Stavo viaggiando in treno. Un uomo sulla trentina si è rivolto a me, dicendomi di avere letto un paio di miei romanzi. In particolare gli è piaciuto quello più recente (Gli Svizzeri muoiono felici); in più segue la serie “Il commissario e la badante”, i cui racconti escono ogni settimana sulla rivista svizzera “Cooperazione”. Dopo i complimenti, l’uomo ha detto che doveva farmi un rimprovero.
«Secondo me lei parla troppo degli islamici.»
Ho chiesto spiegazioni.
«Nel romanzo c’è quel Tuareg, quello che viene dal deserto, e nei racconti c’è la badante tunisina. Va bene l’aspetto esotico, ma secondo me oggi è pericoloso parlare troppo degli islamici in questo modo.» Ha aggiunto che l’Islam è un pericolo per l’Europa, essendo incompatibile con la democrazia e con la vita moderna. Perciò i musulmani cercano di portare la šariʾah in Occidente.
Gli ho spiegato che Moussa ag Ibrahim, il Tuareg del romanzo, è assai diverso da Zaynab Hussain, la badante dei racconti. Fra le due figure non ci sono legami, non sono parte di un mio piano narrativo consapevole. Lungi da me l’idea di scrivere libri a tema sull’Islam o su qualunque altra cosa. È vero comunque che i due personaggi sono musulmani; e in quanto tali, riflettono forse una mia esigenza d’interrogarmi su questa cultura. Così come m’interrogo su altre cose, su questioni e dinamiche umane differenti, che senza dubbio affioreranno nelle mie prossime opere.
L’Islam rappresenta l’alterità con cui cui oggi in Europa ci confrontiamo; il diverso e lo sconosciuto che ci mette alla prova. Che ci spaventa e ci rende fragili, quando entra di forza e con prepotenza nella nostra quotidianità e nel nostro modo di ragionare, viaggiare, passeggiare, bere il caffè, parlare con gli amici. Come può non interessarmi? La letteratura serve anche, o soprattutto, a questo: a permetterci di vedere il mondo con altri occhi.
«Ma gli integralisti islamici sono i nuovi nazisti» ha replicato il mio lettore. «Non si può ingannare la gente!»
Questo lettore non è stato il primo a farmi discorsi del genere: qualcuno mi ha scritto, qualcuno è intervenuto alle presentazioni dei miei libri. Ho imparato a mie spese che la disputa teorica spesso non porta a niente. Allora gli ho raccontato della mia amicizia con Ibrahim Kane Annour, un Tuareg che mi è stato d’aiuto nella stesura del romanzo. Gli ho spiegato che lui e la sua famiglia sono musulmani, e che nel loro modo di vivere non ho visto niente di fanatico. Anzi, la loro accoglienza, la loro gentilezza sono in qualche modo favorite dalla loro fede. A casa loro non mi sono sentito straniero. Lo stesso Ibrahim, ospite poche settimane fa del festival Longlake a Lugano, ha precisato che la religione per lui non è una chiusura, bensì l’opposto. «Tutte le religioni sono buone» ha dichiarato. «Altrimenti non sono vere religioni, sono qualcosa d’altro.» Ho sentito con le mie orecchie altri musulmani esprimere la stessa opinione.
Non voglio parlare male del mio anonimo lettore (tanto più che di questi tempi i lettori sono assai rari…). Ma niente di quanto ho detto lo ha smosso di una virgola. Mi sono reso conto che per lui una tradizione religiosa vecchia di quattordici secoli, con oltre un miliardo e mezzo di seguaci, diffusa in tutto il mondo, è intrinsecamente malvagia e sbagliata. Ho provato a dirgli che, certo, l’Islam sta affrontando un momento difficile della sua storia. Ma gli sembrava davvero plausibile la chiusura totale, lo sbarramento e, perfino, la repressione? A che cosa porterebbe? Non sarebbe meglio cercare di studiare, di capire, di trovare un punto d’incontro? Subito lui, specificando di non essere credente, mi ha fatto notare che i valori cristiani occidentali sono in contrasto con quelli islamici. Perché noi dovremmo accoglierli a casa nostra quando loro ci perseguitano a casa loro?
