Odraxolonk

Oggi ho trovato un odraxolonk. Non lo stavo nemmeno cercando – del resto, sarebbe da pazzi uscire di casa con l’idea di cercare un odraxolonk, senza mezzi appropriati e senza un’adeguata preparazione. Avevo semplicemente l’idea di fare quattro passi per le vie del centro, e poi forse di spingermi fino ai bordi della città, lungo il fiume, per avvistare qualche segno di primavera: a volte basta un riflesso sull’acqua, una primula, un’esitazione. Ogni cambiamento si manifesta con segni piccoli, quasi impercettibili.
IMG_9347Ero stanco, perché mi ero alzato presto, ma camminare mi pareva riposante, così come poter lasciare libero lo sguardo, senza schermi o file di parole che esigessero attenzione. Una semplice passeggiata, qualche volta, può corteggiare il mistero con più leggerezza rispetto a viaggi esotici o a sfibranti escursioni in luoghi sperduti. Che cosa c’è di più selvaggio della nostra stessa città? La tribù degli avvocati in giacca e cravatta è altrettanto indecifrabile che i tatuaggi di un antico guerriero polinesiano, il rito della pausa caffè, officiato da impiegati ciarlieri, è complesso quanto le variazioni di un canto sciamanico inuit. Io stesso, che mi muovo tra i portici e i viali, sono parte della scena, un elemento dell’intreccio di gesti e vicende. Ogni passo ricalca i passi di altre generazioni, il saluto al barbiere, allacciarsi le stringhe di una scarpa, acquistare un giornale, sedersi sul bordo di una panchina.
IMG_9346Davanti al palazzo del Governo c’è la scultura di una foca, che nella bella stagione spruzza un getto d’acqua dal muso. Ora la stanno restaurando: è ricoperta da un imballaggio di plastica e circondata da varie impalcature. Sotto la maschera il naso si protende verso l’alto, come alla ricerca di aria, di libertà, o magari di una palla da tenere in equilibrio. A mio parere, è proprio la foca ad avere attirato l’odraxolonk. Senza il caos del cantiere, non sarebbe potuto restare nascosto ai passanti. Probabilmente di giorno se ne rimane acquattato in un angolo, mentre di notte scivola fuori e prova a stabilire un contatto con la foca. L’odraxolonk è un animale assai timido ma pare che – non si sa bene per quale ragione – abbia un debole per le foche, specialmente per quelle di pietra.
IMG_9351Mi rendo conto ora che qualche lettore potrebbe ignorare la natura impetuosa eppure schiva di questa bestiola. L’odraxolonk infatti è estremamente raro. Per capire a fondo la sua conformazione, occorre precisare che si tratta di un incrocio nel quale affiorano i tratti di altre creature. Una di esse è l’odradek, descritto per la prima volta da Franz Kafka nel 1917. Assomiglia a un rocchetto per avvolgere il filo, che grazie a due stanghette può starsene ritto come su due gambe. Si sarebbe tentati di credere – annota Kafka – che questa struttura, una volta, abbia avuto una forma adeguata a una funzione, e che ora si sia rotta. Non sembra invece che sia così; […] l’insieme appare inservibile, ma a suo modo completo. L’odradek può stare in soffitta, nel sottoscala, nei corridoi, nel vestibolo. Magari passano mesi senza che si faccia vedere. Quando ride, sembra un fruscio di foglie secche. È capace di rimanere a lungo in silenzio. Io non ne ho mai visto uno mentre Kafka, che lo conosce bene, si domanda se possa morire: Tutto ciò che muore ha avuto prima o poi uno scopo qualsiasi, una qualche attività, e così s’è consumato. Ma l’odradek? Scenderà le scale trascinando filacce tra i piedi dei miei figli, e dei figli dei miei figli? Non fa male a nessuno, ma l’idea che possa sopravvivermi è quasi dolorosa, per me.
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Un’altra specie che ha dato origine all’odraxolonk è quella che gli scienziati chiamano Lacrimacorpus dissolvens, ma che è meglio conosciuta come squonk. Vive perlopiù nelle cicutaie della Pennsylvania, è di tinta cupa e in genere viaggia all’ora del crepuscolo. La pelle, che è coperta di verruche e di nèi, non gli calza bene, annota William T. Cox in uno studio del 1910. A giudizio dei competenti, è il più sfortunato di tutti gli animali. Rintracciarlo è facile, perché piange continuamente e lascia una traccia di lacrime. I cacciatori di squonk hanno più fortuna nelle notti di freddo e di luna, quando le lacrime cadono lente e all’animale non piace muoversi; il suo pianto s’ode sotto i rami degli oscuri arbusti di cicuta.
