Ultime bozze

Ho appena consegnato le bozze del romanzo, quando mi arriva una mail dalla casa editrice. Monica scrive che, nel controllare le ciano prima del “visto si stampi”, le è venuto un dubbio. A pagina 36 si dice che Annika aveva nove anni, ma poi a pagina 43 si accenna al suo ottavo compleanno. «Che ne pensi? Come correggiamo?» Faccio un respiro. Mi guardo attorno. La carta, dopo avere conquistato la scrivania e la poltrona, ha invaso ogni superficie libera tranne il soffitto. Mi aggiro sul pavimento, trovo le pagine 36 e 43, controllo i miei appunti, verifico l’età del personaggio, cerco altri riferimenti, paragono la mia versione originale con il pdf già impaginato. Com’è possibile che mi sia sfuggita l’età della bambina? Alla fine per fortuna, dopo un’indagine accurata, riesco a ricostruire le vicende di Annika e della sua famiglia.
Chiamo Monica, che risponde al primo squillo.
«Allora?»
«Ha otto anni.»
«Sicuro?»
«Ho controllato.»
«Bene!» Monica sorride. «Allora possiamo andare avanti.»
Non si finisce mai di scrivere un romanzo. Semplicemente, a un certo punto è il romanzo stesso che ha voglia di vedere il mondo e chiede di andarsene per conto suo. Allora ci si preoccupa. Avrà freddo? Fame? Sete? C’è qualche dettaglio da sistemare, qualche imprecisione, qualche parola da sostituire? Fino all’ultimo l’autore aiuta il romanzo a preparare lo zaino per il viaggio. Ma viene il momento in cui autore, editor, correttori di bozze, redattori, tutti si ritirano nell’ombra. Il romanzo viene affidato ai tipografi. È pronto per partire verso l’ignoto.
Gli Svizzeri muoiono felici uscirà nei primi giorni di settembre per l’editore Guanda. È una storia noir, con l’investigatore Elia Contini, ma è allo stesso tempo il diario di una ricerca esistenziale. È anche la cronaca di un incontro fra culture diverse, paesaggi distanti (la montagna, il deserto) e visioni del mondo che sembrano opposte, inconciliabili. Da tempo mi portavo dentro questa vicenda, ma ero bloccato. Sono infine riuscito a scriverla grazie all’incoraggiamento di qualche amico e ad alcune circostanze favorevoli. Si tratta di un romanzo anomalo e avevo il timore di non riuscire a esprimermi in maniera efficace. Mi è stato utile confrontarmi con altri, in fase di scrittura e di revisione; non solo per le questioni tecniche, ma soprattutto per definire meglio ciò che volevo dire.
Per scavare un pozzo a mano, nel Maghreb, bisogna essere in due: una persona che scava e un’altra che porta fuori la terra con un secchio e una corda. Questo succede anche con la scrittura. Non si tratta di un lavoro totalmente solitario, di un confronto con sé stessi nel proprio recinto, perché di continuo il gesto creativo rimanda a un altrove. Il luogo dove nascono le storie rimane misterioso, come un pozzo nella profondità della terra, e le storie stesse acquistano un senso solo se destinate a un lettore, a qualcuno che le accolga e le renda vive.
A proposito di pozzi. I Tuareg raccontano la storia di due compagni di viaggio che, dopo un lungo cammino nel deserto, arrivano a un pozzo parzialmente ostruito. Uno dei due, impaziente, abbevera il cammello, riempie la borraccia e riparte. L’altro si ferma, rimuove le pietre, riesce a calarsi nel pozzo. Dopo qualche metro trova dell’acqua più buona di quella che affiorava alla superficie. Ma c’è un ingombro di materiali che rende difficoltoso attingere a una maggiore profondità. A questo punto, l’uomo s’interroga: devo accontentarmi di questo rivolo o devo scavare ancora, rischiando e faticando, per cercare un’acqua più fresca, più abbondante, più pura?
È una domanda difficile. Per quanto riguarda la scrittura, credo che ciò che mi spinga a inventare nuove storie sia il bisogno di trovare un’acqua sempre più limpida, insieme al desiderio di condividere quest’acqua. Dopo aver scavato il pozzo, infatti, l’uomo non si limita a proseguire il cammino, ma fabbrica un muro di pietre, perché la fonte non si ostruisca di nuovo e perché il prossimo viaggiatore possa dissetarsi.
Nella mia vita mi è successo di arrivare a pozzi soffocati. Ma ho conosciuto anche libri, luoghi, persone che sono per me come pozzi di acqua viva. Proprio in segno di gratitudine continuo a scavare, a costruire storie e personaggi. Ogni tanto mi sfugge qualche dettaglio, come l’età di Annika… ma per fortuna arriva sempre una mail con un’osservazione o un dubbio dell’ultimo minuto. È proprio vero: per costruire un buon pozzo, bisogna essere (almeno) in due.

PS: Il disegno di un pozzo nel deserto risale al 28 ottobre 1885 e proviene dal taccuino di Charles de Foucauld. La fotografia è di Alain Morel: scattata nel Sahara maliano, a nord di Araouane, raffigura un pozzo profondo che permette di abbeverare le carovane di sale provenienti da Taoudenni. È tratta dal saggio dello stesso Morel intitolato Comprendre les déserts, che si trova in AAVV, Le livre des déserts. Itinéraries scientifiques, littéraires et spirituels, a cura di Bruno Doucey (edizioni Robert Laffont 2006).

