Panchinario 65-73

Scrivere di panchine è scrivere di uomini e donne, di alberi e animali, di tutto ciò che vive sulla terra. Ogni panchina offre al passante le storie di chi abita nei dintorni e di chi se n’è andato ma ancora, misteriosamente, torna ogni tanto a sedersi. Ho trovato questa immagine in una poesia dell’autore inglese Thomas Hardy (1840-1928). Nella traduzione di Eugenio Montale s’intitola Vecchia panchina.

Il suo verde d’un tempo si logora, volge al blu.
Le sue solide gambe cedono sempre più.
Presto s’incurverà senz’avvedersene,
presto s’affonderà senz’avvedersene.

A notte, quando i più accesi fiori si fanno neri,
ritornano coloro che vi stettero a sedere;
e qui vengono in molti e vi si posano,
vengono in bella fila e vi riposano.

E la panchina non sarà stroncata,
né questi sentiranno gelo o acquate,
perché sono leggeri come l’aria
di lassù, perché sono fatti d’aria.

65) ANZINO, nell’Alpe Baolina
Coordinate: 45°58’48″N; 8°9’3″E
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 3 stelle su 5
Ideale per… ascoltare il bosco.
Siamo in Piemonte, nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola. La strada carrozzabile che parte da Anzino s’inoltra fra gli alberi e diventa un sentiero. C’è una biforcazione: a sinistra si arriva all’Alpe Rondirenco, mentre a destra si può andare a Bannio, passando da Valpiana. Al bivio tutto è sospeso fra la civiltà e la natura, l’asfalto e la terra, il noto e l’ignoto. Il bosco, pure quando è vicino alle case, è sempre misterioso. C’è un’anima profonda, selvaggia, che con i nostri sensi addomesticati dalla modernità possiamo solo intuire. Anche la panchina è sospesa fra due mondi: sta in un territorio privato (come dice un vecchio cartello quasi illeggibile) ma è pubblica, a disposizione di tutti i passanti. Basta sedersi per qualche minuto, in silenzio, e il bosco comincerà a parlare: fruscii, schiocchi, canti di uccelli e ronzii di insetti, parole di erba e di acqua e di vento. È il linguaggio più antico del mondo.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

