Green Barbie

Il giorno di Ferragosto ho avuto uno scambio di idee con alcune bambine che giocavano alle bambole. Una bambina, in particolare, stava sgridando una Barbie che si rifiutava di dormire: sei stanca, le diceva, devi essere stanca! Le ho chiesto il motivo di questo accanimento terapeutico. Ha passato tutto il giorno al centro commerciale, mi ha spiegato la bimba, e ora deve riposare. Che vitaccia, ho pensato.
IMG_6336Una di queste bambine porta lo stesso nome della sua bisnonna (e mia nonna): Lina Fazioli. Mentre la guardavo giocare le due figure omonime si sono sovrapposte e per un attimo, nella calura del pomeriggio estivo, ho avuto l’impressione di un fuggevole contatto con le ombre. Portato da una voce lontana, mi è tornato in mente un episodio che non sapevo di ricordare: un giorno, una trentina di anni fa, mia nonna mi raccontò come giocava alle bambole da piccola, all’inizio del Novecento. Prima lei e le sue compagne strappavano un ciuffo di erba, facendo in modo di tenere anche la zolla; poi rivestivano la zolla di un panno perché diventasse la testa della bambola. Ed ecco che l’erba non era più erba, ma una meravigliosa gonna fluttuante.
IMG_6329Ho voluto provare anch’io: a volte compiere un gesto è l’unico modo per fissare un ricordo. Ho strappato un ciuffo d’erba e ho avvolto un panno intorno alla zolla, davanti agli occhi perplessi delle bambine. Guardate, ho detto loro, adesso anch’io ho una bambola. Posso metterla a riposare insieme alle vostre? Superato lo stupore iniziale, le bambine hanno accolto la nuova bambola, sebbene fosse chiaro che non avesse mai messo piede in un centro commerciale.
Vedendo le bambole appaiate sul tavolo – quella antica accanto a una di quelle contemporanee – mi pareva di essere appena uscito da una macchina del tempo. Il divario di cento anni è stato annullato in pochi secondi: le bambine non hanno esitato a giocare con la mia bambola autarchica, nonostante fosse priva di accessori (e anche di lineamenti). Ma ho voluto spingermi oltre, rischiando di farmi del male. Ho chiesto: qual è secondo voi la bambola più bella fra queste due? E ho atteso il responso con trepidazione, come se avessi iscritto la mia “miss” a un concorso di bellezza estivo, di quelli che forse si organizzano ancora sulle spiagge più tamarre. Ma avevo dimenticato quanto possano essere diplomatiche le bambine: dipende, mi hanno risposto, non si può dire, perché una ha la gonna lunga e una ce l’ha corta.
FullSizeRenderGiocare alle bambole è uno dei gesti più antichi dell’umanità. Nei giorni scorsi leggevo un saggio di antropologia (magari ve ne parlerò prima o poi) nel quale si racconta la vita degli Apache del XIX secolo, fra l’Arizona e il Messico. Ebbene, anche nella guerriglia, quando le tribù si dovevano spostare in fretta per sopravvivere, quando il pianto di un bambino poteva significare la morte dell’intera famiglia, perfino durante le carestie e le fughe, le bambine Apache giocavano alle bambole. Lo testimoniano i resti degli accampamenti, oggi in un museo: insieme a punte di freccia, ossa e canestri, ci sono delle piccole bambole fatte di stracci, pezzetti di pelle e materiale vegetale.
IMG_6313Giocare alle bambole è raccontare una storia. La mente elabora scenari, disegna paesaggi, completa ciò che manca (infatti il mio tentativo è stato subito compreso). Più un bambino si annoia, più la sua fantasia è stimolata a inventarsi un mondo. Perciò è crudele privare i nostri figli (e noi stessi) della noia, specialmente durante le vacanze. Senza tivù, senza iPad, senza telefoni, ecco che i bambini ci mostrano chi siamo veramente. Privi della nostra armatura tecnologica, siamo condannati a essere qui, ora, in questo luogo, sotto il sole di questo giorno preciso. Come smuovere la nostra mente, allora, come viaggiare senza l’ausilio di video e social network? Be’, i vecchi metodi funzionano ancora: giocare alle bambole consente avventure spazio-temporali con poca spesa e massimo rendimento. È anche un buon laboratorio di scrittura: se tanti autori giocassero alle bambole, invece di scrivere roba su internet come il sottoscritto, forse avremmo più romanzi decenti…
Certo, dare spazio alla fantasia è sempre rischioso, fin dai tempi di don Chisciotte e dei mulini a vento. Nel mio caso, stavo per rientrare in casa quando mi sono ritrovato circondato da un manipolo di bambine. Ehi, dove vai, non puoi andare via adesso, mi hanno intimato. Prima devi fare una bambola di erba per ognuna di noi!

