la nostra dose di peripezie.
Dopo sei ore ininterrotte di viaggio sotto la neve, sull’autostrada ridotta a una pista per alci, fra lamenti di remote sirene di polizia e spettrali ingorghi a ogni svincolo, siamo arrivati nel luogo della conferenza con un quarto d’ora di ritardo. Sono sceso dalla macchina, sono entrato nella sala e ho cominciato subito la mia lettura.
IMG_1470Grazie alla gentilezza del pubblico e dei relatori (in particolare del traduttore Bernd Wurm), mi sono sentito a mio agio e mi sono scrollato di dosso la stanchezza. L’aspetto curioso è che la maggior parte della conferenza riguardava il mio romanzo La sparizione (Das Verschwinden), la cui protagonista è una ragazza di diciassette anni colpita da un’afasia. A causa di uno choc rimane senza parole, chiusa nel silenzio, e deve imparare tutto di nuovo come una bambina.
Tra il pubblico c’era un amico di Bernd, anche lui un traduttore. Alla fine mi ha raccontato la sua esperienza: dopo un’apoplessia, qualche anno fa, si è risvegliato in un letto di ospedale e si è accorto di aver dimenticato la sua lingua madre. Sul comodino c’era un pettine, ma lui non sapeva come si chiamasse. Dopo un po’ è riuscito a dire “pettine”, in italiano, mentre continuava a non ricordarsi la parola tedesca (“Kamm”). Insomma: aveva perso la sua lingua madre ma gli restavano brandelli di italiano.
Anche l’amico di Bernd, con il tempo, ha ritrovato le parole. E ascoltandolo parlare, mi sono detto: ecco, dovrei lavorare in questo modo. Per gli scrittori, per chiunque lavori con la lingua questo dovrebbe essere il punto di partenza: mantenere intatto lo stupore per ogni parola, per ogni singola parola che interrompa il silenzio.
IMG_1842Dopo aver passato la notte a Norimberga, siamo tornati in Svizzera. Andando verso sud, a un certo punto abbiamo visto qualcosa di azzurro: il sole aveva oltrepassato la barriera di nuvole. Salendo sul San Bernardino, in mezzo a cumuli di neve, non ho potuto fare a meno di paragonare quel cielo ritrovato alle parole dell’amico di Bernd e forse, chissà, alle urla dello sconosciuto. Mi è venuta in mente una frase della scrittrice Anna Gnesa, quando parla di quell’inesprimibile azzurro ch’è solo invernale e solo di sfondo alle vette nevate: così lieve che vi spicca nitidamente contro la peluria dei crinali, così fuso di sole e lontananza che più d’ogni musica desta le nostalgie profonde dell’anima.
Insieme all’azzurro, a destare le nostalgie delle nostre anime, abbiamo chiamato il sax di JD Allen, preciso e caldo, come una prima avvisaglia di primavera.

PS: Anche nell’albergo di Norimberga c’era una targa: ricordava che proprio fra quelle mura nel 1910 si tenne un Congresso internazionale di psicoanalisi. Fra i presenti, Sigmund Freud, Carl Gustav Jung e Alfred Adler. Questo ha a che vedere con le urla, l’afasia, il canale di Suez? Ma certo. Come dubitarne?

PPS: Il titolo di questo articolo è un endecasillabo di Bruno Galluccio, tratto da una bella poesia di atmosfera invernale, dove segmenti che scongelano / generano parole isolate tra virgole. Ecco qui il testo completo. La lirica è tratta da La misura dello zero (Einaudi 2015).

PPPS: La frase di Anna Gnesa proviene dal volume Acqua sempre viva! Testi inediti, a cura di Candido Matasci, pubblicato nel 2011 da Armando Dadò.

PPPPS: Insieme a JD Allen (al sax tenore), suonano Gregg August (basso) e Rudy Royston (batteria). Il brano è tratto dall’album Victory! (2011).

PPPPPS: La prima immagine di questo articolo, benché all’inizio io parli di Bregenz, rappresenta Norimberga. Ma il cielo era lo stesso.

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4 pensieri su ““L’intraducibile blu dell’inverno”

  1. Bellissimo post! Anche a me piacerebbe saper scrivere di viaggi. Anche solo per ricordare quello che hai vissuto: una storia è mille volte meglio di una foto!!!

  2. Grazie. Il bello delle storie di viaggio è che, per scriverle, non c’è nemmeno bisogno di viaggiare. Basta immaginarle. È per questo che, di passaggio in Austria, ho finito per visitare il canale di Suez…

  3. Seguo da poco il blog di Andrea, e leggo con piacere le sue storie brevi, i suoi schizzi e le sue istantanee. La risposta a Laura è esemplare. Uno che ha una scuola che si chiama Yanez ha naturalmente amato Emilio Salgari: uno che ha scritto indimenticabili romanzi d’avventura, ambientati in mondi lontani e fantastici, senza mai essersi allontanato troppo da Verona e dintorni.

    1. Grazie, Adolfo. Il riferimento a Salgari è perfetto: era proprio lui, se non sbaglio, a dire che scrivere (e anche leggere) è come viaggiare, ma senza la seccatura dei bagagli. Ricordo lunghi pomeriggi della mia infanzia, sotto l’ombra della magnolia in giardino. Passavo ore immerso nei fruscii della giungla, nel profumo dei nagatampo, pronto a rabbrividire per l’ombra di un kriss malese o per il temibile laccio degli strangolatori thugs. Era la scuola dell’avventura; e ancora oggi quei ricordi sono fonte di vitalità. Come dice Sandokan nel romanzo “Alla conquista di un impero”: «Yanez invecchia ma la sua straordinaria fantasia rimane sempre giovane». Speriamo che sia così per tutti noi…

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