66) ARTH, in Guggähürliweg, ai bordi del bosco
Coordinate: 2’695’018.9; 1’108’698.9
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 4 stelle su 5
Ideale per… perdere un treno.
Tutta l’Europa passa lungo la ferrovia del Gottardo. Lavoratori, turisti, studenti, affaristi, furfanti, politici, migranti, artisti… ognuno con le sue ragioni e le sue speranze. E tutti, senza badarci, passano da Arth-Goldau. Quante volte sono sceso a questa piccola stazione e sono salito sul treno per Zurigo, che parte (di solito) dal binario opposto? A volte mi fermo meno di un minuto. A volte perdo la coincidenza e devo aspettare. Finché un giorno ho deciso di perdere un treno in più: sono uscito dalla stazione e mi sono trovato nel villaggio di Goldau, che conta cinque o seimila abitanti e che appartiene al comune di Arth. Dalla stazione poi, con una passeggiata di quaranta minuti, ho raggiunto questa panchina discreta, con vista sul centro di Arth e sul lago di Zugo. (Per chi avesse molti treni da perdere: dalla panchina in meno di cinque ore si arriva sulla cima del Monte Rigi.)
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67) CORFÙ, sulla spiaggia di Arillas
Coordinate: 39°44’34.8″N; 19°38’51.4″E
Comodità: 2 stelle su 5
Vista: 5 stelle su 5
Ideale per… leggere Jules Verne.
Sono nell’isola greca di Corfù, all’estremità di un molo; di fronte a me vedo l’isolotto di Nisida Kravi. Ma dopo un po’, sferzato dal vento e dalla schiuma, comincio a sospettare che il luogo da reale stia diventando immaginario. Eccomi dentro un racconto di Jules Verne: «Frritt!… è il vento che si scatena. Flacc!… è la pioggia che cade a torrenti. Questa raffica muggente piega gli alberi della costa volsiniana e s’infrange contro il fianco delle montagne di Crimma. Lungo il litorale, le alte scogliere sono incessantemente logorate dalle onde di questo vasto mare della Megalocride. Frritt!… Flacc!…». Non sono più a Corfù, ma nella misteriosa cittadina di Luktrop. Verne avvisa i lettori: inutile cercarla sulle mappe, perché «i migliori geografi non hanno saputo mettersi d’accordo sulla sua latitudine, e nemmeno sulla sua longitudine» (“Frritt-Flacc”, pubblicato su “Le Figaro illustré” nel 1884).
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68) LUGANO, in piazza Molino Nuovo
Coordinate: 2’717’460.3; 1’096’749.4
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 1 stella su 5
Ideale per… pensare al futuro.
Ci sono ancora le mezze stagioni. Un lunedì pomeriggio, nel cuore di settembre, siedo su questa panchina rossa sotto un albero verde; nonostante la resistenza dei colori, avverto nell’aria un languore, come un respiro che si fa più lento. Il blu del cielo è compatto, insondabile. Che cos’è l’autunno? Spesso appare come un segno della fine, una discesa verso il vuoto dell’inverno. Ma perché non vederlo come la stagione in cui, profondamente, le cose preparano un nuovo inizio? Forse la primavera è già qui, ma in incognito. Le voci dei passanti si mescolano al suono del traffico. Un uomo esce dal bar con la “Gazzetta dello Sport”, un bimbo protesta perché non vuole stare nel passeggino, lungo la via Trevano passa lentamente una Harley Davidson, scintillante sotto il sole. Al centro della piazza, proprio di fronte a me, la fontana è impacchettata in un telo di plastica: lavori in corso.
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69) SAVONLINNA, sull’Aino Acktén Puistoten
Coordinate: 39°44’34.8″N; 19°38’51.4″E
Comodità: 3 stelle su 5
Vista: 4 stelle su 5
Ideale per… lanciare il proprio telefono.
Savonlinna è una città finlandese di 36.000 abitanti. Il quaranta per cento del suo territorio è fatto di acqua: dal lago Haukivesi fino al Pihlajavesi, ovunque è uno scintillìo di riflessi, un tremolìo di onde sullo sfondo verde scuro delle foreste.L’Ovanlinna, il castello di sant’Olaf, è la fortezza medievale più a nord fra quelle rimaste in piedi in tutto il mondo; fu costruito nel 1475 per controllare la frontiera tra il regno di Svezia e la Russia. La città venne distrutta più volte, nel corso di varie guerre. Oggi tutto è calma e silenzio, solo le torri grigie ricordano che qui avvennero battaglie e lotte sanguinarie. Nella luce dolce del pomeriggio l’acqua assorbe i rumori, i contrasti, i cattivi pensieri. Proprio a Savonlinna, ogni anno si svolge il Campionato mondiale di lancio del telefono cellulare: nel 2005 il finlandese Mikko Lampi stabilì il record assoluto con la distanza di 94 metri e 97 centimetri.
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70) DIJON, in place de la Libération
