Panchinario 82-93

Dopo una convalescenza, sono uscito di casa e ho camminato fino a una panchina. Ho pensato alla potenza racchiusa in questo gesto: uscire. La storia dell’umanità è cominciata così, con una persona che si avventurava fuori da ciò che considerava “casa”. Poi sono arrivati l’agricoltura, il commercio, le guerre, le migrazioni, i viaggi di nozze e le partite di calcio. Camminare non vince l’angoscia, non cancella il male. Però mi restituisce alla consapevolezza che il mondo sussisterà solo finché saremo capaci di amore, questa cosa assurda, questa parola sanvalentinizzata. I fastidi quotidiani, le catastrofi umanitarie ed ecologiche, la malattia, la depressione, tutto sembra minare la fiducia necessaria all’amore. Per me la lotta è serrata. Da una parte, la speranza di trarre qualcosa di buono da questa mia fatica; dall’altra, il brillante cinismo che può trasformare il mio sconforto in abitudine. Percepisco una lontananza dalla realtà, insieme alla tentazione dell’isolamento. Mi siedo accanto a un cippo: venti minuti di marcia fino a Bellinzona, due giorni fino a Milano. Non so quanto tempo per raggiungere i miei famigliari, i miei amici, i miei colleghi.

NB: La panchina a cui faccio riferimento è la numero 93, che trovate in fondo a questo articolo.

Ringrazio le lettrici e i lettori che m’inviano le foto delle loro panchine preferite. Cercherò di pubblicarne qualcuna nei prossimi tempi. Stavolta lo spazio è un po’ troppo affollato: qui sotto trovate dodici panchine.

82) CONCHES, in chemin Jean-François Dupuy
Coordinate: 2’502’241.8; 1’115’993.3
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 4 stelle su 5
Ideale per… navigare fra le rapide.
Siamo alla periferia di Ginevra, all’inizio di un viale alberato. Il fruscìo delle foglie secche mi fa pensare all’acqua che scorre… proprio per questo, forse, quando vedo la panchina capisco che non è semplicemente un luogo dove sedersi, ma un mezzo di fortuna: una canoa per tornare alla civiltà prima che l’inverno chiuda ogni passaggio, prima che il ghiaccio stringa i fiumi nella sua morsa. Questi bambù sono intrecciati con perizia, seguendo le indicazione di un manuale di sopravvivenza in luoghi selvaggi. La panchina è leggera, maneggevole, in grado di seguire le tortuosità di un canyon e di superare indenne le cascate. Al momento d’imbarcarsi, rimane un filo d’incertezza: la navicella è duttile, ma è anche fragile. Reggerà gli urti delle rocce? Uscirà indenne dai salti e dai mulinelli? Sono fiducioso di sì. Sono pronto. Mi siedo e lascio che la panchina-canoa cominci il lungo viaggio verso la primavera.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

83) CUREGLIA, all’angolo fra via Canton e via Prato Grande
Coordinate: 2’716’655.7; 1’099’759.5
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 2 stelle su 5
Ideale per… avvistare una cometa.
Dopo una cena con amici, questa panchina ci lancia un muto richiamo. Ubbidisco e mi siedo. Poco lontano, il campo da tennis coperto sembra un grosso animale addormentato. Mi guardo intorno, osservo il cartello con il simbolo “vicolo cieco”, l’indicazione PRATO GRANDE, l’immensa siepe sempreverde che pare il sipario di un palcoscenico. Mi sento all’intersezione fra due mondi: la tranquilla via residenziale sfuma nel mondo delle fiabe. Sto contemplando una decorazione natalizia a forma di stella quando sento un’esclamazione: i miei amici hanno visto passare nel cielo una stella cadente. Subito dopo ne scorgo una anch’io. La stella finta e quella vera (probabilmente dello sciame delle Geminidi) si sovrappongono nei miei pensieri; e su questa ruvida panchina di cemento anch’io non so più dove finisca l’Andrea reale e dove cominci quello immaginario, fatto di sogni e di lontane stelle.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

84) LOSONE, nel Dog Park lungo l’argine della Maggia
Coordinate: 2’702’141.0; 1’114’784.0
Comodità: 4 stelle su 5
Vista: 3 stelle su 5
Ideale per… parlare con un cane.
È un mattino freddo e limpido. Cammino fra l’argine sommergibile e quello insommergibile della Maggia. La brina sul prato sembra riflettersi nella luce bianca del cielo. Mentre medito sulle incertezze del futuro, sento un fruscìo di foglie. Abbasso lo sguardo e vedo un cane: un bassotto con le orecchie lunghe. «Sei tutto solo?» gli domando. Lui inclina la testa. «Ma ti pare? Quelli laggiù sono con me.» Intravedo in lontananza la forma di due esseri umani. Il bassotto mi annusa i piedi e mi augura buon anno. Io mi presento; lui mi annuncia che si chiama Morpheus. «Come il dio dei sogni?» gli chiedo. Lui sbuffa. «Scommetto che stai fantasticando sul futuro.» Io rimango stupito: non era mai successo che un cane mi leggesse nel pensiero. Il bassotto sogghigna. «Ma io sono il dio dei sogni, ricordi?» Poi segue la pista di un odore, allontanandosi. «Homo sapiens» borbotta. «Chissà chi l’ha inventato, questo nome…»
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Colonna sonora (30 secondi):

 

85) FIGGIONE, lungo la via dei monti, vicino alla cappella di Sant’Antonio
Coordinate: 2’702’141.0; 1’114’784.0
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 5 stelle su 5
Ideale per… osservare una balena
Da ragazzo, nel corso di un’estate senza fine, proprio da queste parti mi capitò di leggere Moby Dick, il romanzo di Herman Melville che racconta del capitano Achab a caccia della balena bianca. Arrivato al capitolo 57 («Delle balene in pitture, in denti, in legno, in fogli di ferro, in montagne e in stelle»), alzai gli occhi e, proprio sotto il Pizzo Forno, avvistai il dorso della Balena. «Nei paesi di montagna – scrive Melville – dove il viandante è circondato di continuo da anfiteatri di vette, qua e là da qualche buon punto di vista potrete cogliere fuggitive apparizioni di profili di balene che si stagliano lungo le creste ondulate» (H. Melville, Moby Dick, 1852, tradotto da C. Pavese per Einaudi nel 1941). Ancora oggi, quando da questa panchina contemplo il crinale curvo dei monti, nel fragore delle onde sento riecheggiare come un tuono la voce del capitano Achab.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

