Il giorno di Ferragosto ho avuto uno scambio di idee con alcune bambine che giocavano alle bambole. Una bambina, in particolare, stava sgridando una Barbie che si rifiutava di dormire: sei stanca, le diceva, devi essere stanca! Le ho chiesto il motivo di questo accanimento terapeutico. Ha passato tutto il giorno al centro commerciale, mi ha spiegato la bimba, e ora deve riposare. Che vitaccia, ho pensato.
Una di queste bambine porta lo stesso nome della sua bisnonna (e mia nonna): Lina Fazioli. Mentre la guardavo giocare le due figure omonime si sono sovrapposte e per un attimo, nella calura del pomeriggio estivo, ho avuto l’impressione di un fuggevole contatto con le ombre. Portato da una voce lontana, mi è tornato in mente un episodio che non sapevo di ricordare: un giorno, una trentina di anni fa, mia nonna mi raccontò come giocava alle bambole da piccola, all’inizio del Novecento. Prima lei e le sue compagne strappavano un ciuffo di erba, facendo in modo di tenere anche la zolla; poi rivestivano la zolla di un panno perché diventasse la testa della bambola. Ed ecco che l’erba non era più erba, ma una meravigliosa gonna fluttuante.
Ho voluto provare anch’io: a volte compiere un gesto è l’unico modo per fissare un ricordo. Ho strappato un ciuffo d’erba e ho avvolto un panno intorno alla zolla, davanti agli occhi perplessi delle bambine. Guardate, ho detto loro, adesso anch’io ho una bambola. Posso metterla a riposare insieme alle vostre? Superato lo stupore iniziale, le bambine hanno accolto la nuova bambola, sebbene fosse chiaro che non avesse mai messo piede in un centro commerciale.
Vedendo le bambole appaiate sul tavolo – quella antica accanto a una di quelle contemporanee – mi pareva di essere appena uscito da una macchina del tempo. Il divario di cento anni è stato annullato in pochi secondi: le bambine non hanno esitato a giocare con la mia bambola autarchica, nonostante fosse priva di accessori (e anche di lineamenti). Ma ho voluto spingermi oltre, rischiando di farmi del male. Ho chiesto: qual è secondo voi la bambola più bella fra queste due? E ho atteso il responso con trepidazione, come se avessi iscritto la mia “miss” a un concorso di bellezza estivo, di quelli che forse si organizzano ancora sulle spiagge più tamarre. Ma avevo dimenticato quanto possano essere diplomatiche le bambine: dipende, mi hanno risposto, non si può dire, perché una ha la gonna lunga e una ce l’ha corta.
Giocare alle bambole è uno dei gesti più antichi dell’umanità. Nei giorni scorsi leggevo un saggio di antropologia (magari ve ne parlerò prima o poi) nel quale si racconta la vita degli Apache del XIX secolo, fra l’Arizona e il Messico. Ebbene, anche nella guerriglia, quando le tribù si dovevano spostare in fretta per sopravvivere, quando il pianto di un bambino poteva significare la morte dell’intera famiglia, perfino durante le carestie e le fughe, le bambine Apache giocavano alle bambole. Lo testimoniano i resti degli accampamenti, oggi in un museo: insieme a punte di freccia, ossa e canestri, ci sono delle piccole bambole fatte di stracci, pezzetti di pelle e materiale vegetale.
Giocare alle bambole è raccontare una storia. La mente elabora scenari, disegna paesaggi, completa ciò che manca (infatti il mio tentativo è stato subito compreso). Più un bambino si annoia, più la sua fantasia è stimolata a inventarsi un mondo. Perciò è crudele privare i nostri figli (e noi stessi) della noia, specialmente durante le vacanze. Senza tivù, senza iPad, senza telefoni, ecco che i bambini ci mostrano chi siamo veramente. Privi della nostra armatura tecnologica, siamo condannati a essere qui, ora, in questo luogo, sotto il sole di questo giorno preciso. Come smuovere la nostra mente, allora, come viaggiare senza l’ausilio di video e social network? Be’, i vecchi metodi funzionano ancora: giocare alle bambole consente avventure spazio-temporali con poca spesa e massimo rendimento. È anche un buon laboratorio di scrittura: se tanti autori giocassero alle bambole, invece di scrivere roba su internet come il sottoscritto, forse avremmo più romanzi decenti…
Certo, dare spazio alla fantasia è sempre rischioso, fin dai tempi di don Chisciotte e dei mulini a vento. Nel mio caso, stavo per rientrare in casa quando mi sono ritrovato circondato da un manipolo di bambine. Ehi, dove vai, non puoi andare via adesso, mi hanno intimato. Prima devi fare una bambola di erba per ognuna di noi!
PS: A proposito di noia, vorrei ricordare che uno degli scopi principali di questo blog è proprio quello di aiutare i lettori ad annoiarsi. Lo spiegavo qui, nel primo articolo in assoluto.