Prima che il treno si fermasse alla mia stazione, il mio interlocutore stava già parlando di non so quali versetti del Corano che inneggiano all’odio. Inoltre aveva letto anche un articolo di non so quale autorevole studioso che sosteneva, da musulmano, che l’Islam fosse una religione violenta. Infine è sceso dal treno, un po’ imbarazzato, mormorando che comunque il mio libro gli era piaciuto.
Avrei potuto citargli versetti del Corano che esprimono l’opposto. Ma a che cosa sarebbe servito? Chiunque può far dire a un testo quello che vuole, con qualche citazione fuori contesto. Anche la pretesa di sapere che cosa sia l’Islam, tutto intero, mi pare semplicistica. Esistono correnti, divisioni, diverse maniere d’interpretare la religione. Non si può fare di ogni erba un fascio. E il Corano, come ogni testo sacro, non può venire usato a casaccio, senza una lettura approfondita.
Mi sembra sbagliato pensare che solo gli islamici non praticanti siano quelli buoni. In tutto il mondo (l’80% dei musulmani non parla arabo) ci sono semplici fedeli, ma anche autorità religiose e civili, che vivono pienamente la loro religione e si oppongono a chi ne distorce gli insegnamenti, falsificandone i valori fondanti. Fra i vari volumi, cito almeno la Guida all’Islam per persone pensanti (EDB 2019). L’autore, Ghazi bin Muhammad, di solida formazione accademica a livello internazionale, è membro della casa reale di Giordania e promotore di numerose iniziative volte a favorire una maggiore conscenza dell’islam e un maggior dialogo interculturale. A proposito della temuta šariʾah, per esempio, l’autore ricorda come non sia una legge immutabile che ordina lapidazioni ed efferatezze, bensì un codice morale prima di essere legale, che non dovrebbe prevalicare le leggi dello stato e che di certo è «una strada verso la vita, non una strada verso il terrore e la distruzione.» Nel libro c’è anche una documentata appendice sull’Isis.
Oggi molti hanno paura. Anch’io resto sgomento di fronte al fanatismo che colpisce ciecamente, diffondendo odio e insicurezza in tutto il mondo: sia in Occidente, sia nei paesi musulmani. L’Islam sta sicuramente vivendo un periodo di crisi, di contrasto interno; nelle regioni islamiche i diritti umani non sono certo acquisiti. Ma ogni religione, anche quella cristiana, ha conosciuto nella sua storia la violenza, la brutalità. In generale, mi sembra una follia rifiutare in blocco le religioni, con le loro funzioni esistenziali e sociali. Anzi, forse è proprio attingendo alle risorse migliori dell’Islam che sarà possibile combattere il terrorismo.
L’Islam fa paura anche per l’immigrazione. Con l’arrivo di parecchi musulmani, qualcuno teme di perdere la propria “identità”. Si parla un’identità compatta, univoca, che dia forza e coraggio, ma tale concetto di identità non è mai esistito, né mai esisterà. «Ciascuno di noi – scrive Amin Maalouf – dovrebbe essere incoraggiato ad assumere la propria diversità, a concepire la propria identità come la somma delle sue diverse appartenenze, invece di confonderla con una sola, eretta ad appartenenza suprema e a strumento di esclusione, talvolta a strumento di guerra.»
Ecco, per me, come lettore e scrittore, l’appartenenza non è legata soltanto alle circostanze della mia nascita, al mio passaporto, alle mie idee o alla mia lingua. Apparteniamo a tutto ciò che abbiamo amato, che abbiamo conosciuto: la nostra identità non può essere che multipla. Un valore fondamentale, in ogni cultura, è il concetto di ospitalità (in senso concreto e anche intellettuale).
«“A due passi da me, ci sei tu. A due passi da te, c’è lui. A due passi da lui, c’eravamo noi”, diceva un saggio.» Questi versi di Edmond Jabès mi sembrano significativi. Il poeta poi aggiunge: «Il criterio è l’ospitalità». Ospitalità significa non chiudersi di fronte a nulla, non rifiutare nessuno. Ricordarsi che, nella nostra solitudine, siamo tutti vicini gli uni agli altri.
Sulla questione dell’Islam, vorrei riportare qui le parole conclusive della tesi di laurea di Paolo Dall’Oglio, un teologo e sacerdote gesuita che molto si è impegnato per il dialogo e per la pace. (Alla stessa tesi, fra l’altro, ho rubato anche il titolo di questo articolo.) Le parole risalgono al 1991, ma credo che siano sempre attuali.