86) URMEIN, tra via Cazeschg e Hof Cazeschg
Coordinate: 2’749’661.7; 1’173’007.2
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 4 stelle su 5
Ideale per… leggere le tracce.
Siamo nel Canton Grigioni, vicino a Thusis. È un posto ideale per osservare le impronte sulla neve: bisogna arrivare il mattino presto, magari portando con sé un manuale come il classico Guida alle tracce degli animali del danese Preben Bang (edito da Zanichelli). Ogni pista diventa una storia: la corsa di un capriolo, i balzi di una lepre, l’avanzare cauto di una volpe. Poi, dopo qualche ora, i segni vengono cancellati dal sole. Anche se, ammonisce Bang, «in condizioni favorevoli le tracce si possono conservare per anni, addirittura per millenni»; e cita le impronte fossili di un orso delle caverne (Ursus spelaeus) rinvenute nel Sud della Francia ventimila anni dopo il passaggio del plantigrado. Proprio come le impronte, anche le storie sono labili, spariscono… eppure qualche volta, misteriosamente, sono capaci di resistere al volgere delle epoche: mutano le generazioni e loro sono sempre lì.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

87) BELLINZONA, nel parco di Villa dei Cedri all’ingresso di via Rompeda
Coordinate: 2’722’144.0; 1’115’972.1
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 2 stelle su 5
Ideale per… ascoltare un po’ di jazz.
Da bambino qualche volta mi addentravo da solo fra queste canne di bambù, immaginando di essere nel cuore della giungla. Era un territorio insidioso, popolato di animali feroci e misteriose sette di strangolatori. Procedevo lentamente, guardandomi le spalle, pronto a schivare un agguato. Ancora oggi mi piace tornare a sedermi su questa panchina, non tanto per la vista quanto perché fra i bambù si tengono delle indiavolate jam session di musica jazz. Ormai si è sparsa la voce: arrivano da lontano grandi solisti, si posano sui rami, spalancano il becco e cominciano a swingare, con un senso del ritmo e una fantasia prodigiosa. Non so perché gli uccelli prediligano proprio questo luogo, ma fidatevi: se passate un tardo pomeriggio d’inverno, con un po’ di fortuna, potrete ascoltare un assolo di pettirosso memorabile.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

88) FIRENZE, nel giardino D’Azeglio in piazza Massimo D’Azeglio
Coordinate:43°46’28″N; 11°16’4″E
Comodità:2 stelle su 5
Vista: 3 stelle su 5
Ideale per…invecchiare.
All’inizio qui c’erano orti e case popolari. Io ero giovane, sarà stato il 1860. Ma le cose cambiano e quando pochi anni dopo Firenze divenne capitale d’Italia, nel quartiere della Mattonaia fecero una cosa molto chic, un grande square all’inglese. Fiorirono case e ville in stile liberty, pensate per gli ambasciatori e l’alta borghesia. Però le cose cambiano, e all’inizio del Novecento arrivarono intellettuali e artisti al posto dei borghesi. Cominciavo a entrare nella mezza età quando portarono le giostre; poi costruirono pure il parco giochi, il campo da calcetto, quello da basket. Perché le cose cambiano. Ma io sono sempre qui e vedo i bambini che corrono, un barbone che cerca di dormire. Sarà vero che la notte spacciano? Guardo la nuova Area Cani: si chiama Rin Tin Tin, come il celebre cane attore morto a Los Angeles nel 1932, all’età di quattordici anni. È una splendida giornata. Mi sento vecchio.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

89) SANT’ANTONINO, in via Serrai
Coordinate: 2’717’665.1; 1’112’711.8
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 1 stella su 5
Ideale per… lavare i pensieri.
Supermercati, negozi di sport e di arredamento. Parcheggi, distributori di benzina, un autolavaggio. A pochi metri dai campi, il centro commerciale sorge come l’avamposto di una civiltà extraterrestre. Sebbene qui di fantascientifico ci sia poco, anzi, è tutto umano, tutto terribilmente umano: impiegati che fumano una sigaretta, una commessa che sbuffa, un camionista che aspetta davanti al cartello RITIRO MERCE. Non è un posto in cui passeggiare, e tanto meno mi verrebbe l’idea di farci un picnic. Eppure c’è un tavolo e anche una struttura che sembra un grill. Qualcuno d’estate verrà qui a cucinare salsicce? Mi appoggio allo schienale e provo a pensare a qualcosa di negativo: un problema, un fastidio, una preoccupazione. Quando si mette in moto l’autolavaggio, mi pare che nel gran risciacquo anche i miei pensieri oscuri vengano smacchiati, ripuliti, lucidati. Dopo un po’ mi alzo e me ne vado. Sono quasi diventato un ottimista.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

90) ZURIGO, nella Pflanzschulstrasse, poco prima dell’incrocio con la Hohlstrasse
Coordinate: 2’681’830.1; 1’248’126.85
Comodità: 2 stelle su 5
Vista: 1 stella su 5
Ideale per… festeggiare un compleanno.
La panchina si trova lungo una via alberata, accanto a un bar. Nei dintorni c’è una scuola, una chiesa cattolica dedicata a don Bosco e un ambulatorio dermatologico. Perché venire proprio qui a festeggiare, con tutti i luoghi panoramici che offre Zurigo? Perché non si tratta del mio o del vostro compleanno, bensì di quello della panchina “Landi”, inventata nel 1939. Nel 2019 si celebrava l’ottantesimo e oggi questo modello gigante ricorda la fortuna della classica panca elvetica a listelle rosse. Mentre mi avvicino, vedo una ragazza che sta leggendo un cartello al centro dello schienale. Do un’occhiata: è un bando di concorso per un selfie scattato sulla mega panchina, da postare sui social network con l’hashtag #landilove. Il premio per il vincitore? Una panchina, naturalmente: il Modello Speciale della Landi, esclusivo, sofisticato, creato apposta per l’anniversario.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

