Perché i bambini piangono?

Ha senso interrogarsi sui neonati, fantasticando sui loro pensieri, quando là fuori ci sono tanti argomenti robusti e urgenti che dovrebbero attrarre l’attenzione di uno scrittore? Il mondo che va a rotoli, le guerre, le ingiustizie sociali, le persecuzioni, il riscaldamento climatico, i social network che ci stanno distruggendo, eccetera. Be’, credo che se vogliamo tentare una rinascita occorra chiedere agli specialisti, a chi è fresco di esperienza. Come scrisse il poeta Mario Luzi: «Così scendono e salgono verso l’avvenire / così avviene / l’avvenire nella loro lattea mente».

Quando tengo fra le braccia un neonato, non posso fare a meno di chiedermi tre cose.
1) Com’è arrivato qui?
2) Che cosa resterà nella sua memoria?
3) Che cosa conosce questo lattante che io non conosco?
Ho provato a intervistare una bambina nata meno di un mese fa. Lei è stata gentile, disponibile, ma le sue risposte sono difficili da interpretare.
RISPOSTA 1:

RISPOSTA 2:

RISPOSTA 3:

In attesa di riprovarci, preciso che la mia curiosità non mira a spiegazioni scientifiche; perciò ho chiesto a una bambina e non a un biologo. Prendiamo la prima domanda: mi hanno detto che il feto avverte la diminuzione del glucosio nella placenta e si formano degli ormoni e insomma per farla breve il bimbo si gira e poi cominciano le contrazioni eccetera. Ma a parte questo, immagino che il nascituro abbia un rudimentale piano d’azione, che so, forse nel cervello gli appare un’immagine, un sogno, una frase musicale, qualcosa in più che una reazione fisiologica di stress. A un certo punto il concetto di “nascita”, espresso senza parole e con sfumature indicibili, deve per forza attraversargli la mente.
Ve lo confesso: mi piacerebbe nascere di nuovo. Come avvenne la prima volta? Posso solo intuire quel momento di strazio e curiosità, quella percezione oscura che il grembo materno non basta più. Il feto ha i polmoni pronti per l’uso, anche se per nove mesi ha ricevuto l’ossigeno attraverso il cordone ombelicale. Ma il momento della partenza, la fatica di quel supremo passaggio – il primo respiro! – la vastità del mondo dispiegata come un castello di nuvole che senza fine mutano forma… ecco, mi piacerebbe ritrovare tutto questo.
A volte mi dico che è possibile. In fondo, tutto ciò con cui entro in contatto è più vasto di me: anche le cose che credo di avere capito, soprattutto quelle, aprono di continuo altre domande e sentieri da percorrere. Si può nascere di nuovo? Prima di tutto bisognerebbe essere capaci di desiderarla, una nuova nascita. Purtroppo con il tempo il desiderio tende ad appannarsi, almeno in questa epoca e in questa zona del mondo. È un paradosso: per rinascere serve un desiderio forte, ma per svegliare i desideri è necessario rinascere.

Mi sforzo di ricordare qualcosa delle mie prime settimane di vita. Sarà senz’altro un’illusione, però a volte affiora un’atmosfera che mi sembra antica: quando siedo da solo di notte in una stanza in penombra, oppure quando sento intensamente caldo o freddo, magari quando ho la febbre. A stupirmi è la sensazione di fragilità, di estrema inermità. Nessuno slancio, nessuna convinzione può resistere alla scoperta che sono preda della vita, questa vita-balena che m’inghiotte e mi tiene all’oscuro ogni volta che smetto di stare in guardia. Per uscire dalle balene bisogna avere pazienza. La reazione dei neonati è abbandonarsi alla madre, all’unica creatura che conoscono bene. Credo che anche ai neonati cresciuti e ingrigiti possa restare una certa capacità di avere fiducia. Da qualche parte nell’inconscio conserviamo almeno un brandello di ricordo: eravamo fiduciosi, lo siamo stati con tutti noi stessi. La balena non può avere l’ultima parola.
Provo a intervistare ancora la mia lattante di riferimento. Dalla sua risposta mi convinco che in effetti sappia molte cose più di me. Inoltre ho la sensazione che non ami essere intervistata (tanto giovane e già sottoposta alla tortura del giornalismo).
RISPOSTA 4:

Mi basta scrutare la bambina negli occhi, nell’intensita della pupilla che vede tutto senza guardare niente. La neonata ha percorso il più lungo, il più intenso dei viaggi che mai esploratore abbia osato, più che le spedizioni in terre selvagge, più che un giro del mondo, più che uno sbarco sulla luna o su Marte. Il suo cervello è ancora rudimentale? Sarà, ma sono convinto che ne sappia più di me su molti aspetti decisivi della vita.
Del resto, il pianto è una forma di conoscenza. Credo che i neonati piangano più o meno per le stesse ragioni che causano i nostri singhiozzi, compresi quelli che spesso mi strozzano la gola e non riescono a manifestarsi. Se i lattanti potessero leggere l’Eneide di Virgilio, forse sarebbero capaci di spiegarci il misterioso verso 461 del primo libro: «Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt», sono le lacrime delle cose e toccano la mente dei mortali. Quando a scuola studiavo questo verso, traducevo con una certa libertà: ci sono lacrime nelle cose. E pensavo proprio alla materia, agli oggetti, al mare, agli alberi, alle montagne, al mondo e a tutti i suoi abitanti, e mi figuravo che da ogni parte trasudassero delle lacrime. È un fenomeno invisibile, a volte anche impercettibile, ma la sostanza stessa della realtà è rivestita di lacrime. Ogni cosa al mondo continuamente piange.
Anche nei nuovi nati è presente qualcosa di nefasto, d’inevitabile. Non è vero che sono innocenti: vivono qui, fra di noi, e in loro cova il nostro stesso male. È una ferita che abbiamo tutti. A che cosa serve allora piangere? Forse è semplicemente un modo per imparare. Ogni vera educazione è prima di tutto un’educazione alla capacità di compatire, di riconoscere come nostro il dolore degli altri. Noi non siamo come vorremmo essere, o forse non vogliamo più niente. Le altre persone non sono come vorremmo che fossero. La natura stessa è intrisa di dolore, di sofferenza. Il pianto è una domanda, per alcuni una preghiera.
Perché piangono i bambini? Perché piangiamo noi? Per una delusione d’amore, perché dobbiamo morire, perché abbiamo fatto la cacca, perché ci sentiamo soli, perché abbiamo causato dolore agli altri, perché abbiamo fame e sete, perché ci fa male la pancia. Comunque sia, il nostro pianto significa che siamo al mondo. Infatti quel vagito iniziale serve pure a dilatare gli alveoli polmonari. Ecco di nuovo il primo respiro, il primo anelito dei nuovi nati che accolgono il mondo. È un’operazione difficile. Io cerco di metterci il massimo impegno, ma dopo tanti anni mi sembra di non avere ancora imparato a respirare.

PS: I versi citati nel preambolo in corsivo provengono dalla poesia C’è – lo sentono, lo sanno, contenuta nella raccolta Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (Garzanti, Milano 1994). Luzi è tornato più volte sul tema dei neonati, fino alla poesia Dorme, nuovo nato al mondo nell’ultima raccolta pubblicata a novant’anni (Dottrina dell’estremo principiante, Garzanti, Milano 2004). Anche la metafora della primavera, tanto spesso ribadita nei suoi versi con attenzione particolare ai primi, impercettibili segnali di risveglio nella natura, si può interpretare come una tensione verso una rinascita: «E con questo tutto il non ancora / il prima della primavera, quella / luce piovigginosa, quella grigia / fabbriceria di gemme nell’aria acquosa» (versi tratti da Non tra i bambini – con loro in Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, Milano 1985).

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9 pensieri su “Perché i bambini piangono?

  1. Bellissimo articolo! L’ho stampato per leggerlo e rileggerlo con calma. Per me il mondo sarebbe migliore se chi scrive andasse a fondo della propria interiorità, con sensibilità e insieme leggerezza, senza cedere al desiderio di fare a ogni costo l’“opinionista”. Altrimenti, a cosa servirebbe la letteratura?