«La testimonianza sincera dei musulmani ci tocca, ci coinvolge, ci edifica. Le grandi sofferenze del mondo musulmano non sono motivo di giudizio ma di solidarietà. Certo pensiamo che lo scadimento della fede in ideologia sia causa di molti mali che affliggono tutti noi… Ma non perdiamo la “speranza nell’Islâm”.»
PS: Ho citato i seguenti volumi: Ghazi bin Muhammad, Guida all’Islam per persone pensanti. L’essenza dell’Islam in 12 versetti del Corano, traduzione a cura della Fondazione di scienze religiose Giovanni XXIII, EDB 2019; Amin Maalouf, L’identità, traduzione di Fabrizio Ascari, Bompiani 2005 (Les identités meurtières, Grasset 1998); Edmond Jabès, Il libro dell’ospitalità, traduzione di Antonio Prete, Raffaello Cortina 1991; 2017 (Le Livre de l’Hospitalité, Gallimard 1991); Paolo Dall’Oglio, Speranza nell’Islâm. Interpretazione della prospettiva escatologica di Corano XVIII, Marietti 1991.
PPS: Le prime due fotografie provengono dal libro di Ghazi bin Muhammad; la terza ritrae me e Ibrahim Kane Annour durante la sua conferenza a Longlake; le altre sono immagini generiche prese da internet.
PPPS: Ibrahim Kane Annour ha scritto con Elisa Cozzarini il libro Il deserto negli occhi (nuovadimensione 2013), in cui racconta la sua vita e il suo viaggio dal Sahara all’Europa.
PPPPS: Sono consapevole che questo articolo non approfondisce la questione. Non ho affrontato le questioni economiche, gli effetti del colonialismo, l’impatto della modernità; non sono entrato nel dettaglio sulle varie scuole di pensiero islamiche; non ho accennato al sufismo, per esempio, né ho esaminato le ragioni geopolitiche del terrorismo. Del resto, non sono né uno storico né uno studioso, ma solo uno scrittore. La mia riflessione sulla realtà si compie soprattutto nelle mie opere narrative; qui sul blog invece aggiungo qualche spiegazione sui temi di fondo.
Complimenti per la delicatezza con la quale hai affrontato uno dei temi attuali più ostici e sui quali è davvero difficile ragionare senza finire in qualche vicolo cieco dialettico.
Grazie, Rossana. Hai ragione: ragionare è sempre difficile. L’uso della ragione sembra meno efficace dell’urlo, della reazione emotiva (almeno in termini di apprezzamento “sociale”). Ma resta l’unica via per costruire qualcosa.
Bella riflessione. A me sembra un ragionamento profondo, anche se in fondo semplice: è sempre una buona strategia quella del dialogo. Bello vedere uno scrittore che cerca di approfondire il risvolto sociale delle sue opere.
Questo post è una vergogna! Siamo sottoposti a un’invasione culturale da parte di fanatici, e che cosa scrive il nostro scrittore socialista e naturalmente “impegnato”: che dobbiamo essere ospitali! Ma che senso ha? Con tutto il rispetto per i musulmani, che qui da noi sono anche brave persone, ma secondo me negli Stati europei l’Islam come religione andrebbe messa fuorilegge.
È troppo facile citare solo gli autori che piacciono a lei, sbandierando la sua cultura. Lei dice che ci sono autorità musulmane che hanno preso posizione contro l’integralismo. Ma che mi dice dell’Università di al-azhar, la più prestigiosa del mondo islamico. Com’è che i suoi membri non si sono mai pronunciati congiuntamente alle autorità religiose e civili occidentali? Com’è che non hanno mai parlato di diritti umani, per esempio dei diritti delle donne?
Gentile Lorenzo,
visto che lei cita l’Università di Al-Azhar, ecco quanto scrive il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, in una dichiarazione congiunta firmata con Papa Francesco ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019.
Mi limito a un paio di estratti:
«È un’indispensabile necessità riconoscere il diritto alla donna all’istruzione, al lavoro, all’esercizio dei propri diritti politici. Inoltre, si deve lavorare per liberarla dalle pressioni storiche e sociali contrarie ai principi della propria fede e della propria dignità. […] Per questo […] bisogna lavorare per modificare le leggi che impediscono alle donne di godere pienamente dei propri diritti.»