Coordinate: 47°19’16.8″N; 5°02’29.7″E
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 4 stelle su 5
Ideale per… riflettere sui soprannomi.
Gli zampilli delle fontane crescono, diventano rigogliosi, poi tornano piccoli e quasi scompaiono. Davanti a me il Palazzo ducale, oggi sede del Municipio e del Museo delle Belle Arti. I duchi di Borgogna, all’apogeo del loro dominio, estesero la loro influenza dai mari del nord fino al Mediterraneo. Tutto cominciò con Riccardo il Giustiziere (877-921), ma la fase di grande espansione arrivò con Filippo l’Ardito (1363-1404), Giovanni Senza Paura (1404-1419), Filippo il Buono (1419-67) e Carlo il Temerario (1467-77). Mi chiedo: i soprannomi corrispondevano al vero? Sembra di sì. Di certo Carlo fu temerario: l’ultimo duca borgognone mosse battaglia contro i Cantoni elvetici, sicuro di vincere, ma venne sconfitto tre volte e lasciò la pelle nella battaglia di Nancy (1477). Gli Svizzeri vittoriosi, confermando la loro indole pratica, rinunciarono ad annettere la Franca Contea in cambio di centocinquantamila fiorini d’oro.
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71) FUSIO, davanti al cimitero
Coordinate: 2’694’102.7; 1’144’302.3
Comodità: 1 stella su 5
Vista: 5 stelle su 5
Ideale per… sentirsi vivo.
La panchina forse non esisteva ancora, ma fu proprio da questo punto di vista che nel 1870 il viaggiatore inglese Samuel Butler s’innamorò di Fusio: «Non so in che cosa consista il suo incanto peculiare, ma è il più bel villaggio del genere che io conosca» (S. Butler, Alpi e santuari, trad. di P. Bianconi, Dadò 1984). È sempre difficile spiegare l’incanto: in questo giorno d’autunno mi limito a contemplare le case, il campanile, le finestre velate dalla nebbia. Dalla parte opposta c’è l’ossario, costruito nel 1823. Sulla facciata, due scheletri mi ricordano che la vita è un soffio e che presto calerà il buio; chissà perché, nonostante il memento mori, mi sento più che mai ricolmo di vita. Ogni cosa intorno mi pare luminosa: il villaggio, i prati, i boschi, l’angelo che nell’affresco solleva le anime purganti. E gli scheletri? Forse sono matto… ma credo proprio che, dietro uno sbuffo di nebbia, uno dei due mi abbia rivolto un sorriso.
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72) PREONZO, in Pasquéi
Coordinate: 2’720’524.5; 1’124’656.1
Comodità: 2 stelle su 5
Vista: 2 stelle su 5
Ideale per… ascoltare l’autunno.
I luoghi più ordinari sono quelli più misteriosi. Un mite giorno di ottobre mi siedo su questa panchina, posta in un triangolo erboso accanto alla strada cantonale, che a Preonzo si chiama “el Stradón”. Accanto a me c’è una fontana. Più lontano, un cantiere edile. Subito di fronte, un parcheggio e l’ingresso di un ristorante. Tutto va come sempre. Passa un adolescente in motorino. Due signore si fermano a parlare. Dal ristorante viene un buon odore di pizza. Un uomo canticchia una canzone. Poi, di colpo, un bambino prende lo slancio ed entra di corsa in un mucchio di foglie secche. Allora noi, tutti noi che siamo rimasti fermi, ci scambiamo uno sguardo – io, le signore, l’uomo che canta. Dentro di me sento nascere un rimpianto: vorrei essere lì, al posto del bambino, dentro il cumulo di foglie, intento a causare quello scoppiettio, quell’accartocciarsi, quel fruscio crepitante… la perfetta colona sonora per un giorno d’autunno.
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73) SION, in rue du Grand-Pont
Coordinate: 2’593’973.9; 1’120’309.5
Comodità: 2 stelle su 5
Vista: 3 stelle su 5
Ideale per… inventare una storia d’amore.
La panchina è double face e si trova nell’angolo fra due case, lungo la via principale. Da una parte si può contemplare la vetrina di una galleria d’arte e la brasserie Croix Fédérale. Dall’altra, c’è un negozio di barbiere: «Carmelo coiffure». Sulla destra, un arco di pietra immette in un vicolo. Un cartello con una freccia dice: «Coiffure Inès». Seduto con le spalle alla strada, guardo prima la vetrina di Carmelo, poi il cartello di Inès. I due si conoscono? Sono rivali? Immagino che all’inizio si saranno guardati in cagnesco. Poi magari una sera Carmelo – rimasto senza gel o senza lozione rivitalizzante – ha bussato alla porta di Inès. Lei aveva da fare e gli ha risposto in maniera sbrigativa. Ma il mattino dopo, affacciandosi da Carmelo, si è scusata per il tono brusco. E lui, cogliendo la palla al balzo: «Pas de problème, mademoiselle. Puis-je vous offrir un café?» Così cominciano le grandi storie d’amore.
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Colonna sonora (30 secondi):