  2. Grazie Andrea, un post che mi commuove e mi fa pensare!! 😍 Che ridere, mi immagino te che provi a intervistare una neonata, magari sotto gli occhi preoccupati dei suoi genitori! 🤪😂

  3. Bella la sua riflessione, il mistero della nascita, il mistero della morte cosa ne sappiamo? Io parlo ai neonati, parlo come ad un grande e loro mi ascoltano, è molto bello.

    1. Grazie, Renata. In effetti, i neonati sono specialisti nell’ascoltare (fra un pianto e l’altro). Anche su questo avremmo da imparare. Pensi a quante parole abbiamo ascoltato all’inizio della nostra vita, prima di arrivare a pronunciarne una…

  4. Siamo fatti soprattutto di acqua e dunque, pensavo, ci è più consono il pianto del riso come prodotto dei nostri corpi. Si piange per un dolore, ma anche per una grande gioia. Si piange e piangendo si rinasce. Dovremmo imparare a farlo, Andrea. Ti auguro di riuscirci attraverso la tua creatura e grazie per queste belle pagine appassionate e dense.

    1. Grazie mille, Francesca, per le tue parole e per il tuo augurio. Hai ragione: si piange anche per la gioia (o dal ridere). Non ci avevo pensato: questo significa che il valore educativo delle lacrime è davvero a vasto raggio.

      1. Sì, Andrea, un raggio molto vasto. E poi, leggendo Ben Pastor, ho trovato anche questo: le cose ineffabili che l’uomo brama solo dopo essere nato…il crepuscolo protetto del non essere. Per me un concetto non chiarissimo, ma forse ottima materia per ulteriori congetture. Un abbraccio!

  5. Un interrogativo esistenziale molto profondo che per quanto unici ci rende abbastanza simili, effettivamente si entra alla vita proprio con l’identica comunicazione: il pianto.

    Quanto di noi ci perdiamo estraniandoci verso tutto ciò che accade esternamente? Vero, tra crisi economiche, politiche e fatti terribili di cronaca, abbiamo smesso di conoscerci attraverso interrogativi che sondano sulla nostra origine, ed è un vero peccato.

    Ho sorriso ascoltando gli audio:)… come se tu mi avessi ricondotta in un ambiente molto familiare, quasi una scossa alla memoria e al tempo in cui anche io comunicavo allo stesso modo con codici traducibili verso quella fascia di età bambina, cosa he mi appartiene ma di cui non ho più l’accesso magari dovuto ad un processo d’invecchiamento naturale della mia memoria. Rimane davvero molto affascinante questo specchiarmici dentro…

    Ho avuto la fortuna di ascoltare più pianti assieme di bambini, quasi come ad udirne il trasporto che da uno solo si aprisse una forma di “orchestra” dove tutti partecipavano comunicando e rafforzando il loro strumento esattamente attraverso il pianto!

    È sempre una gioia immensa ripassare da te Andrea, con tutti i dovuti e sentiti momenti di silenzio miei, dove ripasso, ti leggo senza aggiungere nulla… tuoi dove raccogli energia che sento esploderà attraverso un altra via comunicativa: la scrittura.

    Sarebbe meraviglioso avere docenti per i giovani così smarriti, che abbiano questa tua splendida qualità, per avvicinarli con sensibilità alla letteratura e soprattutto alla vera natura, alla sua essenza! Grazie…

    Saluti.

    L.

    1. Grazie mille, Linda, per essere ripassata da qui e per avere aggiunto qualcosa al mio testo. È molto forte l’immagine dell’orchestra di bambini piangenti; a volte mi chiedo se noi, dopotutto, siamo tanto diversi… Credo inoltre che quella che tu chiami “scossa alla memoria” non sia soltanto un lavoro dell’immaginazione. È vero, non possiamo ricordare i nostri pianti neonatali. Ma questo non impedisce che essi sopravvivano dentro di noi.

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