«[…] Per questo noi chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere i usare il nome di Dio per giustificare atti di esilio, di terrorismo e di oppressione.»
Un cordiale saluto.
Riflettere oltre gli stereotipi, i pregiudizi ed il “martellamento” mediatico, come fa lei nel suo articolo, è cosa da saggi: grazie per aver condiviso le sue interessanti considerazioni su questo tema.
A me pare che il martellamento mediatico sia sempre dall’altra parte: accogliamoli, proteggiamoli, permettiamo loro di costruire moschee. Ma siamo sicuri che non stiamo segando il ramo su cui siamo seduti?
Grazie, Luciano. Sono lieto che abbia trovato spunti di riflessione nelle mie parole. Un cordiale saluto.
***
Gentile Lorenzo,
il problema non è solo tagliare il piccolo ramo su cui siamo seduti noi, nel nostro paese; se non si cercano soluzioni ragionevoli, rischiamo di abbattere direttamente l’albero che sostiene tutti, ognuno sul suo ramo. Di nuovo, un cordiale saluto.
Continueranno a crescere e a venire in Italia. Non sono tutti cattivi, naturalmente. Ma l’Islam resta una religione fascista. E quando ci avranno convinto a lasciargli fare quello che vogliono, allora qualcuno si pentirà di avere parlato a vanvera. Lei mi darà del razzista e dell’islamofobo, perché fate tutti così, ma io ribadisco che è in corso una colonizzazione islamica dell’Europa.
San Francesco, più di 800 anni fa, in terra musulmana e in tempi di Crociate, andò a parlare con un Sultano, in serena cordialità, ognuno dei due portatori della propria fonte di fede e di cultura. Per venire al nostro tempo, Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco, nel giro degli ultimi trent’anni hanno vistato moschee, dialogato con imam, cercato punti di convergenza e soprattutto condivisioni sul bene comune e e sulla convivenza di fedi e culture diverse.
Oppure si vuole che l’Occidente muova una guerra santa? Bisogna essere implacabili contro chi usa la religione – o una qualsivoglia pretesa etnica, culturale o ideologica – per azioni di terrorismo. Ma combattere nel suo fondamento e nella sua complessità una religione e la sua cultura, con il pretesto di lottare contro frange fanatiche minoritarie (che poi molto religiose a ben vedere non sono), può diventare a sua volta una mira un po’ fanatica. In quanto all’occidente, nel 2011 l’allora Patriarca cattolico di Gerusalemme, l’Arcivescovo arabo Twad Fwual, ebbe a dire che “l’occidente cristiano, invece di avere l’ossessione per la tracimazione – presunta o vera – di islamici e della loro fede in Europa, farebbe bene a badare che il bicchiere dei propri valori (cultura, storia, pensiero, religione, ideali) sia non troppo vuoto ma abbastanza pieno. In un bicchiere molto vuoto puoi versare di tutto, in uno quasi pieno non puoi versare molto”. Questo sarebbe il vero impegno morale, culturale e civile.
Caro Andrea, vedo che la tua riflessione sull’Islam è andata di traverso a qualche stomaco delicato. Hai preso dello svergognato, del socialista, dell’impegnato (con le virgolette a mo’ di superlativo; o in mancanza di un lessico più specifico), del fazioso («Troppo facile citare solo gli autori che piacciono a lei»).
Ti hanno risparmiato di essere un professorone, si vede che la parola non gli è venuta.
Per mestiere e da cittadino ho imparato che cattivi, cretini, fascisti e via elencando non hanno nazionalità, religione, status sociale. Ci sono forse delle responsabilità del e nel sistema formativo – e di quelli della mia generazione, senza naturalmente fare di ogni erba un fascio.
È pure cambiato tutto il sistema di informazione. Ha scritto lo scrittore Bruno Morchio: «Nell’era di Internet è diventato impossibile censurare una notizia. Tutto quello che si può fare è evitare che essa venga recepita, facendola scomparire in una pletora di informazioni. Tecnicamente, si chiama azzerare la differenza accrescendo la ridondanza. Sopprimere e reprimere è costoso e poco remunerativo. Molto meglio allungare e diluire, come il caffè americano rispetto al [nostro] espresso.»