PS: A proposito di noia, vorrei ricordare che uno degli scopi principali di questo blog è proprio quello di aiutare i lettori ad annoiarsi. Lo spiegavo qui, nel primo articolo in assoluto.

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L’età delle caverne

Qualche giorno fa ero nel Gargano, in Puglia. Per una serie di circostanze che sarebbe lungo enumerare, e per quella blanda distrazione nei confronti della ragionevolezza che ci siamo abituati a definire come vacanza, mi sono ritrovato a bordo di una canoa, con un giubbotto di salvataggio e una pagaia. Qualcuno mi ha spinto verso il mare aperto.
image1Dopo qualche secondo, preso atto della situazione, stavo già remando… verso dove? Davanti a me si aprivano le infinite vie dell’oceano (in senso lato). Intorno all’anno mille i Maori attraversarono il Pacifico da ovest a est e da sud a nord a bordo di fragili piroghe a bilanciere, orientandosi con i venti e con le stelle. E io, quale meta avrei mai potuto raggiungere? Le coste dell’Australia? Le isole delle Antille? Capo Horn? Per fortuna, tempo qualche minuto, mi sono ricordato di non essere un Maori. Così ho voltato la canoa verso la costa, senza sapere che proprio lì mi attendeva l’ignoto.
image1 copia 2Nella parete rocciosa si scorgeva un piccolo varco. Anche soltanto per cercare un po’ di ombra, il mio compagno di canoa e io ci siamo diretti verso quel passaggio e ci siamo inoltrati in una grotta. Dentro, c’era il rovescio del mondo. Niente più sole abbagliante o azzurra vastità del Mediterraneo. Intorno a noi, soltanto rocce frastagliate e nere, qualche pezzo di legno trascinato dalla marea, qualche riflesso siliceo sulle pareti di calcare e l’acqua tenebrosa, inquieta, che aveva perso ogni trasparenza. Ci siamo spinti verso un angolo e in quel momento, nell’oscurità totale, ho pensato: siamo dentro di noi. Per uno strano effetto di traslazione, la grotta non era più un fenomeno esterno, ma una manifestazione oggettiva dell’inconscio. Ecco la caverna che da sempre accoglie l’umanità, l’antro dal quale siamo usciti, millennio dopo millennio, imparando a essere uomini e donne. Ecco il rifugio, l’ininterrotta oscillazione, l’acqua avvolgente, lo spazio chiuso che ho abitato prima di venire al mondo, mese dopo mese, imparando inconsapevolmente a essere me stesso. Ecco il fondo remoto da cui sorgono le idee e nel quale sono nati tutti i personaggi delle mie storie.
image4Quanti artisti entrano ed escono da queste grotte, alla ricerca di quel porto sepolto, che rappresenta ciò che di segreto rimane in noi indecifrabile. Ma non riguarda soltanto i poeti, è così per chiunque. Anch’io, quando trovo una parola, mi accorgo che scavata è nella mia vita / come un abisso. Il punto di partenza per un atto di linguaggio è sempre qualcosa che viene dal fondo, è come il baricentro di un piccolo terremoto, come un’onda che sale su. Con la nostra canoa a noleggio eravamo approdati a quella caverna abitata da ombre platoniche e ricordi di epoche primitive, a quell’acqua buia assai più che persa, a quella zona oscura dove covano i sogni.
IMG_5289Abbiamo imboccato un cunicolo. Che ci volete fare? La convinzione di essere in un romanzo di Jules Verne si faceva sempre più solida, e ci pareva di sentire accanto a noi il professor Lidenbrock del Viaggio al centro della terra o il capitano Nemo di Ventimila leghe sotto i mari. Il cunicolo si faceva più stretto, cancellando ogni residuo di luce. Sono passati un paio di secondi – o erano epoche millenarie? Dalla profondità veniva un rumore sordo, come il brontolio di un drago che si risvegli dal sonno. Ma era soltanto l’acqua, l’acqua che incessante si frangeva sulle pareti. (Era davvero l’acqua? Mai sottovalutare i draghi).
Copia di image3Poi, ecco uno spiraglio. Lontano, più avanti, s’intravedeva qualcosa di azzurro. Aiutandoci con le mani, abbiamo spinto la canoa. In quell’attimo, ho colto un movimento: appena sfiorato dalla luce, sopra una roccia, è apparso un artropode nerastro; non so se fosse un gambero o un altro tipo di minuscolo crostaceo. Quell’irruzione della vita mi ha rinfrancato. Anche laggiù, nell’anticamera dell’inferno (o dell’inconscio, ma cambia poco), un essere animato s’industria per mandare avanti la sua giornata. Anche laggiù, l’imprevedibilità e il mistero dell’esistenza non cedono all’oscurità, all’ipnotico borbottio del drago.

