C’è poco da scrivere

CARTOLINE (GIUGNO)

“Cartoline” (#cartoline2020) è un progetto ideato e scritto da Yari Bernasconi e Andrea Fazioli.

CARTOLINA NUMERO 21
Da Ponte Tresa, fra Italia e Svizzera
Siamo bloccati sul ponte della dogana, il traffico è fermo e abbiamo tutto il tempo per scriverti. Il cielo è coperto. Piove. C’è poco da scrivere, dirai tu, con i pesci che transitano sotto l’asfalto e noi immobili nelle scatole rombanti. Meglio spegnere il motore. Le guardie svizzere hanno fermato un’auto che sotto la carta igienica celava sicuramente qualche mercanzia proibita (o almeno in quantità proibite): carne, olio, vino o, più probabilmente, una zanna di elefante trafugata dopo una battuta di caccia clandestina nelle savane alberate della Valganna. Eppure, seguendo il fiume come facevano un tempo le anguille, oltre i resti della peschiera, oltre il mulino, e scartando poi bruscamente di lato per risalire i torrenti fino alla cascata sopra la cava, basta poco per trovarsi a passeggiare sotto le fronde di una densa boscaglia, dove tutto è verde, appena traversato da una luce discreta, con i ponticelli traballanti a segnare un percorso senza meta. Dietro cominciano a suonare i clacson.

CARTOLINA NUMERO 22
Dalla città di Sofronia, ai margini dell’impero di Kublai Kan
Tu ci conosci: abbiamo un certo talento per arrivare in un posto nel periodo più inopportuno. E infatti abbiamo mancato di poco l’alta stagione, quando Sofronia è una città piena, vivace. Ora i palazzi, l’ospedale, i monumenti e gli opifici sono andati via, insieme alle scuole e alle banche. Camminiamo nell’immobile durata del circo, delle giostre e degli ottovolanti. Tutto è silenzioso. Solo la grande ruota panoramica emette ogni tanto un cigolío, come un rimpianto o un sospiro d’attesa.

CARTOLINA NUMERO 23
Da Palazzo Sormani a Milano, Italia
Noi siamo il cinghiale. Nel parco di Palazzo Sormani, sede della Biblioteca centrale di Milano, c’è un gruppo scultoreo in terracotta, realizzato da Agenore Fabbri nel 1954: cani addestrati e cacciatori hanno sorpreso un cinghiale che, azzannato e trafitto, ancora lotta per fuggire, per tornare al suo mondo selvaggio. Stasera siamo qui per un’occasione assai meno cruenta (o così pare): una lettura pubblica di poesie. Sparsi nel giardino ci sono vari punti panoramici dove gli autori leggono, talvolta accompagnati da un musicista. Uno di noi presenta brevemente il libro dell’altro. Finita l’introduzione, quando inizia la lettura delle poesie, la voce di un sax contralto si leva improvvisa dalla sua postazione dietro un boschetto. È un vecchio film comico: ogni volta che l’autore apre bocca, il sax gli ruba le parole. Tanto da essere costretti a sorriderne. Che c’è di male, in fondo, se le parole diventano musica? Intanto il cinghiale si dibatte e circa due milioni di zanzare invadono il parco.

CARTOLINA NUMERO 24
Da Soletta, Svizzera
Se si ha l’occhio allenato, è facile notare piccoli avvenimenti strampalati. Oggi però, non lontano dalla stazione, è l’avvenimento stesso a imporsi: mentre avanziamo sul marciapiede, camminando per camminare, un’auto frena di colpo e si ferma di traverso sulla corsia del bus. Ne escono due uomini e una donna. I due uomini si mettono a correre insieme in direzione del centro storico. Poi uno si ferma, torna indietro di qualche passo e lancia le chiavi dell’auto alla donna. Lei si mette al volante, alza gli occhi al cielo e riparte. Nel frattempo, i due corrono. Ogni tanto si parlano, scuotono la testa, indicano luoghi, ridono, ma senza mai fermarsi. Per un attimo, sul ponte pedonale, li perdiamo di vista, ma è solo un attimo, perché la loro corsa forma presto una striscia di vuoto fra i passanti, che si scansano non senza rimproveri. Riusciamo a seguirli ancora per una decina di metri, fino alla stradina che porta verso il Kreuz e il Landhaus. Poi scompaiono. Chissà dove e perché; ma soprattutto: quali le ragioni di quella corsa dissennata in mezzo alla gente? A un certo punto, senza fiato dopo l’inseguimento, ci è persino sembrato che fossimo noi due i rocamboleschi personaggi apparsi dal nulla.