Mentre ti leggevo mi è venuta in mente la storia di un giovane che ho conosciuto pochi anni fa, quando aveva vent’anni. Era nato nel nostro paese, da una mamma ticinese e da un papà immigrato. Un uomo buono, laborioso, intelligente. Si chiamava Nassim e aveva abbracciato la religione islamica. Nel luglio del 2015, a Londra, ha sposato Hafsa, una giovane insegnante in un liceo della city, diplomata a Oxford: l’aveva conosciuta nella capitale britannica, dove lavorava in quegli anni.
Qualche giorno dopo l’ultimo Natale era venuto a casa nostra con Hafsa, per salutarci e per gli auguri. Un cancro terribile lo faceva visibilmente soffrire. Così, da qualche tempo, era tornato in Ticino con la sua sposa, per curarsi nei nostri ospedali e, immagino, per essere vicino ai suoi genitori.
Era stata una chiacchierata emozionante e piena di ottimismo, soprattutto da parte sua. Ci eravamo salutati con un arrivederci a presto, il tempo di mettere al tappeto il male.
Pochi giorni dopo, il 20 gennaio, se n’è andato, senza mai aver avuto il tempo o il temperamento per far del male a (o di pensare male di) qualcuno. Da allora il suo corpo giace nel cimitero islamico di Lugano.
Grazie Adolfo! Ho risposto nel tuo blog (https://adolfotomasini.ch/wordpress/?p=4949). Ma voglio aggiungere una cosa. A mio modo di vedere – ma posso sbagliarmi – l’odio è inevitabile. Non è colpa di nessuna generazione, è sepolto dentro il cuore di ogni uomo. L’educazione dovrebbe fornire gli strumenti per combattere contro l’odio, ma è una sfida che non si può vincere sempre; anche l’educazione, come ogni cosa umana, è imperfetta. Certo, insegnare è un’enorme responsabilità. Qualunque cosa un maestro o una maestra insegni: ogni materia, se approfondita, ci aiuta a imparare il discernimento, la capacità di riflettere e di guardare il mondo da più punti di vista.
[…] giorno fa ha pubblicato un articolo inconsueto, Speranza nell’Islam, che inizia […]
Ho letto il testo e tutti i commenti. Mi pare che non si centri il nocciolo della questione. È inutile parlare dei Tuareg, degli islamici ragionevoli come Muhammad bin Ghazi, del ragazzo di cui scrive il sig. Tomasini. Il fatto è che per la massa dei musulmani noi occidentali (cristiani o no, a loro non importa) siamo sbagliati. E per questo ci odiano. Nei loro paesi non si possono portare simboli religiosi, le donne si devono coprire, non c’è libertà. Questo è un dato di fatto. Io non credo che, se ci mostriamo deboli, otterremo qualcosa. Anzi credo che diventeranno sempre più intransigenti. C’è bisogno di una politica che prenda posizione e che sia capace di seguire la linea dura.
Gentile signor Phil,
credo che nel mio articolo – e nei commenti miei e di alcuni lettori – sia già contenuta una risposta alle sue affermazioni. Non sono un esperto di politica e non voglio aprire qui un dibattito in cui – come accade talvolta nei dibattiti politici in versione social network – ognuno getta le proprie opinioni in faccia all’interlocutore, senza fermarsi mai per riflettere. Come ho detto sopra, sono soltanto uno scrittore che naturalmente, mentre racconta, s’interroga sulla realtà. Ma per farla breve: posso sbagliarmi, come tutti, ma ritengo che “la linea dura” non sia una soluzione efficace. Un cordiale saluto.
Senza prendere posizione (in fondo non è obbligatorio farlo, sarebbe limitante e ideologico, con un neologismo direi che sarebbe addirittura “talebano”) consiglierei l’intervista di Roberto Antonini al poeta Adonis:
https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/Violenza-e-Islam-incontro-con-Adonis-6593347.html
ed anche:
https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/Dentro-lo-Stato-Islamico-10776728.html
Buon ascolto produttivo! per rifletterci, mica per rafforzare convinzioni.
