Buon Natale!

Ho trentacinque anni, mi ricordo che un giorno ne ho avuti otto e, rimboccati i baffi, mi costruisco un piccolo Presepe di cartone. Lo faccio smontabile: non si sa mai. Sono parole scritte da Giovannino Guareschi nel 1943, quando era prigioniero in un campo di concentramento germanico. Così i figli dell’autore descrivono il presepe, che è sopravvissuto fino a oggi: Un cartoncino come fondale al quale è appiccicato, col sistema delle casette intagliate della Val Gardena, il frontale della Capannuccia. All’interno la Sacra Famiglia con il bue e l’asinello. In alto i due angioletti che sorreggono il cartiglio con l’augurio e la speranza di pace. A sinistra della Capannuccia una pompa dell’acqua, l’unico sostentamento, oltre alla brodaglia e alla “razione tedesca”, del Lager. L’ambiente è quello del campo di concentramento (con la torretta di controllo e le baracche), mentre l’albero di Natale è un ramo di betulla. Sullo sfondo c’è la scuola di Marore, dove in tempo di guerra stava la famiglia di Guareschi. In alto si vede una stella cometa, ritagliata nella carta stagnola di un pacchetto di sigarette.
IMG_0764Penso che questa minuscola opera, creata in mezzo al fango e alla desolazione, possa dirci qualcosa. Non importa se viviamo il Natale da credenti o da atei, da dubbiosi o da sentimentali. Che cosa sia l’amore per i nostri cari, che cosa siano il freddo e la paura, tutti lo sappiamo, o possiamo immaginarlo. Così come possiamo immaginare che cosa sia la mancanza di libertà, la nostalgia che diventa una ferita straziante. Il presepe di Guareschi è un piccolo gesto di speranza nato in un momento buio. Niente di più, niente di meno. E con i tempi che corrono, di speranza abbiamo tutti bisogno.
Concludo con un pensiero dello studioso Giovanni Pozzi. Bisogna far tacere il lavorio del proprio pensiero, sedare l’irrequietezza del cuore, il tumulto dei fastidi, ogni sorta di distrazioni. Nulla come l’ascolto, il vero ascolto, ci può far capire la correlazione fra il silenzio e la parola. È l’augurio che mi faccio come scrittore: vorrei sempre di più imparare ad ascoltare, perché le mie parole siano vive, autentiche. Ma in generale, al di là della scrittura, l’ascolto può essere un primo passo verso l’armonia. Ascoltiamolo dunque, questo presepe clandestino di Guareschi, e prendiamo in prestito la sua forza, la sua speranza. Buon Natale!

PS: Le parole di Giovannino Guareschi, così come quelle dei suoi figli Alberto e Carlotta, provengono dal volume Giovannino nostro babbo, edito da Rizzoli nel 2009. L’altra citazione è presa dal volumetto Tacet (Adelphi 2013), uno degli ultimi testi di padre Giovanni Pozzi (1923-2002), critico, studioso e docente di letteratura italiana a Friburgo.

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