91) LUGANO, nel Parco Ciani, fra la darsena e il parco giochi
Coordinate: 2’717’665.1; 1’095’839.3
Comodità: 4 stelle su 5
Vista: 4 stelle su 5
Ideale per… catturare la luce.
È una di quelle domeniche invernali tessute di vento e malinconia, quando i pensieri girano in tondo come cavalli in una giostra. Il sole splende con piglio primaverile… ma è un inganno, ancora ci sono raffreddori in agguato, notti fredde, mani screpolate. Provo a combattere il malumore e mi siedo su una panchina in faccia al lago. Aspetto il momento buono. Quando il sole si posa obliquo sull’acqua, nasce un abbaglio, una luce che ferisce lo sguardo. Gli occhi si chiudono, ma la luce rimane sotto le palpebre. È come un giacimento segreto, una promessa dorata. L’esperienza dura solo pochi secondi: in quegli istanti – contro ogni norma logica – mi ritrovo nel cuore dell’estate. Al riparo delle mie palpebre si sprigiona il ritmo lento di una mattina di vacanza, la freschezza di una bibita dopo una salita in bicicletta, un aperitivo al mare, una cena con gli amici sotto una luna immensa, infinita.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

 92) SAN GALLO, in Bärenplatz
Coordinate: 2’746’198.2; 1’254’483.2
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 3 stelle su 5
Ideale per… sentirsi più leggeri.
Nato in Irlanda, discepolo di Colombano, il monaco Gallo morì fra il 630 e il 645. Sulla sua tomba sorse una chiesa, primo nucleo dell’abbazia e della futura città di San Gallo. Si narra che un giorno Gallo tolse una spina dal piede di un orso bruno; secondo la leggenda, in seguito il plantigrado e il monaco divennero amici. Per questo l’orso appare nello stemma della città e, sotto forma di statua, anche in questa piazza con una panchina circolare in mezzo. È un luogo miracoloso, che offre leggerezza a tutto ciò che pesa. Guardo la statua, massiccia – e subito compare un palloncino. Leggo sul giornale notizie di guerre, epidemie, violenze – e subito vedo una ragazza, seduta accanto a me, che usa lo stesso giornale per comporre un origami. Le amiche pensano che abbia creato un drago, lei dice che no, siete matte, è una farfalla. E tutte insieme scoppiano a ridere.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

93) GIUBIASCO, in via Sottomontagna
Coordinate: 2’721’650.6; 1’114’711.8
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 2 stelle su 5
Ideale per… calcolare le distanze.
Sto camminando da Giubiasco a Bellinzona. Quando passo davanti a questa panchina, scopro che mancano venti minuti a destinazione. Bello, non mi tocca nemmeno usare un’app sul telefono. Scopro pure che se volessi andare a Milano dovrei marciare per due giorni. Mi siedo e comincio a fantasticare. Fra una settimana ho un impegno proprio a Milano… e se invece di usare il treno, o peggio l’automobile, mi limitassi a camminare? Dovrei pernottare da qualche parte, naturalmente. Dovrei uscire dalla frenesia della nostra vita quotidiana, così come la interpretiamo all’inizio del XXI secolo, e pensare in maniera più antica. Da questa panchina potrei arrivare a Roma in due settimane, a Parigi in una ventina di giorni. In due mesi sarei a Mosca o a Marrakesh. All’improvviso i luoghi più remoti mi sembrano famigliari, domestici, come se il mondo intero fosse solo un quartiere più in là.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

PS: Potete leggere qui le prime quattro panchine, qui le panchine da 5 a 10, qui da 11 a 17 e qui da 18 a 23, qui da 24 a 30, qui da 31 a 37, qui da 38 a 45, qui da 46 a 55, qui da 56 a 64, qui da 65 a 73 e qui da 74 a 81. In generale, nella categoria Panchinario (in alto a destra), si trovano tutte le panchine.

PPS: Esprimo la mia gratitudine a chi mi aiuta, mi accompagna e mi fa scoprire nuove panchine. In particolare, grazie a Jessica (Conches), Valentina e Nicola (Cureglia), Martina, Gregorio e Morpheus (Losone), Michele (Figgione), Marco e Leonardo (Firenze), Eloisa (Zurigo e Lugano).

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Panchinario 74-81

Ci sono lettrici e lettori che mi scrivono di panchine. Qualcuno le ama, anzi, qualcuno m’invia le sue preferite. Per contro, c’è chi pensa che scrivere di panchine sia uno spreco, poiché il mondo sta andando a rotoli e abbiamo emergenze più degne dell’attenzione di uno scrittore. A questi ultimi rispondo che la letteratura non è programmatica. Credo che in queste piccole divagazioni del Panchinario appaia qualche frammento di verità, e questo mi basta: se la scrittura s’impegna nel confronto con una verità, allora non mi pare uno spreco. Ma al di là delle spiegazioni, dedicare tempo al territorio, allo spazio, alle cose minute, è un modo di affinare la propria percezione e la propria sensibilità, un modo per amare il mondo; requisito questo necessario se si vuole salvarlo.

Fra le tante panchine che sono arrivate dal mondo, oggi do spazio a quella di Emily, che scrive dalla contea di Marion nell’Oregon (USA). La sua è una panchina particolare, perché è invisibile: Emily ha filmato quanto vedeva da una panchina scavata nella roccia; ma, a causa dello spazio limitato, non è riuscita a fotografare la panchina stessa. Il suo video ritrae la cascata di South Falls, nel Silver Falls State Park (vedi anche la foto a fine articolo). È spettacolare, e per me è pure inquietante. Da bambino infatti ero intimorito dalle cascate. Il fragore, la mole, il balzo improvviso che spezza il fluire del fiume: le cascate mi toglievano il fiato, e per non sentirle mi mettevo le mani sulle orecchie. Oggi, tanti anni dopo, ho imparato ad apprezzare il canto dell’acqua che precipita a valle… ma resta sempre un filo d’inquietudine.