img_7243_1440_850_matthieu_cartonNon so come si siano potuti incrociare uno squonk e un odradek. Ma soprattutto, non so come abbiano potuto mescolarsi con la specie dell’axolotl. Mi permetto di citare da Wikipedia: L’Ambystoma mexicanum (Shaw, 1789), comunemente chiamato axolotl o assolotto, è una salamandra neotenica (compie l’intero ciclo vitale allo stadio di larva) che vive nel lago di Xochimilco, nei pressi di Città del Messico. È considerato una specie probabilmente estinta, per diversi fattori quali la pesca, l’inquinamento e la distruzione dell’habitat. A me è capitato di vederne un esemplare, un paio di anni fa, al Jardin des Plantes di Parigi. Ho poi letto un racconto di Julio Cortazar dedicato proprio a questa bestiola. La storia comincia così: Ci fu un’epoca in cui pensavo molto agli axolotl. Andavo a vederli nell’acquario del Jardin des Plantes, e mi fermavo ore intere a guardarli, osservando la loro immobilità, i loro oscuri movimenti. Ora sono un axolotl.
AxolotlFotoBlogCortazar cominciò a recarsi ogni mattina al Jardin des Plantes, qualche volta anche il pomeriggio. Il guardiano degli acquari sorrideva perplesso nel ritirare il mio biglietto. Io mi appoggiavo alla sbarra di ferro che corre lungo le vasche e stavo là a guardarli. Non c’è nulla di strano in questo, perché fin dal primo momento compresi che eravamo legati, che qualcosa d’infinitamente perduto e distante continuava nonostante tutto a tenerci uniti. Affascinato dal quieto raccoglimento dell’axolotl, l’autore sente nello stesso tempo la loro insondabile lontananza e la loro prossimità. Gli occhi degli axolotl mi parlavano della presenza di una vita diversa, di un’altra maniera di guardare. Con il volto contro il vetro (qualche volta il guardiano tossiva, inquieto) cercavo di vedere meglio i minuti punti aurei, quell’entrata al mondo infinitamente lento e remoto delle creature rosate.
IMG_9348Nascosto tra le impalcature, il piccolo odraxolonk mi guardava con occhi fissi, e nello stesso tempo ruotava leggermente la testa, come in un gesto di domanda o di supplica. Non sapevo bene che cosa fare, così l’ho messo nella mia borsa e l’ho portato a casa.
Un po’, in queste ore, abbiamo imparato a conoscerci. L’odraxolonk ha una pelle ruvida in alcuni punti, morbida in altri. Ha la capacità – ereditata dall’axolotl – di starsene a lungo immobile. Al crepuscolo l’ho sentito piangere: sembrava un lamento che provenisse da epoche smarrite, e che accogliesse in sé il dolore del mondo. Poi invece, dopo cena, l’ho udito che rideva nel sottoscala: era la risata senza polmoni dell’odradek, come un accartocciarsi di foglie autunnali.
Non si può dire che l’odraxolonk sia affettuoso. Però è di sicuro capace di slanci: a volte sente il bisogno di tenerezza, così come lo sentiamo tutti. Altre volte invece fa perdere le sue tracce, oppure si isola dal mondo, immerso in una muta contemplazione. Non ho ancora capito se sappia parlare, se abbia una qualche forma di linguaggio. Quando oscilla la piccola testa triangolare, sembra proprio che sia sul punto di pronunciare una parola. Ma poi abbassa lo sguardo sulle zampette, che sembrano due piccole mani, e si stringe nelle spalle, come a dire: non badare a me, non ti darò fastidio.
IMG_9353Forse si sente solo. Ho notato che apprezza la musica, particolarmente le note lunghe e lente (ho provato a suonare il sax, e mi pareva contento). Tra gli oggetti che ingombrano il mio sottoscala c’è una piccola rana giocattolo, e l’odraxolonk sembra esserle affezionato. Non so se in qualche modo, questo pomeriggio, l’axolotl e la rana siano riusciti a comunicare. Ma a giudicare dalla loro espressione soddisfatta, direi proprio di sì. Devo confessare che, nonostante l’odraxolonk sia un ospite squisito, talvolta sono un po’ preoccupato. C’è tutta una serie di domande alle quali ancora non ho trovato risposta: che cosa mangi l’odraxolonk, quando e quanto dorma, che cosa significhi quel cinguettio che a volte emette dal suo rifugio nel sottoscala. Se qualcuno tra i miei lettori ne sapesse qualcosa, lo invito a mettersi in contatto con me. Ve ne sarò molto grato.