E finalmente, di nuovo, il mondo. Di colpo la grotta si allarga, come una cattedrale di luce, e tornano i colori mutevoli del mare, del cielo, delle nuvole. Dopo una lunga preistoria, o dopo nove mesi di gestazione, usciamo all’aperto, sotto lo schiaffo del sole. Siamo noi, siamo tornati limpidi, siamo di nuovo quello che vogliamo o che possiamo essere. Ma non dimentico, nel cicaleccio dei gabbiani e dei bagnanti, che quella grotta non me la sto lasciando alle spalle, così come sembra. È qui, la sento, dentro di me. Ogni tanto anche senza canoa mi arrischio nella caverna, alla ricerca di parole, di pensieri, d’immagini, e spero sempre di fare ritorno.
Copia di image1Stavolta, per esempio, eccomi di nuovo con voi. Ho trovato qualche manciata di frasi, abbarbicate alle rocce come pomodori di mare, e le ho distese in ordine. Il viaggio continua, fuori o dentro l’acqua: approfitto della caverna virtuale di questo blog per rivolgere un saluto e un augurio di buone vacanze alle mie lettrici e ai miei lettori… e perché no, anche a quel piccolo crostaceo che, a modo suo, faceva il possibile per essere creativo, e dunque vivo.

 

PS: Qualche giorno dopo la mia partenza, in Puglia è capitato un grave incidente ferroviario. Quei due treni che si sono scontrati fra Corato e Andria, con quell’improvviso manifestarsi del male, della morte, mi hanno fatto riflettere sulla nostra precarietà e sulla vastità del mistero, che a volte è davvero immenso e oscuro come una caverna. Dedico questo articolo alle vittime, ai feriti, ai loro cari, nella speranza che al confine delle tenebre possa un giorno balenare l’azzurro del mare ritrovato.

PPS: Il porto sepolto è il titolo di una poesia di Giuseppe Ungaretti, contenuta nella raccolta omonima stampata per la prima volta nel 1916. Lo stesso autore, in un commento alla sua lirica, diede la definizione che riporto in corsivo. Trovate i versi e la glossa in Vita d’un uomo. Tutte le poesie (Mondadori). Anche i versi successivi sono tratti dal Porto Sepolto (poi confluito nell’Allegria), e in particolare dalla lirica Commiato. La citazione successiva è di Mario Luzi, presa dal volumetto Spazio stelle voce. Il colore della poesia, edito nel 1991 da Leonardo a cura di Doriano Fasoli. L’acqua buia assai più che persa proviene da un verso di Dante, nel canto VII dell’Inferno. Come spiega Dante stesso nel Convivio (IV, XX 2), lo perso è uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero, e da lui si dinomina.