 

PS: Esprimo la mia gratitudine a chi mi aiuta, mi accompagna e mi fa scoprire nuove panchine. In particolare, grazie mille a Barbara (Anzino), Alice (Arth, Lugano), Eloisa (Lugano), Paolo (Savonlinna), Martina e Gregorio (Fusio), Caterina e Lavinia (Preonzo), Prisca e Fabio (Sion).
Potete leggere qui le prime quattro panchine, qui le panchine da 5 a 10, qui da 11 a 17 e qui da 18 a 23, qui da 24 a 30, qui da 31 a 37, qui da 38 a 45, qui da 46 a 55 e qui da 56 a 64. In generale, nella categoria Panchinario (in alto a destra), si trovano tutte le panchine.

PPS: La poesia di Thomas Hardy proviene dal Quaderno di traduzioni di Eugenio Montale, pubblicato per la prima volta nel 1948 e ora contenuto in Tutte le poesie (Mondadori 1984; 2001). L’originale s’intitola The garden seat. Ecco il testo, preso dal sito della Thomas Hardy Society.

Its former green is blue and thin,
And its once firm legs sink in and in;
Soon it will break down unaware,
Soon it will break down unaware.

 At night when reddest flowers are black
Those who once sat thereon come back;
Quite a row of them sitting there,
Quite a row of them sitting there.

 With them the seat does not break down,
Nor winter freeze them, nor floods drown,
For they are as light as upper air,
They are as light as upper air!

