I segreti della geometria instabile

Vi trovate a Berna in un giorno d’inverno e volete viaggiare in una dimensione parallela? Dimenticate Palazzo federale e la Fossa degli orsi. Prendete invece una stanza ai piani alti all’Holiday Inn in Riedbachstrasse, nella periferia di Brünnen. Se sarete fortunati, il mattino si leverà la nebbia. Allora, dalla vostra finestra, contemplerete un edificio misterioso, futuristico e inquietante. E vi chiederete: ma dove sono finito?
image1Il luogo è sinistro. Viene in mente l’Area 51 statunitense, con la base militare cancellata dalle mappe e dalle immagini satellitari. Che cosa conterrà quell’edificio spettrale? Reperti alieni, tecnologia avveniristica, forse i diari segreti dei consiglieri federali?
Il mio consiglio: godetevi l’esperienza straniante, poi rendetevi conto che si tratta semplicemente del tetto di un centro commerciale e, per consolarvi, andate a farvi un giro nello scintillio dei negozi e delle panetterie fragranti (a Berna prendono sul serio l’arte di fare il pane). Fra l’altro il centro Westside di Brünnen è stato progettato dall’architetto americano Daniel Libeskind, autore di opere celebri in tutto il mondo e fra i massimi esponenti del decostruttivismo.
La “geometria instabile” di Libeskind riassume bene la tonalità del mio breve viaggio nella Svizzera tedesca.
IMG_0483Venerdì sera avevo una conferenza con Stefano Prandi, professore all’università di Berna. Le sue osservazioni sono state un’occasione per riflettere sul mio lavoro. Ho avuto fra l’altro l’occasione di approfondire i temi del prossimo romanzo (“L’arte del fallimento”). È la prima volta che ne ho parlato in pubblico: si tratta di una storia che mi ha fatto riflettere sulla sconfitta, sulla precarietà (economica, esistenziale) e sulla bellezza che nonostante tutto si manifesta per vie segrete. A Berna abbiamo parlato anche del mestiere di scrivere, interpretato come ricerca per capire qualcosa di sé stessi e del mondo; come ogni lavoro, ha le sue incertezze, le sue difficoltà e i suoi momenti d’illuminazione.
Un’esperienza utile sia per la visione generale, sia per i dettagli. Dopo la conferenza qualcuno, per esempio, mi ha fatto notare l’abbondanza dell’espressione “e però” nelle mie opere (e anche nel mio modo di parlare). Riuscirò a usarla ancora? Forse lo farò con più cautela, com’è giusto che sia, e però… forse è giusto che ogni stile abbia i suoi tratti distintivi, purché non siano troppo compiaciuti. Già mi tocca stare in guardia dall’espressione “rendersi conto” in tutte le sue forme, alla quale sono troppo affezionato.
I momenti di geometria instabile, in un viaggio, sono come gli accordi anomali in un brano musicale. Ti fanno trasalire, ma ti aiutano a renderti conto (ecco!) del modo in cui lavora la memoria.
A me per esempio resterà in mente la libreria accanto all’Università, dove ho comprato uno studio sull’ambiguità del comico nella letteratura, edito da Sellerio, e una piccola, bizzarra guida dal programma ambizioso: comprendere il carattere delle persone. Un appassionato di manuali strani come me non poteva ignorarla.
image3Mi resterà pure la nebbia intorno alla città, il meticoloso mercato del sabato mattina, la chiacchierata con il portiere notturno dell’hotel, gli occhi sgranati della fanciulla che appare su decine di cartelloni pubblicitari a Bellinzona, a Zurigo, a Berna, ovunque. Mi resta tutto questo e un paio di altre cose che non scriverò.
Durante il viaggio di ritorno ho avuto un’ultima, instabile occasione per riflettere sul mio mestiere. Di solito non ho l’abitudine di lavorare sui treni, perché sono pigro e preferisco guardare fuori dal finestrino, ascoltare i discorsi degli altri oppure, se non c’è nessuno ed è buio, leggere un romanzo. Ma in questo caso ho dovuto aprire il mio vecchissimo computer portatile per correggere un testo. Di fronte a me c’erano altri due passeggeri: un ragazzo che con il pollice esplorava l’interno del suo telefono cellulare e una ragazza che lavorava a maglia.
Per un attimo, mi è venuto in mente (mi sono reso conto) che stavamo tutti e tre facendo la stessa cosa. Io limavo le mie parole, il ragazzo creava link nello spazio virtuale e la ragazza sferruzzava, cioè costruiva lentamente un oggetto compiuto, usando un semplice filo di lana.
image2A partire da elementi basilari, immaginare una visione più armonica. È ciò che facciamo quando scriviamo (o navighiamo sulla rete, o sferruzziamo). Le mie storie non sono qualcosa che invento dal nulla. Tutto esiste già (come un filo di lana), e tutto tende a uno stato finale ordinato (come una sciarpa). Dov’è la creatività? Non è nel filo, e neppure nell’idea della sciarpa. La creatività è muovere i ferri su, giù, dentro e fuori, è un paziente processo dove la fantasia passa dall’astrazione alla concretezza, nominando cose, fatti, personaggi.
Chissà, forse è proprio questo che fanno nella misteriosa Area 51 bernese. Forse è un’immensa, favolosa fabbrica dove si assemblano tutte le storie ancora da raccontare, tutte i personaggi che al momento vagano nelle zone oscure della nostra fantasia…

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