Santa Fe

 “Viaggi immaginari” è una serie di reportage da luoghi che non ho mai visto, scelti a caso sulla mappa del mondo. A farmi da guida l’antico gioco Hanafuda, che scandisce le stagioni dell’anno. Ogni mese le carte mi accompagnano nella scrittura di un racconto di viaggio e di un haiku.

Settembre
Hanafuda: Crisantemo / Coppa di saké
Luogo: Santa Fe, Nuovo Messico, Stati Uniti d’America
Coordinate: 35°41’46.2″N; 106°10’21.7″W
(Latitudine 35.69616; longitudine -106.17269)
Esco a fare una passeggiata. Sul fianco di una collina mi soffermo a guardare la città dall’alto. È tardi, fra un’ora sarà buio. Riprendo a camminare, seguo un tornante e di nuovo mi giro a contemplare la città. Stavolta però mi trovo davanti il verde smagliante di una siepe. Mi viene in mente che, oltre quella siepe, si distendono le strade, le piazze, i quartieri residenziali, il fiume… ma che importa? Sono nella classica situazione leopardiana. Nel pensiero posso fingere interminati spazi e infiniti silenzi di là dalla siepe, posso giungere fin dove mi porta il desiderio. Mi accorgo però di avere trascurato un dettaglio. Di là dalla siepe c’è una terrazza. E sulla terrazza, approfittando dell’ultimo sole, un uomo e una donna stanno chiacchierando. Devono essere davanti alla porta della cucina, perché sullo sfondo sento una voce infantile che ripassa le moltiplicazioni.
– Cinque per uno cinque, cinque per due dieci, cinque per tre quindici…
La voce dell’uomo è più grave. – Lo so che fanno tutti così. Ma a me piace spendere i soldi che ho. Cioè, se voglio una macchina la compro.
– Ma se non puoi comprarla? – interviene la donna.
– Allora ne compro un’altra. Ma sarà la mia macchina.
– Anche se la prendi in leasing è tua. È la stessa cosa.
L’uomo fa un sospiro. – Io spendo solo i soldi che ho.
– Sette per tre ventuno – dice intanto il bambino (o la bambina). – Sette per quattro ventotto, sette per cinque trenta, no, trentacinque, sette per sei quarantadue, sette per sette quarantanove…
Mi allontano. Non ho visto niente, non ho immaginato niente. Ma forse ascoltare è ancora meglio. Ascoltare e capire quando è il momento buono per scrivere. Un tempo, in Giappone, durante le feste di settembre era usanza riunirsi in riva ai ruscelli e ai canali per comporre versi sullo splendore dei crisantemi. Per gioco si facevano galleggiare le coppe di saké sull’acqua corrente e tutti cercavano di scrivere un poema prima che la coppa arrivasse davanti a loro. Anch’io voglio scrivere in questo modo. Non bevendo saké (o non sempre), ma tentando di raccontare una cosa solo al momento giusto, quando mi sembra necessario condividerla.
Confesso che non mi sento del tutto pronto a parlarvi del mio viaggio nel Santa Fe National Park. Ancora non ho capito bene che cosa mi sia accaduto. Però sento che qualcosa devo dire prima che finisca settembre.
Era una giornata di sole. Non faceva troppo caldo, ma tutto era secco, e il vento sollevava sbuffi di polvere. Faticavo a orientarmi, perché il paesaggio era uniforme: rocce, piccoli arbusti che sembravano pini, qualche picco in lontananza. Forse quello a nordovest era il Cerro Micho. Speravo che potesse fungere da punto di riferimento: secondo i miei calcoli dovevo essere a una decina di chilometri dal Rio Grande, dove avrei trovato l’acqua.
Dopo un paio d’ore di cammino mi sentivo in un mio personale film western. Non ero più un Andrea qualunque, ma un personaggio: il bandito a cui hanno rubato cavallo e borraccia. L’uomo solo che deve passare dalle zone più impervie, covando la nostalgia di una voce amica, di un whisky, di un profumo femminile. Il desperado braccato dai cacciatori di taglie. In fondo il suo desiderio è fuggire in un luogo lontano e mettere su un ranch, ma sa che non sarà facile. No, non sarà per niente facile.
Il bandido, roso dalla sete, punta verso il Rio Grande. Potrebbe cambiare direzione e tornare verso Agua Fria, dove forse troverebbe un riparo per la notte. Ma è troppo rischioso. Non devo farmi prendere. Non mi resta altro che la mia libertà. È una vita sporca, misera, solitaria. Ma è la mia vita. Non me la lascerò strappare via dal primo sceriffo in cerca di gloria.
A pochi passi dal Rio Grande una voce mi coglie di sorpresa.
– Ehi, gringo, stai cercando qualcuno?
Mi volto, lentamente. Sono pronto a combattere.
Ecco. Questo è il mio delirante viaggio di settembre. È tutto vero? È tutto falso? This is the West, sir. When the legend becomes fact, print the legend. Nel west, se la leggenda incontra la storia, vince sempre la leggenda.

HAIKU

Viene la notte –
In fondo all’orto ridono
i fiori d’oro.

 

PS: Questo è il nono  “viaggio immaginario”. Ecco le puntate di gennaiofebbraiomarzo, aprilemaggiogiugnoluglio e agosto.

PPS: La frase «This is the West, sir. When the legend becomes fact, print the legend» proviene dal film The man who shot Liberty Valance, girato da John Ford nel 1962. È un giornalista a pronunciarla, per sottolineare come sui giornali trovi posto il mito del Far West anche quando esso non corrisponde ai fatti. Nella prima parte dell’articolo, cito qualche parola della poesia L’infinito, scritta nel 1819 da Giacomo Leopardi.

PPPS: Colpiti da questa serie di viaggi immaginari, alcuni lettori del blog di viaggi Rolling Pandas hanno voluto approfondire la conoscenza con me. L’intervista si trova qui. Ringrazio Alice e tutti i responsabili del sito Rolling Pandas, che offre la possibilità di organizzare viaggi in tutto il mondo.

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6 pensieri su “Santa Fe

  1. Bellissime queste narrazioni travolgenti: si cominci con uno spaccato domestico, quasi un frammento di racconto alla Alice Munro, poi un’atmosfera Giapponese è una bella riflessione sullo scrivere…. e poi alla fine colpo di scena, il Far West! Che cosa accomuna i tre temi? Secondo me la figura dell’uomo solo, che vuole ascoltare, capire, scrivere, sopravvivere.

    1. Perché no? Sarebbero viaggi rischiosi, da un certo punto di vista, ma d’altra parte senza «le coincidenze, le prenotazioni, / le trappole, gli scorni di chi crede / che la realtà sia quella che si vede» (Eugenio Montale).

  2. Santa Fé. Non so se ci sei stato davvero oppure no Andrea, ma io si, tanti anni fa e me n’è rimasto un ricordo che ora sembra un sogno. Polvere gialla, il moderno che si mischia all’adobe di alcuni palazzi, gli indigeni che rifiutano le foto: temono tu voglia rubargli l’anima. Ed è buffo che tu citi quella frase sulla leggenda (L’uomo che uccise Liberty Valance). Tra non molto capirai perché…. Grazie sempre e comunque. Leggerti è un vero piacere.

  3. Bel racconto, complimenti! Dalla vita quotidiana al western, con grande naturalezza e profondità. Bella anche l’intervista sul sito di viaggio (bello anche il loro blog). Saluti!

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