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Slow snow

La bellezza della neve sta nel silenzio. Apro la finestra e ogni cosa è nuova: il mondo è stato creato stamattina. Poi tornano le parole. Prima i fiocchi indecifrabili di Vittorio Sereni: Edere? stelle imperfette? cuori obliqui? / Dove portavano, quali messaggi / accennavano, lievi? Poi i versi di Alfonso Gatto, nell’ora in cui il cigolio dei lumi / improvvisa perduti e beati / villaggi di sonno. Infine, come se le parole nascessero proprio in questo momento, come se nessuno le avesse mai dette prima, ecco Eugenio Montale: Avrò di contro un paese d’intatte nevi / ma lievi come viste in un arazzo.
image1Mentre osservo il paese battezzato dalla neve stringo nelle mani una tazza di caffè, cercando di trattenere il calore. Come un tepore troveranno l’alba / gli zingari di neve. Nel silenzio le parole dei poeti appaiono più nitide, come fuori dal tempo. Chissà perché proprio questi tre poeti, e perché proprio adesso? La memoria ha percorsi misteriosi. In effetti non mi ricordo le poesie in maniera ordinata, di certo non le saprei ripetere interamente: arriva solo qualche verso spezzato, qualche frammento irregolare.
Ora me ne sto alla finestra ad ascoltare il silenzio, ma più tardi è mia intenzione entrare nel paesaggio. Quando nevica – non solo, ma soprattutto quando nevica – corro a prendere il mio prezioso Preben Bang. Il suo Guida alle tracce degli animali (Zanichelli) è sempre una lettura avvincente.
Lo comperai anni fa, dopo averlo sfogliato e dopo aver notato per caso una foto con la didascalia: Impronte fossili di un orso delle caverne, risalenti a ca. 20.000 anni fa. Quelle parole non le ho mai dimenticate (almeno, non più delle poesie). Ventimila anni fa, pensate. Ventimila anni fa un orso ha stampato le sue impronte per terra, proprio come farò io fra qualche minuto. Sono passati secoli, crollati imperi, mutate dinastie… ma le tracce dell’orso ci sono ancora.
Il volume di Bang non si limita alle impronte sulla neve. La quarta di copertina spiega bene di che si tratta: un manuale pratico di campagna che descrive le tracce (orme) e i segni (resti di pasti, escrementi, tane ecc.) lasciati dai mammiferi e dagli uccelli europei. Nell’ultimo capitolo poi Bang insegna come realizzare i calchi delle orme e come conservare il materiale collezionato.IMG_1741
Il mio sogno è di riuscire a realizzare e a collezionare i calchi; ma per il momento resta una faccenda troppo complessa. Però amo camminare nei boschi e nella campagna cercando gli indizi minuziosamente descritti da Bang. Il fatto di osservare i segni e di risalire a una scena di vita reale, magari drammatica, mi sembra affascinante: in un certo senso, è quasi una lezione di scrittura creativa…
Non mi dilungo su Preben Bang: avremo senz’altro l’occasione di riparlarne. Prima o poi scriverò qualcosa sulla drammatica scena poliziesca di pagina 145 (le malefatte di un rapace diurno) o sulla sottile distizione fra le impronte di un alce e quelle di un bovino, di cui Bang tratta a pagina 61.image1-2
Per il momento, invece, mi occupo del ritorno. Quando cammino perdo la cognizione del tempo, quindi sarò di certo intirizzito e irrigidito dal freddo. Come sciogliere il rigore di una passeggiata in un giorno gelido di febbraio? Forse con Slow snow, un brano inciso dal sassofonista norvegese Tore Brunborg (che qui suona anche il piano), insieme a Elvind Aarset (chitarra), Steinar Raknes (contrabbasso), Per Oddvar Johansen (batteria). Già i nomi, con le loro sillabe nordiche, sono una promessa… All’inizio il piano, il basso e la batteria disegnano un paesaggio incessante, come una cantilena. Poi il basso comincia a farsi inquieto; finché, quando ormai nessuno se l’aspettava, arriva il sax.

Insieme alla chitarra Tore Brunborg conclude il brano, offrendoci una melodia elegante e fuggevole come una nevicata notturna. Gremite d’invisibile luce selve e colline / mi diranno l’elogio degl’ilari ritorni. // Lieto leggerò i neri / segni dei rami sul bianco / come un essenziale alfabeto.

PS: Torno all’inizio dell’articolo: se la bellezza della neve sta nel silenzio, per condividerla non basta una fotografia. Ho registrato quindi, con il microfono del mio telefono, qualche secondo di silenzio innevato: un lieve fruscio, un contrappunto di uccelli e, a tratti, il mio respiro. Eccovi il quasi impercettibile risultato dell’operazione.


PPS: La poesia di Sereni s’intitola Nella neve, scritta a Mendrisio nel ’48 e pubblicata nella raccolta Gli strumenti umani (1965); quella di Gatto Carri d’autunno, tratta da Isola (1932); quella di Montale Quasi una fantasia, da Ossi di seppia (1925). I versi citati nel secondo paragrafo (Come un tepore…) provengono da Carri d’autunno; quelli citati alla fine (Gremite d’invisibile…) da Quasi una fantasia. La fotografia presa dal volume di Preben Bang mostra una pista di alce su neve profonda (con andatura di marcia). Il disco di Brunborg s’intitola Slow snow ed è stato pubblicato da ACT Music nel 2015.

PPPS: Ancora due parole su Vittorio Sereni, solo per ricordare che morì nel 1983, proprio il 10 febbraio come oggi. Dedico dunque alla sua memoria questo articolo sullo stupore invernale (la neve, fra l’altro, compare ogni tanto nei testi di Sereni: oltre ai versi citati sopra, penso a una bella lirica come Addio Lugano bella).

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