Con la panchina numero 81, che trovate in fondo a questo articolo, porgo a tutte le lettrici e a tutti i lettori il mio augurio di Buon Natale!

74) MASSAGNO, in via Giuseppe Motta
Coordinate: 2’716’566.5; 1’096’790.5
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 1 stella su 5
Ideale per… girare un film
INTERNO CASA ANDREA FAZIOLI GIORNO: Andrea cammina annoiato. ANDREA (VOCE OFF): Non so proprio cosa fare oggi. Piove, fa freddo. (Illuminandosi) Ehi, e se andassi al cinema? ESTERNO STRADA GIORNO: È una giornata grigia. Andrea cammina sotto un leggero velo di pioggia. ESTERNO CINEMA GIORNO: Andrea si dirige verso una panchina di cemento, di fronte all’ingresso del Cinema Lux di Massagno. CUT TO: Andrea si siede sulla panchina. Ha smesso di piovere. Andrea fissa l’ingresso del cinema. ANDREA (VOCE OFF): Andare al cinema per guardare il cinema. Qualcuno entra, qualcuno esce. Quelli che escono sono ancora impregnati del film: nelle loro espressioni, nei loro gesti. Io, invece, non so ancora che cosa mi aspetta. Deserti? Metropoli? Sparatorie, forse, o magari un amore disperato… Sono pronto a tutto. CUT TO: Andrea si alza e si avvia verso il cinema. Musica. Scorrono i titoli di coda.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

 75) PLOUDALMÉZEAU, in rue du Port
Coordinate: 48°33’26.7″N; 4°42’15.1″W
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 5 stelle su 5
Ideale per… incontrare l’Ankou.
Guardo il flusso di barche e di nuvole, finché a poco a poco scende il buio e sale la marea. All’improvviso sento un cigolio, come se qualcuno spingesse un carretto. «Piou zo azé?»chiedo in bretone. “Chi è là?” Compare un uomo alto, magro, dai capelli bianchi. La faccia è nascosta da un cappello di feltro. «Piou zo azé?», ripeto una seconda e una terza volta. L’uomo con voce cavernosa risponde: «Ma mestr ha mestr an holl, pa teut c’hoant da glewed». “Il mio padrone è il padrone di tutti, visto che desideri saperlo.” Poi mi guarda e vedo le orbite vuote, la mascella penzolante. Lo riconosco: è l’Ankou, l’oberour ar maro, l’operaio della morte. Prima che possa acciuffarmi fuggo dove ci sono luce, calore, esseri umani e sidro di mele.
(L’Ankou proviene da A. Le Braz, La Légende de la Mort chez les Bretons armoricains, 1893; in italiano tradotto nel 2003 da P. Fornasari per Sellerio con il titolo La leggenda della morte).
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Colonna sonora (30 secondi):


76) BELLINZONA, in via Francesco Chiesa
Coordinate: 2’716’566.5; 1’096’790.5
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 1 stella su 5
Ideale per… aspettare il circo.
Questa panchina non ha niente di speciale. È poco lontana dal liceo ed è rivolta verso un parcheggio. Se tornaste qui per 362 giorni all’anno vedreste solo studenti, insegnanti, cemento e automobili. Ma se avrete pazienza, un giorno di metà novembre sorgerà in poche ore il tendone del Circo Knie. Da quando studiavo (o fingevo di farlo) proprio in questo liceo, ho l’abitudine nei giorni del circo di aggirarmi intorno al caravanserraglio. Oltre allo spettacolo – non me ne perdo uno – mi affascina il paradosso insito in ogni circo. Da una parte un mondo fatto di scintille, fanfare, dove tutto è straordinario, dalla grazia dei funamboli alla maestà dei cavalli. Dall’altra parte, dietro le quinte, la quotidianità: il clown bianco che mangia un hamburger, un acrobata che fuma una sigaretta accanto alla staccionata, una trapezista che cammina verso il suo carrozzone, lentamente, cercando di scansare le pozzanghere.
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Colonna sonora (30 secondi):


 77) CARONA, all’angolo tra via Principale e via Luigia
Coordinate: 2’716’143.0; 1’090’733.1
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 3 stelle su 5
Ideale per… sconfiggere il drago
È quasi l’imbrunire. Si accende un lampione, dai camini arriva odore di fumo. Sotto di me ci sono gli orti; più in basso Melide, il lago, il ponte-diga intasato dal traffico. Qui tutto è silenzioso, tranne un canto di uccelli e, ogni tanto, il passo di qualcuno che torna a casa dal lavoro. Ripenso all’affresco sulla facciata della chiesa, appena sopra la panchina: san Giorgio, in groppa a un cavallo impennato, scaglia la sua lancia diritta nelle fauci del drago. Mentre scende la sera mi accorgo che lui non è lontano. Nonostante la pace, la prossimità delle case, la bellezza di queste colline. Lui è sempre vicino: il drago che mi tiene sveglio di notte, la malinconia che mi aggredisce a tradimento, lo sconforto, la solitudine che mi stringe alla gola. Comincia a fare freddo. Alzo il bavero della giacca. Spero che lo scudo regga il colpo, e che la forza mi basti ad alzare la lancia.
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Colonna sonora (30 secondi):


