La bellezza della neve sta nel silenzio. Apro la finestra e ogni cosa è nuova: il mondo è stato creato stamattina. Poi tornano le parole. Prima i fiocchi indecifrabili di Vittorio Sereni: Edere? stelle imperfette? cuori obliqui? / Dove portavano, quali messaggi / accennavano, lievi? Poi i versi di Alfonso Gatto, nell’ora in cui il cigolio dei lumi / improvvisa perduti e beati / villaggi di sonno. Infine, come se le parole nascessero proprio in questo momento, come se nessuno le avesse mai dette prima, ecco Eugenio Montale: Avrò di contro un paese d’intatte nevi / ma lievi come viste in un arazzo.
Mentre osservo il paese battezzato dalla neve stringo nelle mani una tazza di caffè, cercando di trattenere il calore. Come un tepore troveranno l’alba / gli zingari di neve. Nel silenzio le parole dei poeti appaiono più nitide, come fuori dal tempo. Chissà perché proprio questi tre poeti, e perché proprio adesso? La memoria ha percorsi misteriosi. In effetti non mi ricordo le poesie in maniera ordinata, di certo non le saprei ripetere interamente: arriva solo qualche verso spezzato, qualche frammento irregolare.
Ora me ne sto alla finestra ad ascoltare il silenzio, ma più tardi è mia intenzione entrare nel paesaggio. Quando nevica – non solo, ma soprattutto quando nevica – corro a prendere il mio prezioso Preben Bang. Il suo Guida alle tracce degli animali (Zanichelli) è sempre una lettura avvincente.
Lo comperai anni fa, dopo averlo sfogliato e dopo aver notato per caso una foto con la didascalia: Impronte fossili di un orso delle caverne, risalenti a ca. 20.000 anni fa. Quelle parole non le ho mai dimenticate (almeno, non più delle poesie). Ventimila anni fa, pensate. Ventimila anni fa un orso ha stampato le sue impronte per terra, proprio come farò io fra qualche minuto. Sono passati secoli, crollati imperi, mutate dinastie… ma le tracce dell’orso ci sono ancora.
Il volume di Bang non si limita alle impronte sulla neve. La quarta di copertina spiega bene di che si tratta: un manuale pratico di campagna che descrive le tracce (orme) e i segni (resti di pasti, escrementi, tane ecc.) lasciati dai mammiferi e dagli uccelli europei. Nell’ultimo capitolo poi Bang insegna come realizzare i calchi delle orme e come conservare il materiale collezionato.
Il mio sogno è di riuscire a realizzare e a collezionare i calchi; ma per il momento resta una faccenda troppo complessa. Però amo camminare nei boschi e nella campagna cercando gli indizi minuziosamente descritti da Bang. Il fatto di osservare i segni e di risalire a una scena di vita reale, magari drammatica, mi sembra affascinante: in un certo senso, è quasi una lezione di scrittura creativa…
Non mi dilungo su Preben Bang: avremo senz’altro l’occasione di riparlarne. Prima o poi scriverò qualcosa sulla drammatica scena poliziesca di pagina 145 (le malefatte di un rapace diurno) o sulla sottile distizione fra le impronte di un alce e quelle di un bovino, di cui Bang tratta a pagina 61.
Per il momento, invece, mi occupo del ritorno. Quando cammino perdo la cognizione del tempo, quindi sarò di certo intirizzito e irrigidito dal freddo. Come sciogliere il rigore di una passeggiata in un giorno gelido di febbraio? Forse con Slow snow, un brano inciso dal sassofonista norvegese Tore Brunborg (che qui suona anche il piano), insieme a Elvind Aarset (chitarra), Steinar Raknes (contrabbasso), Per Oddvar Johansen (batteria). Già i nomi, con le loro sillabe nordiche, sono una promessa… All’inizio il piano, il basso e la batteria disegnano un paesaggio incessante, come una cantilena. Poi il basso comincia a farsi inquieto; finché, quando ormai nessuno se l’aspettava, arriva il sax.
Insieme alla chitarra Tore Brunborg conclude il brano, offrendoci una melodia elegante e fuggevole come una nevicata notturna. Gremite d’invisibile luce selve e colline / mi diranno l’elogio degl’ilari ritorni. // Lieto leggerò i neri / segni dei rami sul bianco / come un essenziale alfabeto.
PS: Torno all’inizio dell’articolo: se la bellezza della neve sta nel silenzio, per condividerla non basta una fotografia. Ho registrato quindi, con il microfono del mio telefono, qualche secondo di silenzio innevato: un lieve fruscio, un contrappunto di uccelli e, a tratti, il mio respiro. Eccovi il quasi impercettibile risultato dell’operazione.
PPS: La poesia di Sereni s’intitola Nella neve, scritta a Mendrisio nel ’48 e pubblicata nella raccolta Gli strumenti umani (1965); quella di Gatto Carri d’autunno, tratta da Isola (1932); quella di Montale Quasi una fantasia, da Ossi di seppia (1925). I versi citati nel secondo paragrafo (Come un tepore…) provengono da Carri d’autunno; quelli citati alla fine (Gremite d’invisibile…) da Quasi una fantasia. La fotografia presa dal volume di Preben Bang mostra una pista di alce su neve profonda (con andatura di marcia). Il disco di Brunborg s’intitola Slow snow ed è stato pubblicato da ACT Music nel 2015.
