Cacciavite a stella

IMG_0286Sono tornato alla mia piazzetta senza nome. Si trova a Bellinzona, fra via Raggi e via Borromini (dietro la fermata del bus Semine). Il mio impegno: passare ogni mese un pomeriggio in questo piccolo slargo circolare, in compagnia di un libro e di un taccuino. Me ne sto seduto su una panchina, ascolto, guardo, mi arrendo alle cose che succedono. La mia attitudine non è quella di un antropologo e tanto meno quella di un giornalista che voglia fare un reportage. Il mio desiderio è semplicemente appartenere a questa piazzetta, a questa umanità, anche solo per mezz’ora. Sono qui, sferzato dal vento, e di fronte a me c’è il solito circolo di signori anziani che commentano l’equilibrio del mondo. Specialmente in un giorno come questo, l’equilibrio è precario: Bisogna fare passi piccoli, dice uno dei pensionati a un secondo che sta per tornare a casa. Un terzo aggiunge: Cammina piano, se ti prende il vento ti butta sulla strada! Ma il vecchietto è sicuro di sé: alza il pollice, sorride, si calca il berretto sulla testa e si avvia controvento.
IMG_0289Nell’aria pulita i colori sono più squillanti: il rosso e il giallo delle aiuole; il verde e il bruno delle montagne; piccoli ciuffi di fiori bianchi davanti al rosso, al verde, all’arancione del semaforo; il giallo luminoso dell’autopostale; la giacca rossa di uno dei pensionati; il fucsia di un ciclista che traversa la piazza come un’apparizione. In questa armonia variopinta, solo il vento canta fuori dal coro: arrivano raffiche forti, che portano freddo sotto i vestiti, scompigliano i capelli, muovono i rami degli alberi più alti e disegnano ombre scure, inquiete, come fantasmi usciti per sbaglio sotto il sole.
IMG_0285Sto leggendo Il passaggio, di Michael Connelly. La Los Angeles del detective Harry Bosch è assai diversa dalla mia piazzetta, ma dopo qualche pagina sembra farsi più vicina, forse per via del vento che fa immaginare spazi più vasti, forse per il popolo di fantasmi che affolla il pomeriggio. Il detective Bosch, mandato prematuramente in pensione, impiega il tempo riparando una vecchia Harley-Davidson che da anni ammuffiva nel suo garage. Mentre lavora, con un cacciavite a stella in mano, ascolta musica jazz dallo stereo: Naima, eseguita dal John Handy Quintet, l’ode a John Coltrane scritta da Handy nel 1967. Non ho mai sentito il pezzo di Handy, ma conosco Naima, di Coltrane, e la dolcezza di quel canto, il suono limpido di quel sax mi evocano altri fantasmi ancora.