78) NESSUN LUOGO, da nessuna parte
Coordinate:?°?’?”N; ?°?’?”E; ?°?’?”S; ?°?’?”W
Comodità:5 stelle su 5
Vista: 5 stelle su 5
Ideale per… viaggiare.
Non so come sia finito qui. Nella nebbia intravedo la forma di una panchina. Mi siedo. Sento un rumore di ferraglia, un passo pesante. Dal nulla sorge un uomo in armatura e si mette di fianco a me. «Chi sei?», gli chiedo. Lui mi guarda. «Non mi riconosci? Sono l’Eroe… il Buono, quello che parte, lotta, supera la prova». Gli domando se sappia dove ci troviamo. «Siamo all’inizio – mi risponde – sulla Panchina Dove Nascono Le Storie». Poi dice che s’è fatto tardi e si allontana borbottando qualcosa su un maledetto ostacolo da superare. In quel momento dalla nebbia sbuca un orco bitorzoluto, dall’alito fetido. «Buongiorno – lo saluto. – Scommetto che tu sei l’Antagonista.» L’orco si siede, emette un grugnito. «Qualcosa in contrario?» «Io? No, figurati.» L’orco sembra stanco. Mi spiega che ha avuto una giornataccia. «Certa gente pensa che sia facile essere il cattivo… fatelo voi, dico io, fatelo voi, per quella miseria che ci pagano!»
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Colonna sonora (30 secondi):


79) LUGANO, in via Foce
Coordinate: 2’717’975.5; 1’095’805.0
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 2 stelle su 5
Ideale per… meditare sulla solitudine.
A pochi passi brillano le luci di un ristorante, ma sembrano lontane migliaia di chilometri. Dietro c’è un parcheggio, mentre intorno le strade sono deserte, sferzate da un acquazzone. Questa panchina non mi offre nemmeno la possibilità di sperare che per caso qualcuno passi di qui e, perché no, si sieda accanto a me. È di forma classica, verniciata con un bel rosso-panchina… ma è una monopanca, praticamente una seggiola fissata sull’asfalto. C’è posto solo per me. A proposito, perché mi sono fermato? Perché rimango seduto sotto i rami di un salice, a scrutare nel buio? Piove. È sabato sera. Penso che fra qualche minuto mi alzerò, camminerò, andrò a cercare un luogo caldo e illuminato. Ogni viso umano, ogni parola splenderà come se fosse nuova, come se fossi scampato a un naufragio. Forse le monopanche, come le isole deserte, servono proprio a questo: a ritrovare il gusto di stare in compagnia in un piovoso sabato sera d’inverno.
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Colonna sonora (30 secondi):


80) TORINO, nel giardino Lamarmora in via Stampatori
Coordinate: 45°04’15.5″N; 7°40’36.9″E
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 1 stella su 5
Ideale per… un picnic fra innamorati.
Magari, quando sentite la parola “picnic”, pensate a una radura fiorita, all’erba tenera, alla frescura degli alberi, a un ruscello gorgogliante… insomma, a quello che gli antichi chiamavano locus amœnus, un luogo d’incanto. Ma se vi capita di essere a Torino, fra lunghi viali, automobili, palazzi austeri? Non perdetevi d’animo, nessuno ha mai detto che le metropoli non possano essere romantiche. Questa panchina, per esempio, vi fornisce tutto ciò di cui avete bisogno: un paio di cuori intrecciati per l’atmosfera; un cesto della spazzatura per gettare eventuali resti di cibo; una superficie su cui scrivere i vostri nomi accompagnati da un roboante PER SEMPRE. Davanti avete una strada, alle spalle un piccolo parco. Basta poco perché Torino divenga «città della fantasticheria» e «città della passione, per la sua benevola propizietà agli ozi» (Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 17 novembre 1935).
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Colonna sonora (30 secondi):


81) GIUBIASCO, in Piazza Grande
Coordinate: 2’721’446.7; 1’114’658.2
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 3 stelle su 5
Ideale per… stare a testa in giù.
È l’una del pomeriggio e a Giubiasco tutto scorre. Passano le automobili in via Bellinzona, veleggiano banchi di nuvole nel cielo, fuggono i giorni dell’avvento che portano in fretta, sempre troppo in fretta, a un altro Natale. Io, invece, sto fermo. Così come le sculture disseminate sul prato. Vicino a me c’è una famiglia di pietra: due genitori e un bambino, tutti con lo sguardo rivolto all’albero di Natale. Davanti all’albero c’è un’altra piccola statua, un uomo che sta in equilibrio sulle mani. Di colpo, mi pare che tutto ruoti intorno a quell’ometto capovolto: la piazza, il traffico, le stagioni dell’anno. Forse questi giorni stanchi di fine dicembre possono diventare un punto di svolta. Al di là delle luminarie e dei panettoni, la festa può essere un’occasione per cambiare prospettiva, per guardare le cose vecchie in maniera nuova. Ho deciso: quest’anno a Natale proverò a mettermi a testa in giù, così, per vedere l’effetto che fa.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

PS: Potete leggere qui le prime quattro panchine, qui le panchine da 5 a 10, qui da 11 a 17 e qui da 18 a 23, qui da 24 a 30, qui da 31 a 37, qui da 38 a 45, qui da 46 a 55, qui da 56 a 64 e qui da 65 a 73. In generale, nella categoria Panchinario (in alto a destra), si trovano tutte le panchine.

PPS: Il video della cascata è stato girato da Emily, la fotografia è presa da internet. Esprimo la mia gratitudine a chi mi aiuta, mi accompagna e mi fa scoprire nuove panchine. In particolare, grazie mille a Barbara (Ploudalmézeau) e a Giacomo (Lugano).


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Panchinario 38-45

Giorno dopo giorno, il popolo delle panchine si muove sul nostro pianeta. È una tribù senza terra, una nazione senza confini. Le donne e gli uomini che si siedono sulle panchine, ovunque nel mondo, hanno la stessa cittadinanza, lo stesso invisibile passaporto. Dalla coppia di adolescenti che si avvinghia in un abbraccio al vecchio che, dopo una perigliosa camminata, approda in un luogo sicuro. Spinti dalla curiosità, dalla stanchezza, dalla noia. Non importa come ci arriviamo. Ma una volta seduti, siamo in una zona franca. A pochi metri da noi si erigono statue, si asfaltano strade, crollano le borse, bruciano i boschi, passano cortei di festa o di protesta, si fanno elezioni, convegni, giornali, rapine. Fra qualche minuto dovremo varcare la frontiera e occuparci di queste faccende. Ma ora siamo lontani. Abbiamo chiesto asilo politico a un altro Stato, senza governo e senza leggi. Siamo qui. Siamo il popolo delle panchine.

