Sono il custode di una città fantasma.
Intorno a me nei giorni di vento le cose scricchiolano, gemono, cantano con voci remote. Mentre passano le stagioni puntello i ruderi, sgombro le strade, la sera tengo accese le lampade. Oggi è il 15 maggio, il giorno del mio compleanno. Approfitto dell’occasione per un giro di controllo. Si accumulano i vicoli dove nessuno passeggia, gli hotel delle occasioni perse, i ristoranti della compagnia assente, le stanze che non vengono più dormite, le piazze invase dal bosco.
Che cosa resta? Che cosa si salva da questo incessante dissolversi della vita? Tutti siamo custodi di una città fantasma, non solo io. Ognuno conosce a memoria le sue rovine, le ferite, le case vuote, le banche dove non resta più nulla da rapinare. Ma che cosa significa essere custodi? Spesso la mia tentazione è l’immobilità. Lasciare che gli edifici crollino, contemplare ciò che rimane. O magari fingere che le macerie non esistano, che tutto intorno scintilli come nuovo. Festeggiamo un altro anniversario! I traguardi raggiunti! Perché non rallegrarci? Forza, viene l’estate, stappiamo una bottiglia, cuciniamo costine sulla griglia, cambiamo la foto del profilo su whatsapp. Compriamo case, automobili. Facciamo figli! Stiamo attenti sempre a distinguere i buoni dai cattivi… e appena possibile, rapidi e implacabili, comunichiamo al mondo la nostra opinione!
Oggi ho camminato fino a un vero villaggio fantasma. Si trova nei boschi sopra casa mia, a sud di Bellinzona, e si chiama Prada. Poco più di trecento anni fa invece della selva scoscesa c’era un pianoro, illuminato dal sole, c’erano fontane, bambini che piangevano e galline che si rifugiavano fra una casa e l’altra. Il battito di un martello su un pezzo di ferro, l’odore della minestra, una donna che spazzava il cortile. Appena arrivato, mi fermo in mezzo al silenzio. Mi siedo. Chiudo gli occhi. Mi sento stritolare dal rimpianto per vite che non ho conosciuto, per gesti che non ho compiuto. So che il mio destino è pari a quello del villaggio, e dentro di me crollano case, spariscono sentieri, crescono rovi. Come frenare questo logorìo? Come sopravvivere? I muri stanno scomparendo, inghiottiti dalla terra. I rampicanti hanno sgretolato le pietre. Qui c’era un insediamento abitato già nel 1200. Nel 1500 a Prada vivevano quaranta famiglie. Poi fra il 1630 e il 1640 accadde qualcosa e all’improvviso il paese scomparve.
Appena tornato a casa, sento il bisogno di scrivere. Se c’è una ragione per fare il mio mestiere, essa si nasconde proprio tra quei fantasmi di case, come tentativo di capire e, nello stesso tempo, di resistere. Scrivere mi aiuta a mantenere vive le domande su di me e sul mondo. Non voglio soccombere né alla solitudine di chi non spera, né all’ottimismo di chi non vede le macerie. Che cosa uccide le città? Penso al male, alle pestilenze, alle guerre, alle faide e alle ingiustizie che consumano le società umane. Penso alla mia ghost town personale, ogni anno sempre più diroccata. Che senso ha custodire? Che cosa significa?
L’altro ieri mi sono imbattuto in un minuscolo racconto della scrittrice Eliana Elia. S’intitola Compleanni. Ecco il testo: «Di anno in anno cresce il coro di luci che un soffio azzittisce». Rileggendolo ora, penso alla mia città fantasma. Forse il senso di custodire consiste proprio nel mantenere vivo «il coro di luci». Il soffio non è sempre letale, può anche rinsaldare il fuoco, tenerlo vivo. Accoccolato nella sua baracca all’ingresso del villaggio, il custode si mantiene vigile. Sa che dalle città fantasma ogni tanto passa una carovana. Ogni tanto qualcuno vede il fuoco e si ferma. Costruisce una tenda, cucina una zuppa, scende al fiume a prendere l’acqua. Basta poco perché la vita ricominci.