I vecchietti discutono di una partita di calcio. Il vento soffia via le frasi: riesco a cogliere solo qualche parola. Passa un’automobile, rallenta, si abbassa il finestrino. Appare il volto di un altro habitué della piazzetta, uno con la faccia rotonda e un paio di baffi folti color argento. Grida: A lavorare! Poi spalanca un sorriso sotto i baffi e se ne riparte tutto contento. Le ombre continuano ad agitarsi. Dall’altra parte della strada, in un giardino, rotolano sedie bianche; accanto c’è la pubblicità di un Luna Park. Mi alzo e mi avvicino alla fontana. Finalmente hanno avviato l’acqua: qualche passero si ferma a bere un sorso, un piccione si fa un rapido bagno nel canale di scolo. Arriva una raffica più forte delle altre. Sento il toc di una pigna che cade, mi volto e la vedo lì, al centro di una chiazza di sole. Intorno le ombre danzano sempre più frenetiche.
IMG_0288Faccio una telefonata, poi torno sulla panchina e riprendo a rimontare il carburatore della Harley-Davidson insieme a Bosch. Mi piace l’abilità con cui maneggia il cacciavite a stella: in fondo è quello che fa anche Connelly, è quello che facciamo tutti, quando raccontiamo una storia. Si tratta di allentare viti, di sostituirne altre, di prestare attenzione a ogni gesto: Se non avesse posato correttamente una guarnizione, non avesse pulito a sufficienza lo spruzzatore o avesse sbagliato una qualsiasi delle infinite operazioni da compiere durante il rimontaggio, tutto il suo sforzo non sarebbe servito a niente.
IMG_0287Certo, il cacciavite a stella aiuta; ma quando si destano i fantasmi ci vuole altro. Harry Bosch ne è perfettamente consapevole: il vero pericolo non è avvitare qualcosa di sbagliato, ma ignorare le ombre che abbiamo dentro, perdere quella sensibilità che ci rende in grado di fare bene il nostro mestiere. Bosch sa che il suo lavoro non è occuparsi di motori. Infatti, qualche pagina dopo, eccolo nella camera di uno squallido motel a ore, dove alcune settimane prima è stato commesso un omicidio. A che serve vedere quella stanza, quando ormai tutto è stato ripulito? Qualcuno glielo chiede: Quello che volevo sapere è cosa ci fai lì. Bosch risponde: Il mio lavoro. Controllo. Osservo. Penso. Sono a caccia di fantasmi.
IMG_0293Dalla piazzetta passano anche i bevitori solitari. Si siedono, aprono una birra, si fumano una sigaretta. Sul vialetto invece sfrecciano ragazzine con lo skate e ciondolano adolescenti alti, cresciuti tutti in un colpo. Mio padre deve sborsarmi duecento franchi, dice uno di loro, masticando patatine. Una ragazzina dai capelli ricci gli chiede: Posso una? Cosa, domanda il ragazzo. Una patatina, posso? Il ragazzo aggrotta le sopracciglia: Si chiamano “Pringles”. La ragazza afferra quattro o cinque patatine, poi, con voce saputa: È lo stesso, “Pringles” in inglese vuol dire patatine.
IMG_0295Più tardi, la stessa ragazza si siede con un’amica sulla panchina accanto alla mia. I capelli ricci si gonfiano nel vento, come se anche loro fossero pieni di fantasmi. L’amica chiede alla ragazza riccia se abbia una migliore amica. Devi averne una, insiste. Ma la riccia si fa pregare. Allora l’amica comincia una litania: Potresti scegliere la Sharon? No. La Xenia? No. La Iris? No. La Jenny? No. Io? No. L’Amanda? No. Ma allora chi scegli? Oh, basta, tanto una migliore amica ce l’ho già, è la Sheila. L’altra tace. La Sheila? La riccia annuisce e l’amica alza le spalle, come per dire: be’, se sei contenta tu. IMG_0294I fantasmi delle mancate migliori amiche si uniscono agli altri movimenti segreti che percorrono la piazzetta. Rifletto sull’eleganza con cui la ragazzina, nella sua lista di proposte, abbia infilato anche lei stessa, ma senza mettersi in risalto, con discrezione, camuffata tra una Jenny e un’Amanda.
A pochi passi, tra i rami di un grande albero, scorgo una casetta di legno. Il vento impazza, ma la struttura sembra solida. Continuo a fissare la capanna. In un giorno come questo sembra impossibile, ma ho la sensazione che lassù possa esserci qualcuno. Arriva una mamma che spinge in fretta una carrozzina. Il bambino è di malumore: dopo un tentativo di merenda fallito, la mamma riparte. Guardo di nuovo la casetta, sull’albero davanti me. Chi potrebbe mai stare lassù, mi domando. Chi può essere?

PS: John Coltrane incise per la prima volta Naima (dal nome di sua moglie) il 2 dicembre del 1959, a New York (il brano si trova in Giant Steps, Atlantic 1960). Lo stesso Coltrane propose parecchie versioni di questo pezzo, che ha una melodia serena e intrisa di spiritualità. La versione citata da Connelly (Naima, in memory of John Coltrane) è un omaggio del saxofonista John Handy, registrato al Village Gate di New York il 28 giugno 1967, poco prima della morte di Coltrane (avvenuta il 31 luglio del 1967, a quarantun anni). L’album si chiama New View (Columbia 1967). Secondo Harry Bosch il sax ha un suono magico e si tratta di una delle migliori esecuzioni dal vivo mai registrate.

PPS: Il romanzo di Connelly in originale s’intitola The Crossing, ed è stato pubblicato nel 2015. La traduzione italiana di Mariagiulia Castagnone è uscita quest’anno per l’editore Piemme.

PPPS: Ecco gli altri articoli sulla piazzetta: gennaio, febbraio e marzo.

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