38) FRANKENTAL, all’incrocio fra Limmattalstrasse e Bombachhalde
Coordinate: 2’678’577.8; 1’250’956.8
Comodità: 4 stelle su 5
Vista: 4 stelle su 5
Ideale per… dare un’occhiata alla fine del mondo.
Oggi non c’è nessun luogo che si possa definire “distante”. In poche ore si arriva dappertutto, anche i deserti e le foreste sono stati esplorati, sulla cima dell’Everest manca poco che mettano un tavolo da picnic. Come raggiungere dunque la fine del mondo? Personalmente faccio così: vado a Zurigo, prendo il tram numero 13 e scendo al capolinea. Frankental. Non so perché questa parola risvegli in me una sensazione di lontananza. In fondo è un quartiere di periferia come tanti. Eppure, c’è qualcosa di remoto, di misterioso. Frankental. Fra i palazzi e le case residenziali appaiono vigneti, pezzi di prato, negozi di alimentari, palestre. Dall’alto si vede la Limmat che scorre maestosamente. Oltre il fiume appaiono cantieri, gru, ciminiere di fabbriche. Sbuffi di fumo bianco salgono verso il cielo. Frankental.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

39) CAPRINO, fra il Sentiero alla Cava e il Vicolo delle Cantine
Coordinate: 2’719’809.3; 1’094’069.0
Comodità: 4 stelle su 5
Vista: 5 stelle su 5
Ideale per… leggere una poesia di Vittorio Sereni.
Il sentiero corre accanto ai moli, alle barche tirate in secco. Il sole si posa di striscio sull’acqua. Supero scalinate, terrazze, vigne, bandiere, finché arrivo a questa panchina che, me ne accorgo subito, ho già visto. Ma quando? Come? Con chi? Lentamente ritrovo i brandelli di un ricordo; ma sono passati anni, il me stesso di allora mi pare un altro. Con quali occhi avrò guardato la baia di Lugano, il monte Brè, il San Salvatore? E quali pensieri urgenti, quali sogni mi occupavano il pensiero? Nel momento in cui credo di riafferrarlo, quell’Andrea remoto mi sfugge, e di lui resta solo un riflesso, un brivido fra l’acqua e le montagne. «Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema / ma pari più non gli era il mio respiro / e non era più un lago ma un attonito / specchio di me una lacuna del cuore» (Vittorio Sereni, “Un ritorno”, in Gli strumenti umani, Einaudi 1965).
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Colonna sonora (30 secondi):

 

40) BELLINZONA, piazza Indipendenza
Coordinate: 2’722’275.4; 1’116’602.3
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 3 stelle su 5
Ideale per… entrare in contatto con gli alieni.
Sono le quattro del mattino della prima notte di carnevale. Una folla di sopravvissuti sta riparando verso casa. In mezzo alla piazza svetta un’astronave aliena a forma di obelisco, giunta dalle profondità dello spazio. Accasciato di fianco a me, proprio sotto l’insegna del WWF, c’è un grande orso dal pelo nero. Mi accorgo che sta piangendo, con la faccia nascosta tra le zampe. Nella piazza arrivano tre macchine pulitrici… o sono dei robot marziani? La mia panchina è vuota, mentre su quella di fianco sono approdati sei personaggi in cattive condizioni: un frate, un figlio dei fiori, un pollo, un tizio in calzamaglia rosa e altre imprecisate creature. Quando scatto un’istantanea alla mia panchina, una ragazza mi chiede con garbo: «Cazzo ti fotografi?» Mentre mi allontano, a lungo m’insegue la voce del frate. «Torna qui, zio, dai, torna qui… facciamoci un selfie insieme, dai… ehi, zio, facciamoci un selfie!»
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Colonna sonora (30 secondi):

 

41) MÜNCHENSTEIN, sulla Loogstrasse accanto alla chiesa St. Franz Xaver
Coordinate: 2’613’200.8; 1’263’296.6
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 3 stelle su 5
Ideale per… giocare a rimpiattino.
Sono in un villaggio poco lontano da Basilea. Mi siedo sulla panchina un pomeriggio d’inverno. Di fronte a me c’è una scuola. All’improvviso, sento un concerto di voci infantili: risate, strilli, richiami… Eppure non vedo nessuno, com’è possibile? Intuisco che i bambini stanno giocando a rimpiattino nel cortile della scuola, che si trova dall’altra parte dell’edificio. Li ascolto, immaginando le fughe, le rincorse. E come per miracolo, ogni cosa partecipa al gioco: il sole che si nasconde l’albero, i rami dell’albero che inseguono la primavera, la mia infanzia che di colpo si affaccia alla memoria e cancella il tempo. Ho la strana, irragionevole certezza che, se andassi a dare un’occhiata, troverei il me stesso bambino che tenta di nascondersi in un angolo del cortile. Un po’ intimidito, alzerebbe gli occhi e mi chiederebbe: dove sei stato per tutto questo tempo?
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Colonna sonora (30 secondi):

 

42) MADONNA D’ARLA, tra Fiè e il Pian Piret
Coordinate: 2’721’423.3; 1’103’304.7
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 5 stelle su 5
Ideale per… inventare fiabe.
C’era una volta un orco giardiniere. Era molto bravo, ma a causa del suo aspetto terrificante non lo voleva nessuno. Alla fine venne assunto dal diavolo in persona. Il demonio, infatti, possiede un piccolo giardino aspro e scosceso in mezzo alle montagne, nascosto da una serie di picchi taglienti che la gente del posto chiama “Denti della vecchia”. Adesso l’orco lavora lì e ogni tanto, insieme alla gramigna e alla zizzania, coltiva di nascosto qualche tulipano. Un giorno il diavolo lo scopre e si arrabbia, sprizza fuoco e fiamme. «Sono così belli!», balbetta l’orco. «Il mio giardino non è fatto per la bellezza!», ringhia il demonio. Ma il mattino, appena sveglio, quando non c’è nessuno, il diavolo passa come per caso davanti ai tulipani. Li guarda appena, con la coda dell’occhio. E sente risuonare dentro di lui, fievole, lontano, un rintocco di nostalgia.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