PPPS: Ancora due parole su Vittorio Sereni, solo per ricordare che morì nel 1983, proprio il 10 febbraio come oggi. Dedico dunque alla sua memoria questo articolo sullo stupore invernale (la neve, fra l’altro, compare ogni tanto nei testi di Sereni: oltre ai versi citati sopra, penso a una bella lirica come Addio Lugano bella).
Ma quanto mi manca la neve! Sono cresciuta a Chiggiogna ed era bellissimo quando nevicava; mi piaceva sentire lo scricchiolio della neve, il silenzio e l’aria fresca…bei ricordi che porterò sempre nel cuore. Ora mi segno il libro di Bang, sembra molto interessante.
Grazie.
Grazie per il pensiero. È vero che la neve la si percepisce bene anche senza lo sguardo: lo scricchiolio, il silenzio, la consistenza diversa dell’aria… sono cose che si depositano dentro di noi, e ce le portiamo dietro per sempre (specialmente quando le abbiamo conosciute durante l’infanzia).
Il libro di Bang è un piccolo gioiello. Naturalmente è molto tecnico, non ha niente di letterario: è un meticoloso manuale illustrato su come ricostruire i movimenti degli animali in base agli indizi che si ritrovano nella natura. Io sono un appassionato di questo genere di volumi e il migliore in italiano, secondo me, è proprio quello di Preben Bang. Buona giornata!
Ciao Andrea, io ti seguo da Hong Kong (sono Ticinese) e ho letto questo post il mattino dopo 11 Febbraio. Oggi e il compleanno di mio figlio (4 anni) e al contrario di molte persone – festeggiare il giorno con troppe parole e rumori – mi sono alzata con la voglia di godermi il giorno in silenzio e lasciare che usando le tue parole la gioia del giorno della sua nascita “si depositi dentro di me” cosi come la neve. Leggere i tuoi pensieri “innevati” questa mattina hanno aiutato i miei desideri di silenzio. Grazie
Cara Prisca, grazie mille per il tuo pensiero, che arriva da lontano. Sono lieto di aver contribuito in minima parte all’atmosfera di questo giorno speciale. Auguri per i quattro anni di tuo figlio! Sono d’accordo con te: il silenzio può essere anche una festa. Ricordo di aver letto alcuni saggi sull’argomento mentre scrivevo il romanzo “La sparizione” (che parla fra l’altro di una ragazza afasica). Mi aveva colpito una frase di Romano Guardini, che sottolinea come il silenzio non sia soltanto un assenza (di parole e rumori), ma sia esso stesso qualcosa, con la capacità di trasmettere un significato. Buona giornata, a presto!
SCENE D’INVERNO
Due ragazze, due adolescenti amiche fra di loro, figlie di famiglie di fattorie isolate nel nord del Canada, ogni mattina d’inverno si incontrano per camminare nella neve e nel gelo, per parecchi chilometri, dalla campagna dove abitano fino alla loro scuola nella più vicina cittadina:
“Si incontravano ogni mattina, sfidando a testa bassa le folate di neve in arrivo dal lago Huron, e marciando il più in fretta possibile in un mondo antelucano di campi bianchi, acquitrini ghiacciati, cieli rosa, stelle che si andavano spegnendo e un freddo assassino. Al largo oltre il ghiaccio sul lago, vedevano un nastro d’acqua dal blu inchiostro all’azzurro carta da zucchero, a seconda della luce. Premuti sul petto, stringevano libri e quaderni di compiti a casa. Indossavano le sottane, le bluse e i maglioni comprati a costo di grandi sacrifici…”
Ogni mattina, a metà strada, si fermano intirizzite per una pausa in una bottega isolata che stava lungo la strada, accolte da Teresa, la padrona. Per le due ragazze quella sosta è la meraviglia calda dentro la fatica del grande gelo nevoso:
“Che sollievo, che gioia in quel momento, entrare nella luce, sentire l’odore del calorifero ad olio, appoggiare i libri sul bancone, tirare fuori le mani dalle muffole e sfregare le dita indolenzite….Teresa portava tazze di caffè caldo e nero, forte e molto zuccherato…”
Da “Amica della mia giovinezza”, di Alice Munro, Einaudi (2015)
(E’ una raccolta di racconti, appena tradotti e editi in italiano, pubblicata in inglese 26 anni fa dalla scrittrice canadese, premio Nobel per la letteratura nel 2013).
Grazie per questo frammento di narrazione invernale. Insieme all’ascolto di “Slow snow” e alla lettura tecnico-scientifica di Preben Bang, ecco un altro suggerimento per chi rientra da una fredda passeggiata invernale…
È bellissimo come ogni cosa che tocchi (versi di poesia, tracce sulla neve, orso delle caverne, sassofono) si tramuti in materia narrativa viva, in una storia che si segue con il fiato sospeso. Questo significa avere il dono di raccontare nel sangue! Bravo e buona continuazione!