 

PS: Ho registrato il cinguettio. Mi perdonerete se oggi non vi segnalo come di consueto i titoli dei libri che ho consultato. Mi limito a esprimere un invito alla lettura dell’autore argentino Jorge Luis Borges; forse lui, pur senza averlo esplicitamente nominato, potrebbe avere accennato in un suo verso a questa creatura segreta e sfuggente. Ma mi fermo qui. Non vorrei che, mentre me ne sto al computer, l’odraxolonk e la rana combinassero qualche guaio.

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Pik pik

Il biologo David Haskell ha isolato un cerchio di un metro quadrato in una foresta del Tennessee. Poi, per un anno intero, è andato quasi ogni giorno a osservare il luogo prescelto. Nei fatti minuscoli delle rocce, degli alberi, degli animali, Haskell ha scoperto la grandiosità della natura e dei suoi segreti. È possibile fare la stessa cosa con gli esseri umani? Isolare un luogo, un angolo di strada, e vedere giorno dopo giorno crescere il mistero di ciò che siamo?
IMG_9055Per designare il suo pezzo di foresta, Haskell usa il termine sanscrito mandala, che significa nello stesso tempo “cerchio” e “comunità”. Egli spiega come la ricerca dell’universale nell’infinitamente piccolo sia un motivo che ricorre sommessamente nella maggior parte delle culture, e cita la poesia Presagi d’innocenza di Blake: Vedere il mondo in un grano di sabbia / e il cielo in un fiore selvatico. Accenna anche ai mistici, ai contemplativi: Per San Giovanni della Croce, san Francesco d’Assisi o Giuliana di Norwich, una prigione sotterranea, una spelonca o una piccola nocciola potevano essere la lente attraverso cui conoscere la realtà fondamentale delle cose. Haskell si pone di fronte a questa sfida come biologo: È possibile vedere l’intera foresta attraverso una piccola finestra contemplativa di foglie, rocce e acqua?
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Più volte la settimana Haskell torna al suo mandala. Si siede su un lastrone di arenaria e guarda, senza nemmeno entrare nel cerchio. Si è ripromesso di non intervenire, di non toccare niente. La struttura del libro segue la cronologia dei suoi appunti, dal primo gennaio fino al 31 dicembre. Ho deciso di leggerlo anch’io un po’ alla volta: ogni settimana mi ritaglierò qualche minuto per inoltrarmi nelle foreste del Tennessee. Per cominciare abbiamo osservato rocce, licheni, formiche, vermi, aceri, felci e, con la prima gelata, fiocchi di neve. Questi ultimi sono come stelle trasparenti. Haskell rammenta la domanda di Keplero, il quale nel 1611 scrisse: Deve esserci una causa precisa per cui, ogniqualvolta comincia a nevicare, si forma sempre una stellina con sei angoli. Keplero non lo sapeva, commenta Haskell, ma la forma dei cristalli di ghiaccio esagonali dà un’idea precisa di ciò che dovrebbe essere invisibile, ossia la geometria degli atomi.
snowflakeIn gennaio Haskell compie un esperimento: si spoglia nudo per provare il freddo così come lo vivono gli animali della foresta, senza abiti. A venti gradi sottozero, gli bastano dieci secondi per capire che le piccole cince della Carolina, che saltellano sui rami lì intorno, sono più attrezzate di lui per combattere il gelo. Le cince cantano e fischiano, il picchio emette il suo classico pik pik dai toni acuti, mentre Haskell si affretta a rivestirsi prima di finire assiderato.
In generale, il biologo è stupito dalla complessità di relazioni in un metro quadrato di foresta. Tutto è regolato con precisione: i progenitori del picchio avevano emesso quel suono per milioni di anni prima che esistesse l’uomo e Haskell deve ammettere: Più rimango a osservare il mandala, più sento allontanare ogni speranza di poterlo veramente comprendere e di coglierne la natura più essenziale. Mentre mette in pratica le sue competenze, impara qualcosa su di sé: Osservare noi stessi e osservare il mondo non sono attività in contraddizione; osservando la foresta, ho imparato a conoscere meglio me stesso.