43) MILANO, in Largo Corsia dei Servi
Coordinate: 45°27’52” N; 9°11’46” E
Comodità: 2 stelle su 5
Vista: 2 stelle su 5
Ideale per… leggere un autore russo.
«Non era ancora buio, ma qua e là, nelle case si cominciavano ad accendere i lumi […]. Laptèv, seduto su una panca vicino al portone, attendeva che l’ufficio del vespro finisse nella chiesa di San Pietro e Paolo: contava di vedere Jùlija Sergèevna e di parlarle, sperando di passare forse la serata intera con lei.» A pochi passi dal Duomo, la chiesa di San Vito in Pasquirolo (originaria del XII secolo, ricostruita nel XVII) è oggi affidata a una comunità ortodossa russa. Dalla mia panchina, sento il chiacchiericcio dei passanti che si mescola alle salmodie. Fra poco dal portone uscirà Jùlija Sergèevna… e passeggeremo lungo il viale e sarà come essere in campagna. «Si percepiva un sussurrìo di voci femminili, risa soffocate; qualcuno suonava piano, dolcemente, la balalàjka. Vagava nell’aria un odore di tiglio e di fieno» (A. Cechov, Tre anni, traduzione di E. Reggio e M. Shkirmantova).
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Colonna sonora (30 secondi):

 

44) GIUBIASCO, in viale 1814
Coordinate: 2’721’557.5; 1’115’273.2
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 1 stella su 5
Ideale per… parcheggiare.
Per immettervi nel parcheggio dovete camminare sul marciapiede e poi svoltare a sinistra, segnalando col braccio il cambio di direzione. Scalate le marce dei muscoli e attraversate lo spiazzo. Dovreste riuscire a sedervi sulla panchina senza fare troppe manovre. Si trova esattamente al centro di uno stallo delimitato da strisce bianche. Posteggiatevi, allungate le gambe, rallentate il battito del motore. Se fa caldo socchiudete anche i fari e, benché la panchina non sia comoda, magari vi appisolerete. Io ci sono stato di domenica, quando il piazzale d’asfalto era deserto e io solo, sotto il sole, stavo seduto sul cemento. Una domanda mi tormentava: che cosa diavolo ci fa una panchina in mezzo allo stallo di un parcheggio? Ma poi ho pensato che era pur sempre una panchina in più. E per combattere il caldo mi sono tolto la giacca… oppure ho abbassato i finestrini? Vai a sapere. In primavera la mia memoria è lenta come un diesel.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

45) CAMORINO, via In Muntagna
Coordinate: 2’721’713.8; 1’113’800.8
Comodità: 2 stelle su 5
Vista: 5 stelle su 5
Ideale per… aspettare la primavera
Questa panchina merita due visite, tra fine febbraio e inizio aprile (il periodo può variare a seconda degli anni). La prima visita rivela un paesaggio spoglio: erba giallastra e alberi secchi, dall’aspetto fragile. Ma osservando il piano di Magadino potete già percepire un rintocco nell’aria, una luce diversa. È come se la natura fosse percorsa da un brivido che in tutte le sue fibre la sveglia, la sommuove, la spinge verso la primavera. Provate allora a sognare il futuro: la lenta crescita delle gemme, l’arrivo del colore verde, sempre più intenso, l’azzurro, i fiori, il canto degli uccelli. Immaginate tutto ciò e serbatelo nel cuore, poi aspettate qualche settimana. Quando nello splendore di aprile tornerete alla panchina, resterete sorpresi. La primavera, come un grande artista, avrà superato la vostra immaginazione, dipingendo un paesaggio luminoso, colmo di fantasia e di speranza.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

PS: Grazie a chi mi aiuta, mi accompagna e mi fa scoprire nuove panchine. In particolare, grazie a Yari (Frankental), Eloisa (Münchenstein, Bellinzona), Gioele Z. (Madonna d’Arla), Gioele J. (Camorino).
Potete leggere qui le prime quattro panchine, qui le panchine da 5 a 10, qui da 11 a 17 e qui da 18 a 23, qui da 24 a 30 e qui da 31 a 37. In generale, nella categoria Panchinario (in alto a destra), si trovano tutte le panchine.

PPS: Alcune lettrici e lettori, che mi hanno scritto in privato, si aspettavano una panchina da Locarno e una da Firenze. Le ho posticipate per ragioni tecniche, ma arriveranno nelle prossime settimane.

 