PS: Potete leggere qui le prime quattro cartoline. Le successive: qui dalla 5 alla 8, qui dalla 9 alla 12, qui dalla 13 alla 16 e qui dalla 17 alla 20.

PPS: La cartolina numero 22 è un omaggio a Italo Calvino. Abbiamo ripreso infatti una delle città descritte nel volume Le città invisibili (Einaudi, Torino 1972).
L’immagine della cartolina numero 23 proviene da internet.

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Istruzioni per andare all’inferno

In tempi di turismo di massa, andare all’inferno sarebbe una meta originale per le vacanze. Il problema è che, anche consultando i migliori tour operator, non è facile trovare indicazioni precise su come arrivarci (treno? automobile? volo low cost?), così come mancano dettagli sui bed & breakfast e sui posti dove mangiare a poco prezzo. Qualcuno allude vagamente a una selva oscura, ma senza rivelarne l’ubicazione, altri si limitano a consigliare di superare l’Oceano per poi cercare una spiaggia bassa e boschi sacri a Persefone, alti pioppi e salici dai frutti che non maturano. Capite anche voi che non sono istruzioni facili da inserire in un navigatore satellitare (il rischio è di trovarsi in Persephonestràat, una via nella città olandese di Tilburg). Alcuni fra gli specialisti danno qualche dritta su come raggiungere l’inferno – o l’Ade, come lo chiamano loro – ma faticano a mettersi d’accordo. Qualcuno parla della terra dei Mariandini, sul capo Acherusio, che non si capisce bene dove sia; qualcun altro allude al promontorio di Tenaro, e in questo caso viene in aiuto Wikipedia: Capo Matapan, o Capo Tenaro, è situato sulla punta della penisola della Maina, in Laconia. È il punto più a sud della terraferma greca e della penisola balcanica. Separa il golfo di Messenia a ovest dal golfo di Laconia a est. Detto questo, nemmeno Wikipedia spiega come si entri nella caverna che viene definita la casa di Ade (il dio degli inferi, da cui il luogo prende il nome).
Ecco altri dettagli che si trovano qua e là, nelle guide più rinomate: la presenza di una fonte accanto a un cipresso, il lago di Mnemosine, un bivio dal quale si diramano due strade. Non è un granché. C’è chi consiglia di cercare intorno al lago di Averno, in Campania, e chi si limita a menzionare paludi, gole nebbiose, grotte, un baratro immane, un sentiero in declivio fra le tenebre di tassi funerei. Tutto questo non aiuta quando si devono chiedere indicazioni a un passante (Mi scusi, vado bene per il sentiero in declivio fra le tenebre di tassi funerei?). L’inferno non sembra avere un ufficio del turismo efficiente. Come non condividere il lamento di Platone, noto per essere uno dei massimi esperti del settore? Il viaggio non è come dice il Telefo di Eschilo: egli dice che una semplice strada conduce all’Ade, ma a me non sembra semplice né unica. In questo caso non ci sarebbe bisogno di guide: nessuno sbaglierebbe, se ci fosse un’unica via. Pare, invece, che abbia molte biforcazioni e incroci. Si tratta di una destinazione esclusiva e, se ci sono dei villaggi vacanze, sono destinati a una clientela selezionata. Infatti il fumettista francese Étienne Lécroart, in una sua vignetta, mostra tre angeli che con aria soddisfatta stanno visitando l’inferno. Hanno l’aureola e le ali, ma impugnano anche un forcone (acquistato probabilmente in un negozio di souvenir). Uno di loro sospira: Pff! E pensare che fra due giorni, finite le vacanze, si torna in paradiso
Insomma, l’Ade sembrerebbe un luogo oltre la mia portata. Ma a volte, per fortuna, quando si viaggia si finisce per caso nel posto giusto. È andata così. Ero in un piccolo autosilo, nel cuore di una metropoli: all’inizio sembrava un parcheggio come tanti altri, ma poi mi sono accorto che stavo percorrendo le prime rampe dell’inferno. Il navigatore satellitare ha smesso di ricevere il segnale (ero lontano dal cielo), nell’aria si sprigionavano odori di gas, tutto era scritto in italiano e in inglese (com’è giusto che sia, vista l’utenza internazionale dell’Ade). Sono passato dalla cassa (cash), dalla guardiania (guardian), dove Caronte accettava carte di credito, e mi sono inoltrato nei meandri sotterranei, scendendo fino al piano -3 (floor -3) prima di risalire alla superficie. Da qualche parte ci doveva essere un ascensore (elevator), ma ho scelto d’imboccare l’uscita pedonale (pedestrian exit). Ho notato che, dietro una lastra da rompere in caso d’incendio (to crash in event of fire), c’erano un estintore e una lancia antincendio: forse un mezzo per tenere a bada gli animatori turistici o i demoni più fiammeggianti.
È stato emozionante risalire le rampe di scale dove a suo tempo si arrampicarono Orfeo ed Euridice, dopo che lui aveva osato avventurarsi per questi luoghi paurosi, per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno. Stanze vuote, loculi angusti, mille divieti di fumo, un labirinto di metallo e di cemento. Immagino la trepidazione di Orfeo, intento ad ascoltare se, sulle scale di ferro, si avvertisse il passo della sua donna, strappata agli inferi con la dolcezza del canto. Finché a un certo punto, per ragioni che poeti e romanzieri non hanno smesso di indagare, Orfeo si volta, trasgredisce il divieto; e subito Euridice scompare, come fumo dissolto in aure sottili, con il cigolio d’un topo che si salva.
La pedestrian exit è una porta insospettabile, che si apre in una fila di negozi e di bar. Appena fuori, nel cicaleccio degli aperitivi, fra cellulari e infradito, penso all’inferno. A quello vero, al male inesorabile. Quel luogo senza nome, definibile come assenza di luce e speranza, è più vicino di quanto immaginiamo. Affiora all’improvviso dalle pagine di un giornale, divampa dagli schermi di un computer o di un televisore. È un gorgo che divora, che trascina. C’è il male causato dall’uomo – la guerra, la fame – e quello che cova dentro l’uomo, come una ferita pulsante – le malattie, la depressione. C’è la solitudine che rimbalza su internet, la chiusura ideologica, l’invidia. C’è chi circonda di mine il proprio orticello, qualunque esso sia, perché nessuno possa entrarvi (o forse perché non venga la tentazione di uscirne). C’è l’arroganza, il cinismo, l’ipocrisia. C’è la violenza: quella dei criminali, quella dei kamikaze e quella che cova nelle famiglie. C’è chi langue nell’inferno delle carceri e chi scrive sui social network che bisognerebbe buttare via le chiavi. C’è chi muore lentamente, chi è già morto senza saperlo. Come fare? Come lottare contro la marea?
La tentazione è quella di rassegnarsi. Lo diceva anche il Kublai Kan di Italo Calvino: Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è la in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente. Mi sembra che la risposta di Marco Polo sia sempre valida: L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