Sa signor Fazioli cosa mi preoccupa? Tutti quelli che predicano di convivere con i musulmani si sono poi fatti ammazzare o rapire, come il citato Dall’Oglio. Il guaio è che non si può spalancare le porte a chi poi non è disposto a fare altrettanto. Vogliono costruire moschee? Intanto nei loro paesi non si possono edificare chiese. Vogliono pregare in pubblico? Nei loro paesi non si può fare lo stesso. Inutile negare che in maniera strisciante sia in atto un tentativo di islamizzazione dell’Europa, non perpetrato dai poveri diavoli, ma da chi ha i soldi e finanzia il terrorismo. In fondo noi li abbiamo sempre lasciati stare, non abbiamo mai preteso di dettare legge a casa loro. È invece evidente il fatto che loro non sanno fare altrettanto. Inoltre, caro Fazioli, perché i paesi musulmani cosiddetti moderati non riescono a modernizzare l’islam, facendolo corrispondere ai valori occidentali? Perché non proibiscono le manifestazioni pubbliche della religione?
Gentile Francesco,
mi sembra che il suo pensiero contenga alcune generalizzazioni (Per esempio: tutti quelli che predicano di convivere con i musulmani si sono poi fatti ammazzare o rapire) e molte semplificazioni di questioni delicate e complesse, che non meritano di essere ridotte a slogan.
Mi limito a replicare su due punti.
1) Non abbiamo mai preteso di dettare legge a casa loro. Non dimentichi il fenomeno del colonialismo, che probabilmente è una delle cause del terrorismo.
2) Perché i paesi musulmani cosiddetti moderati non riescono a modernizzare l’islam, facendolo corrispondere ai valori occidentali? Perché non proibiscono le manifestazioni pubbliche della religione? Non capisco perché ponga proprio a me questa domanda… Comunque, per quel che vale il mio parere, ritengo che ciò possa essere pericoloso: spesso il terrorismo (con la sua bieca retorica) si è rafforzato anche come reazione a tali tentativi.
A mio parere ormai è troppo tardi per i distinguo. Bisognerebbe proibire almeno le manifestazioni pubbliche dell’Islam nei paesi occidentali, e sottoporre ad accurato controllo tutte le moschee, rilasciando loro una patente di non-terrorismo.
Complimenti, signor Fazioli, per la sua testimonianza. Lei dice di non essere un esperto, ma intanto ha scritto un “pezzo” molto accurato e documentato fin nei dettagli. Certo, la “speranza” mi sembra eccessiva. A una certa età si diventa più pessimisti. Apprezzo il suo slancio (non ingenuo, ma ragionato) e tuttavia mi permetto di dissentire. Purtroppo non credo che per l’islam ci siano possibilità di cambiamento, in quanto la religione stessa mi sembra intrisa di violenza. Tutte le religioni lo sono, ma alcune sanno evolvere, altre purtroppo no.
C’é un po’ di confusione in quanto ha scritto da brava persona quale é, solidale ed amica con il mondo. Le proporrei di distinguere fra le persone (i mussulmani) e l’islam (religione, prima di cultura) per cominciare. Quando parla dell’islam, si capisce che non ne sa molto (lo stesso vale per molti mussulmani brava gente). Dovrebbe approfondirne la conoscenza da occidentale: usando la ragione. Vi sono sia libri sia testimonianze dirette che aiutano nel percorso di comprensione.
C’é anche, mi permetta, ingenuità in quanto ha scritto (penso non solo dovuta alla giovane età, pure Chamberlain prima della seconda guerra mondiale era buono, fiducioso e comprensivo verso il governo tedesco malgrado i numerosi segnali che indicavano il pericolo). Nel suo atteggiamento buonista si dimentica che il male esiste nonstante e indipendentemente i nostri desideri di pace e fratellanaza. Bisogna tenerne conto per prudenza, almeno. E’ dovere di tutti.
Gentile signor Alessandro,
grazie per il suo commento. Non rispondo punto per punto, perché ho già espresso la mia opinione nell’articolo. Mi limito a dire che secondo me il “desiderio di pace e fratellanza” non è vano. Naturalmente esso deve tenere conto del male in tutte le sue implicazioni, altrimenti sarebbe una mera utopia, ma al di là di ogni delusione resta sempre un segno di speranza. E anche la speranza, in un certo senso, mi sembra un dovere.