IMG_9064Mi domando se possa anch’io trovare una sorta di mandala. Non sono un biologo e non riuscirei a interpretare i fenomeni naturali. Ma come romanziere, in qualche modo, sono abituato a osservare le persone, ad ascoltarle. Per non andare lontano, scelgo un luogo nella mia città. È una piccola piazza, appena uno slargo circolare nella zona sud di Bellinzona (tra via Raggi e via Borromini, dietro la fermata del bus Semine). Ne avevo già parlato in un articolo su “Doppiozero” e nella guida letteraria Gli immediati dintorni (Casagrande 2015). Vicina a uno sportello della Posta, non lontana da una Coop e da un Mc Donald’s, la piazzetta-mandala è un crocevia. Nella bella stagione sembra perfino più animata del centro storico: intorno alla fontana, sulle panchine di legno scrostate, ci sono persone di varia età e provenienza, cani e bambini, adolescenti, anziani, disoccupati.
IMG_9063Mi siedo su una panchina, con il freddo che punge le mani e che s’infila sotto la giacca. Non saranno i venti gradi sottozero di Haskell, ma la piazza è vuota. Apro un libro, per mantenere un contegno (Ti trovo un po’ pallida, di Carlo Fruttero). Un bambino con i roller gira intorno alla fontana, con le gambe malcerte, poi se ne va. Passano uomini anziani con il basco e il sacchetto della spesa. Alle mie spalle, la via è trafficata. Due donne si parlano gridando dai lati opposti della strada, finché la più giovane si arrischia ad attraversare e raggiunge l’altra. Una vecchia signora, lentamente, spinge un trolley.
IMG_9065Trascorrono dieci minuti: nessuno si ferma. Comincio a sentire freddo; provo a leggere il libro tenendo le mani in tasca, ma è un’operazione complessa. Nel frattempo, in un parcheggio sulla destra, arriva una piccola Mercedes nera. Ne scendono due donne di mezza età, basse, infagottate in ampi strati di pelliccia. Si avvicinano. Poi una delle due mi chiede gentilmente se, a mio parere, la Bibbia sia un libro ormai superato o se contenga dei consigli pratici di vita quotidiana. Mentre cerco di abbozzare una risposta, l’altra signora mi rifila un volantino dei testimoni di Geova e attira la mia attenzione sulla testimonianza di un ragazzo poco più che ventenne, tale Ezekiel, il quale ha dichiarato: Quando ho visto che era un librone, mi è passata la voglia di leggere la Bibbia. La signora scuote il capo. Un librone?, mormoro io. Ma la prima signora sta già citando una frase dal Nuovo Testamento. La seconda resta in silenzio. IMG_9066Infine mi salutano con gentilezza e tornano alla Mercedes. Allora riprendo a leggere Ti trovo un po’ pallida, che è un libro molto sottile. Il cielo è sempre più bianco e basso. C’è un’attesa di neve nell’aria. Sopra le case sta passando un corvo.
Fra qualche settimana, tornerò a osservare l’evoluzione della piazzetta-mandala. Com’è accaduto a Haskell, mi sembra di non essere riuscito a cogliere un granché. Camminando ripenso al corvo, così nero sullo sfondo bianco, e mi viene in mente un brevissimo poema del maestro giapponese Sengai (1750-1837): Difficile distinguere un airone bianco sulla neve; ma come spiccano i corvi.
IMG_9058Nell’autografo l’ideogramma sembra la traccia di un animale su un campo innevato, e il disegno dei corvi continua con naturalezza ciò che le parole non arrivano a dire. È giusto, forse, che pure osservando da vicino un frammento di realtà non si riesca a esaurirne il senso. Non solo perché il mondo è misterioso, ma anche perché la scrittura è sempre un tentativo. In un punto del suo diario, Cesare Pavese annota: Nell’inquietudine e nello sforzo di scrivere, ciò che sostiene è la certezza che nella pagina resta qualcosa di non detto. Vi lascio quindi al non detto, che forse appare anche sulla neve di questa pagina: invisibile come un airone, nitido come un corvo.

PS: Il libro di Haskell è stato pubblicato in italiano da Einaudi nel 2014 con il titolo La foresta nascosta. Un anno passato a osservare la natura (l’originale inglese, The Forest Unseen. A Year’s Watch in Nature, è del 2012). I poemi del maestro Sengai si trovano in Poesie e disegni a china, a cura di Daisetz T. Suzuki, scritto nel 1971 e pubblicato in italiano da Guanda nel 1988 e poi nel 2012. L’annotazione di Pavese è tratta dal Mestiere di vivere (Einaudi) e risale al 4 maggio 1942. Ti trovo un po’ pallida, scritto da Fruttero nel 1979, è stato ripubblicato da Mondadori nel 2007.

PPS: La foto con le felci è la copertina del libro di Haskell. Quella del fiocco di neve è del fotografo statunitense Wilson Bentley (1865-1931). Autore del libro Snow Christals, fu tra i primi a catturare l’immagine di un fiocco di neve.

PPPS: Proprio ora, mentre sto per pubblicare questo articolo, qui a Bellinzona sta cominciando a nevicare. Un’altra pagina bianca da riempire.

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