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Un panino al salame

Perché salire? La domanda mi arriva così, dopo una curva. I muscoli, il fiato, la catena, le ruote, tutti lavorano. Quest’anno però sono fuori allenamento e perciò, nella mia prima scalata verso Carena, devo fare i conti con una mozione di protesta. 1) Le gambe: Una bicicletta da corsa… era necessario? 2) I polmoni: Che cosa… c’è… che non va… nella dolcezza della pianura? 3) Il cuore: Povero me, perché proprio la stessa salita che percorrevi a diciotto anni? 4) Il cervello: No comment. 5) Coro: E quindi, in conclusione, chi te lo fa fare?
image1 copia 3
Parto da Giubiasco, vicino a Bellinzona, a una quota di 244 metri sul livello del mare, e arrivo a Carena (958 mslm) dopo un percorso di 10,6 chilometri. Durante il tragitto passo da Lôro, Pianezzo, Vellano, Carmena e Melera. È una strada che conosco a memoria. Quanto ci metto? All’incirca trenta minuti, quando non sono in forma. Altrimenti cerco di stare sotto i venticinque.
Attenzione, la frase precedente l’ho scritta nell’intento di far sobbalzare – sia pure soltanto per una frazione di secondo – gli eventuali appassionati di ciclismo che leggono questo blog. Naturalmente, sono ben lontano da questi tempi… e lo ero anche a diciotto anni! Non ho l’abitudine di conometrare e mie uscite in bicicletta (vado a pedalare proprio per starmene lontano dagli orologi, in senso proprio e metaforico). So che impiego più o meno un’ora, ma il contachilometri che ho sul manubrio ha esaurito le batterie anni fa, e non ne ho mai comprate di nuove.
image1Quando cominciai a uscire in bicicletta, durante l’adolescenza, seguivo il ciclismo con interesse. Ancora oggi mi tengo aggiornato, guardando qualche gara alla tivù o più spesso sfogliando le pagine sportive dei giornali. Di recente, mi è capitato di leggere un breve romanzo di atmosfera ciclistica: Cicale al carbonio, scritto da Carlo Zanzi e pubblicato nel 2008 dal Gruppo editoriale Eureka. L’autore suggerisce che la domanda con cui si apre questo articolo possa risuonare anche in un gruppo di professionisti: Un piccolo lago, alberghi e il bosco più fitto. Ai tornanti cartelli indicavano l’altitudine: millesettecentotrenta metri sopra il livello del mare. Nessuno si era permesso di scattare, neppure gli avventurieri alla caccia di qualche ripresa televisiva. Avevano tutti freddo lì in mezzo. Quando potevano, s’avvicinavano per scaldarsi. Ma nel gruppo allungato, biscia colorata a picco su Canazei, scoppiavano soprattutto imprecazioni, battute e, non dette, ricerche di un senso a tutta quella sofferenza fra i monti.
Ecco, si tratta proprio di questo: sofferenza fra i monti.
Perché, dunque?
Durante la salita lascio che la mente divaghi. Forse per il tempo che passa adagio, forse per la fatica nei muscoli e nel sangue, mi capita spesso di pensare a persone che ho conosciuto e che non ci sono più. È come se la tormentosa ascesa del corpo, in qualche modo, favorisse anche quella del pensiero. Qualche volta, se ci sono lavori in corso, mi devo fermare per pochi secondi. Bevo un sorso d’acqua, aspetto che il solenne autopostale giallo davanti a me riprenda a salire.
image1 copia 2Tutto è molto verde, molto azzurro. Un ciclista sulla cinquantina, dal fisico nodoso, mi raggiunge e mi supera, lentamente, concentrato nel suo ritmo. Lo lascio andare e rimango solo, in un tratto di strada meno ripido. Guardo le montagne: le case sembrano appoggiate sulle macchie di prato da un bambino che giochi a creare un piccolo mondo. Ci sono greggi di pecore: campane, belati, la corsa di un agnello (il suo belato, più urgente, è di un’ottava più alto). Passo e colgo brandelli di paesaggio, di conversazione. All’ombra dei portici siedono persone rilassate, nel cuore del pomeriggio. Il fruscio di una fontana mi accompagna per qualche metro. È uno scenario che, in questo momento, non mi appartiene. Ho il fiato breve, il cuore che pulsa. Insomma: sto faticando. Perché invece non mi siedo anch’io all’ombra, con una birra fresca?
Copia di image1Perché, a pensarci bene, sta succedendo qualcosa. Un’uscita in bicicletta per me non è un banale allenamento sportivo, ma una storia minima, un viaggio, un arco narrativo dalla fatica al sollievo, dalla freschezza iniziale al rimescolio del sangue fino allo scioglimento finale, con il respiro che ritrova la sua compostezza e i pensieri che tornano alla quiete. Mi piace pedalare così come mi piace camminare: senza fretta, seguendo un ritmo profondo. Affronto le salite proprio come affronto il lavoro della scrittura: è un percorso che si costruisce un pezzo alla volta, senza mai sapere che cosa si vedrà dietro la prossima curva. Anche quando conosco le strade, sono abbastanza distratto per dimenticarle. Così accade quando scrivo, quando viaggio, perfino quando suono. In un certo senso, forse, è uno dei segreti della creatività: essere pronti a dimenticare le strade note.
image1 copia 4Quando arrivo a Carena, appoggio la bicicletta contro il muro. Di fianco a me c’è l’edificio della vecchia dogana: in passato tra queste zone e la val Cavargna (in Italia) correvano traffici più o meno legali. Ora è tutto tranquillo e oltre al mio fiato si sente soltanto il gorgoglio del vecchio lavatoio (è severamente vietato lordare l’acqua, mi avvisa un cartello, e i trasgressori verranno puniti a norma di regolamento).
Svito il tappo della borraccia, la riempio di acqua fresca. Perché salire? La risposta alla domanda iniziale è tutta in quei pochi secondi di pausa, prima di portare la borraccia alle labbra. Sono sentimenti semplici: la sete, il calore, la freschezza, la dolcezza sublime dell’acqua che si dirama lungo il sistema nervoso. Ecco perché vado in bicicletta: perché prima di bere, bisogna avere sete.
image1 copia 5Anche Carlo Zanzi, in un momento significativo del suo Cicale al carbonio, nota qualcosa del genere: Marco saliva e la fatica si spegneva, lasciandogli nelle gambe e nella pancia una bella sensazione. Alzò lo sguardo verso la fine della scalata; più a destra, fra il Cuvignone e la cima del Monte Nudo, galleggiavano nel cielo tre parapendii. Uomini appesi a una tela colorata sfidavano il vuoto e la loro paura. Li seguì nel loro volo lieve, curando con la coda dell’occhio di non finire nella scarpata, dentro buche o contro i sassi lasciati in strada dall’inverno. Si sentì leggero e felice. Provò desiderio di un panino al salame.

PS: Per apprezzare l’ultima fotografia di questo articolo, credo che sia necessario un accenno di colonna sonora. Eccolo:

 

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