PPPS: Grazie a Martina, autrice di alcune fotografie e del video (la canzone è In my heart, tratta dall’album 18, pubblicato da Moby nel 2002).

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Alla ricerca della noia

Di sicuro è la noia che mi ha portato a scrivere romanzi. Mi ricordo quei pomeriggi nelle vacanze scolastiche d’estate, con il sole che a un certo punto si fermava nel cielo. Chi dice che non sia possibile? Solo chi non è mai stato bambino, nel mese di luglio, in un villaggio, all’ora della siesta. Il sole era fermo, eccome. E dal momento che il pomeriggio non sarebbe finito mai, bisognava inventarsi qualcosa. Esaurito l’ultimo gioco, consumato l’ultimo libro, memorizzato l’ultimo fumetto, perché non infilare un foglio nella macchina da scrivere e provare a far parlare dei personaggi, a metterli in difficoltà? La sfida: inventare un mondo, per vedere se poi sia possibile andarci.
FullSizeRenderÈ una questione di egoismo, forse. Costruire un mondo immaginario per fuggire dai pomeriggi senza fine. Oppure di generosità: come lasciare un personaggio all’oscuro, come non dargli vita, dopo averne avuto la prima intuizione?
Le parole “macchina da scrivere” prima mi sono uscite senza pensarci. E devo dire che non mi aiutano a sentirmi giovane… Ma è così: appartengo all’ultima generazione di scrittori che hanno cominciato con la macchina da scrivere. (Solo durante l’infanzia: poi sono arrivati i computer. Del resto, ancora oggi tendo a usare il computer come una macchina da scrivere appena più efficiente).
PigriziaPerché mi salta in mente di cominciare un blog? Ora purtroppo i pomeriggi senza fine si fanno sempre più rari; anzi, mi pare che dopo una certa età scompaiano del tutto. Ma sto cercando di non perdere la capacità di annoiarmi. Mi sono inventato diversi modi per passare il tempo, oltre alle attività più collaudate (lettura e gioco, sempre quelle). Mi piace viaggiare, la musica, il cinema, ho imparato a suonare il sax tenore, mi piace camminare, andare in bicicletta. Mi sono anche sposato. Ho due figlie. Ho dovuto procurarmi dei lavori retribuiti, con tanto di orari, per sopravvivere. Ogni tanto mi capita di perdere un impiego, e quindi mi tocca esplorare altre vie. Insomma, dov’è la noia?
Non mi arrendo. Ogni tanto è davvero difficile, ma poi riesco a strappare qualche ora, anche solo qualche prezioso minuto di noia. Allora, qualche volta, mi viene un’idea. E scrivo. Mi butto in un romanzo, in un racconto, in una scena teatrale.
Finora mi sono tenuto lontano dai blog, perché ho una certa ritrosia nei confronti della rete, dell’eterna condivisione, delle raffiche letali di “mi piace” e in generale dei social network (grandi nemici della noia!). Ma poi il mio editore ha insistito, e io mi sono detto: non fare lo snob.
Ho pensato che raccontare qualche sprazzo della mia ricerca possa aiutarmi a non abbassare la guardia. E i lettori? Sarei davvero contento se qualcuno scorrendo questi appunti trovasse un po’ d’ispirazione per procurarsi qualche attimo di noia. È proprio lì, nel profondo della noia, che secondo me si nascondono i mondi davvero lontani. Basta avere il coraggio di stare fermi, e vedremo posti più esotici di qualunque destinazione potremo mai raggiungere con un costoso viaggio organizzato o con un “last minute”.

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