PS: Il tema “città fantasma” sarà al centro di una serata di letture e musiche in programma giovedì 30 maggio a Lugano, nel patio del Palazzo Civico in Piazza della Riforma. A partire dalle 18, Yari Bernasconi e io proporremo un percorso fra poesia e prosa, accompagnati dalla chitarra di Stefano Moccetti. Nella seconda parte della serata interverrà il poeta, critico e traduttore Franco Buffoni. Infine, ci sarà una tavola rotonda con le autrici Prisca Agustoni e Azzurra D’Agostino.
PPS: In segno di gratitudine verso le lettrici e i lettori di questo blog, voglio festeggiare anche quest’anno condividendo un breve racconto inedito.
Non ha niente a che vedere con le città fantasma. Però forse dice qualcosa sulla resistenza. Buona lettura!
PPPS: Oggi ho trovato un esempio di resistenza anche nel sax di Michael Brecker, nell’album Pilgrimage (Wa Records 2007), l’ultimo inciso dal musicista pochi mesi prima di morire di leucemia a 57 anni. Una canzone s’intitola Tumbleweed, e inevitabilmente mi porta a pensare alle città fantasma (i tumbleweed sono i “cespugli rotolanti” che percorrono le vie delle ghost town). Ma anche l’atmosfera è significativa: le frasi lunghe, all’inizio, con una misteriosa voce che lontano, dietro gli strumenti, intona una litania. Poi la forza dell’assolo di Brecker, poderoso, inventivo. E sul finale una sorta di jam session improvvisata nello studio di registrazione, fra grandi musicisti e grandi amici, come una promessa di vita.
PPPPS: Il racconto di Eliana Elia proviene dalla raccolta Ancora altri rapidi racconti (Taschinabili 2014).
PPPPPS: Oggi a Prada c’era questo silenzio.
Caro Andrea,
leggerti è sempre un piacere anche se, devo ammettere, a volte mi spaventa un po’ percepire -anche se solo da lontano- le profondità della malinconia che suppongo attraversino tutte le persone dotate di un qualche tipo di talento artistico. Senza soffrire un po’, anche per noi che non scriviamo e non svolgiamo un lavoro creativo, penso non si possa dar voce a dei pensieri profondi e interessanti. Quindi, coraggio e buona scrittura! Grazie per i tuoi testi.
Cara Paula,
grazie mille per le sue parole.
Credo che la sensibilità nei confronti del mondo, della realtà, sia un’attitudine indispensabile per la creazione artistica; tuttavia, essa non è certo limitata agli artisti! La malinconia, la domanda di senso, la percezione della lontananza… ogni essere umano è confrontato a questo tipo di interrogazioni. C’è chi ne scrive e chi non ne scrive. Ma se la creatività è un modo concreto di rappresentare le domande, è possibile ritrovarla in ogni occupazione in ogni mestiere.
Buon Compleanno, prima di tutto.
Anche per me il fumo proveniente dal ‘coro di luci’ comincia a farsi sempre più denso, a caricare l’aria di un odore acre sempre più persistente e a rendere color della malinconia lo spazio che pervade; ma al suo svanire, riprende il solo profumo della vita.
Ci ritroviamo alla prossima lettura, grazie.
Grazie di cuore per questo pensiero, che sviluppa e approfondisce la mia riflessione. Ritrovarsi alla prossima lettura: ecco una speranza che brilla attraverso il fumo…
Avevo segnato nel diario il 15 maggio per non dimenticare il tuo compleanno. Allora grazie di averci regalato questo bellissimo testo con il bonus del racconto sul “Taraxacum officinale”. Buon compleanno. Con amicizia. Pierre
Grazie mille, Pierre! Domando scusa per il ritardo della mia risposta… sono giornate fitte d’impegni. Sono lieto che tu abbia apprezzato la divagazione sulla città fantasma e il tarassaco offerto come bonus. (E grazie anche per aver dedicato un posto a me sul tuo diario!)
Città Fantasma, che profondità, ha riaperto il legame con l’origine un grande pensiero, grazie. La città è fantasma ma l’anima no e il pensiero corre lontano. Bravo Andrea.
Grazie, Guido! Il legame con l’origine, nel mio caso, è anche concreto: la famiglia di uno dei miei nonni proveniva proprio da Prada. “La città è fantasma ma l’anima no”: come dire meglio?