PS: Ho citato molti autori di nascosto, integrandoli nel testo. Non vorrei quindi rovinare il gioco rivelando le fonti. Mi limito a dire che si tratta, in ordine alfabetico, di Apollonio Rodio, Dante Alighieri, Esiodo, Ovidio, Cesare Pavese, Virgilio. Ho citato anche qualche “indicazione di rotta” incisa su alcune laminette d’oro ritrovate in sepolture greche, menzionate da Anna Ferrari nel suo Dizionario dei luoghi letterari immaginari (UTET 2007); quest’ultima è un’opera utilissima per una panoramica sull’Ade nella letteratura classica e non solo. La frase di Platone è tratta dal Fedone (108a) e si trova in Dialoghi filosofici (a cura di Giuseppe Cambiano, UTET 1981). Le parole di Calvino provengono da Le città invisibili (Einaudi 1972). La vignetta di Lécroart è apparsa nel numero 4090 del settimanale “Spirou” (31 agosto 2016). Una delle fotografie raffigura capo Tenaro, in Grecia; un’altra immagine è un collage che accosta due statue di Antonio Canova (conservate al Museo Correr di Venezia): Euridice appare esasperata e Orfeo sembra chiedersi come abbia potuto fare una cosa del genere.

PPS: Ringrazio Eloisa per gli spunti orfici. Seguendo la tradizione classica, non rivelo qui l’ubicazione dell’autosilo-Ade: se qualcuno volesse fare una visita turistica, mi scriva in privato e vedrò di dargli qualche indicazione in più…

PPPS: Circa un anno fa mi trovavo per qualche giorno nel Gargano, in Puglia. Anche da quelle parti c’è una grotta marina che, se non è l’ingresso dell’Ade, ci assomiglia molto (ne ho parlato qui).

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