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9 pensieri su “Ultime bozze

  1. Ma…leggeremo di un Elia Contini che finisce nel deserto?? E Francesca? Non vedo l’ora di avere il libro tra le mani!

  2. Grande! Cioè, del romanzo non hai detto quasi niente… Ma mi piace come approfondisci il mestiere di scrivere. Poi ho apprezzato “L’arte del fallimento” e spero che questo “Gli Svizzeri muoiono felici” sia all’altezza… il titolo già è grandioso!! 🙂

  3. “Arrivare a pozzi soffocati”: un’espressione precisa per quello che talvolta succede anche a me. Mi piace come il discorso, nato sulla scrittura, si sposti sulla ricerca esistenziale. È proprio questo che ho sempre apprezzato dei suoi romanzi, questo raccontare una storia intrigante e nello stesso tempo stimolare una riflessione. Mi immagino Contini con i suoi casi disperati e le sue volpi, ma so che dietro la storia ci sarà qualcosa che rimane più a lungo. Almeno, negli altri romanzi era così, spero anche in questo!…

  4. Caro Andrea, sono curioso di vedere il tuo nuovo romanzo intraprendere sua avventura…
    Credo anch’io che ci siano analogie tra lo scrivere e scavare un pozzo nel deserto. Uno dei miei autori preferiti, Raymond Carver, racconta quanto importante sia stato per lui l’incontro con John Gardner, insegnante in un corso di scrittura creativa. «Fu un’esperienza di un valore senza pari nella mia maturazione di scrittore. Il suo metodo era una critica ravvicinata, riga per riga e non si limitava a questo, ma ci dava anche le ragioni di quella critica e, quando c’era una frase che gli piaceva, una battuta di dialogo, qualcosa che secondo lui mandava avanti la storia in modo piacevole o inatteso, scriveva a margine “Bello”, oppure “Buono”. Quando vedevo questi commenti, il cuore mi si risollevava».
    Cos’è questo modo di agire se non un aiuto a rimuovere le pietre che ostruiscono il pozzo e permettere di andare più a fondo per attingere acqua migliore? Per scavare a mano, un pozzo nel Maghreb, bisogna essere almeno in due!

  5. Ho letto recentemente l’Arte del Fallimento e l’Uomo senza Casa: entrambi dimostrano chiaramente la tesi che un romanzo che affronti correttamente il mondo esterno (involucro della storia d’immaginazione) ha necessità di un appoggio “tecnico” che giunga da persone a conoscenza di questioni legali e normative, questioni di Polizia o del Lavoro o dell’utilizzo del Territorio…
    Forse è una necessità più evidente oggi negli Scrittori che ampliano il puro racconto alla realtà quotidiana? Me lo domando perché non mi pareva un tema tanto evidente nei “giallisti puri” che leggevo tanti anni fa, sia i Classici sia i più commerciali nei Gialli Mondadori.
    Tornando ai due romanzi che ho letto, quello ambientato attorno alla Diga della Val Malvaglia (ci avevo lasciato l’auto vicino, prima di salire a piedi alla Capanna del Quarnei) mi ha intrigato molto e l’ho trovato davvero ben costruito e dettagliato: oltre al racconto ci ho trovato un interessante spaccato della società svizzero italiana del Cantone Ticino. Lo stesso potrei dire dell’Arte del Fallimento, che tuttavia mi ha un po’ creato instabilità emotiva, turbamento, e qualche impulso di abbandonare la lettura… ma era certamente dovuto a delle sensazioni personali dovute sia all’instabilità emotiva caratterizzata da Contini, sia all’aver vissuto di mio questioni di difficoltà lavorative, col lavoro che se ne va sempre più verso l’Est!… ma in fondo, a ben pensarci, questa personale instabilità sorta dalla lettura andrebbe a vantaggio delle capacità di Andrea Fazioli di colpire nel centro della realtà, o no?

    1. Grazie per queste due fulminee e molto personali recensioni: L’Arte del Fallimento l’ho letto anch’io e mi è piaciuto moltissimo, anche perché la musica Jazz, con la sua vitalità, placa l’instabilità emotiva-professionale di cui lei parla così bene (e che Fazioli mette in scena così bene). Ha ragione: la capacità di suscitare tali sentimenti è segno di una maestrìa nella scrittura. Quanto all’Uomo Senza Casa non l’ho letto, perché era esaurito. Ora ho visto che l’hanno ristampato in tascabile: lo leggerò prima dell’uscita del nuovo Gli Svizzeri Muoiono Felici (titolo fantastico!).

      1. Grazie mille, Signora Giada, per aver condiviso alcune considerazioni interessanti.
        Trovo anch’io che il titolo del nuovo prossimo lavoro sia particolarmente intrigante, anche se proprio non saprei cosa aspettarmi. Anche se devo leggere qualcosa d’altro del Signor Fazioli, per un po’ ho deciso di dedicarmi ad uno dei miei scrittori classici preferiti… mi è stato regalato l’Inverno del nostro Scontento di John Steinbeck, che cercavo da tempo senza riuscire a trovare. Finora ho letto i romanzi meno noti e li trovo “densissimi” di contenuto. Per godersi un po’ le “povere” vicende umane che mettono in ridicolo la falsa rispettabilità di chi si crogiola nel denaro, ho trovato meraviglioso Pian della Tortilla (Tortilla Flat).

  6. Complimenti sempre Andrea, condivido e comprendo bene in merito alla “costruzione/scavo dei pozzi” e non vedo l’ora di attingere nuovamente alla tua “sorgente” con un sorso della “nuova acqua”. 🙂

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