Istruzioni per andare all’inferno

In tempi di turismo di massa, andare all’inferno sarebbe una meta originale per le vacanze. Il problema è che, anche consultando i migliori tour operator, non è facile trovare indicazioni precise su come arrivarci (treno? automobile? volo low cost?), così come mancano dettagli sui bed & breakfast e sui posti dove mangiare a poco prezzo. Qualcuno allude vagamente a una selva oscura, ma senza rivelarne l’ubicazione, altri si limitano a consigliare di superare l’Oceano per poi cercare una spiaggia bassa e boschi sacri a Persefone, alti pioppi e salici dai frutti che non maturano. Capite anche voi che non sono istruzioni facili da inserire in un navigatore satellitare (il rischio è di trovarsi in Persephonestràat, una via nella città olandese di Tilburg). Alcuni fra gli specialisti danno qualche dritta su come raggiungere l’inferno – o l’Ade, come lo chiamano loro – ma faticano a mettersi d’accordo. Qualcuno parla della terra dei Mariandini, sul capo Acherusio, che non si capisce bene dove sia; qualcun altro allude al promontorio di Tenaro, e in questo caso viene in aiuto Wikipedia: Capo Matapan, o Capo Tenaro, è situato sulla punta della penisola della Maina, in Laconia. È il punto più a sud della terraferma greca e della penisola balcanica. Separa il golfo di Messenia a ovest dal golfo di Laconia a est. Detto questo, nemmeno Wikipedia spiega come si entri nella caverna che viene definita la casa di Ade (il dio degli inferi, da cui il luogo prende il nome).
Ecco altri dettagli che si trovano qua e là, nelle guide più rinomate: la presenza di una fonte accanto a un cipresso, il lago di Mnemosine, un bivio dal quale si diramano due strade. Non è un granché. C’è chi consiglia di cercare intorno al lago di Averno, in Campania, e chi si limita a menzionare paludi, gole nebbiose, grotte, un baratro immane, un sentiero in declivio fra le tenebre di tassi funerei. Tutto questo non aiuta quando si devono chiedere indicazioni a un passante (Mi scusi, vado bene per il sentiero in declivio fra le tenebre di tassi funerei?). L’inferno non sembra avere un ufficio del turismo efficiente. Come non condividere il lamento di Platone, noto per essere uno dei massimi esperti del settore? Il viaggio non è come dice il Telefo di Eschilo: egli dice che una semplice strada conduce all’Ade, ma a me non sembra semplice né unica. In questo caso non ci sarebbe bisogno di guide: nessuno sbaglierebbe, se ci fosse un’unica via. Pare, invece, che abbia molte biforcazioni e incroci. Si tratta di una destinazione esclusiva e, se ci sono dei villaggi vacanze, sono destinati a una clientela selezionata. Infatti il fumettista francese Étienne Lécroart, in una sua vignetta, mostra tre angeli che con aria soddisfatta stanno visitando l’inferno. Hanno l’aureola e le ali, ma impugnano anche un forcone (acquistato probabilmente in un negozio di souvenir). Uno di loro sospira: Pff! E pensare che fra due giorni, finite le vacanze, si torna in paradiso
Insomma, l’Ade sembrerebbe un luogo oltre la mia portata. Ma a volte, per fortuna, quando si viaggia si finisce per caso nel posto giusto. È andata così. Ero in un piccolo autosilo, nel cuore di una metropoli: all’inizio sembrava un parcheggio come tanti altri, ma poi mi sono accorto che stavo percorrendo le prime rampe dell’inferno. Il navigatore satellitare ha smesso di ricevere il segnale (ero lontano dal cielo), nell’aria si sprigionavano odori di gas, tutto era scritto in italiano e in inglese (com’è giusto che sia, vista l’utenza internazionale dell’Ade). Sono passato dalla cassa (cash), dalla guardiania (guardian), dove Caronte accettava carte di credito, e mi sono inoltrato nei meandri sotterranei, scendendo fino al piano -3 (floor -3) prima di risalire alla superficie. Da qualche parte ci doveva essere un ascensore (elevator), ma ho scelto d’imboccare l’uscita pedonale (pedestrian exit). Ho notato che, dietro una lastra da rompere in caso d’incendio (to crash in event of fire), c’erano un estintore e una lancia antincendio: forse un mezzo per tenere a bada gli animatori turistici o i demoni più fiammeggianti.
È stato emozionante risalire le rampe di scale dove a suo tempo si arrampicarono Orfeo ed Euridice, dopo che lui aveva osato avventurarsi per questi luoghi paurosi, per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno. Stanze vuote, loculi angusti, mille divieti di fumo, un labirinto di metallo e di cemento. Immagino la trepidazione di Orfeo, intento ad ascoltare se, sulle scale di ferro, si avvertisse il passo della sua donna, strappata agli inferi con la dolcezza del canto. Finché a un certo punto, per ragioni che poeti e romanzieri non hanno smesso di indagare, Orfeo si volta, trasgredisce il divieto; e subito Euridice scompare, come fumo dissolto in aure sottili, con il cigolio d’un topo che si salva.
La pedestrian exit è una porta insospettabile, che si apre in una fila di negozi e di bar. Appena fuori, nel cicaleccio degli aperitivi, fra cellulari e infradito, penso all’inferno. A quello vero, al male inesorabile. Quel luogo senza nome, definibile come assenza di luce e speranza, è più vicino di quanto immaginiamo. Affiora all’improvviso dalle pagine di un giornale, divampa dagli schermi di un computer o di un televisore. È un gorgo che divora, che trascina. C’è il male causato dall’uomo – la guerra, la fame – e quello che cova dentro l’uomo, come una ferita pulsante – le malattie, la depressione. C’è la solitudine che rimbalza su internet, la chiusura ideologica, l’invidia. C’è chi circonda di mine il proprio orticello, qualunque esso sia, perché nessuno possa entrarvi (o forse perché non venga la tentazione di uscirne). C’è l’arroganza, il cinismo, l’ipocrisia. C’è la violenza: quella dei criminali, quella dei kamikaze e quella che cova nelle famiglie. C’è chi langue nell’inferno delle carceri e chi scrive sui social network che bisognerebbe buttare via le chiavi. C’è chi muore lentamente, chi è già morto senza saperlo. Come fare? Come lottare contro la marea?
La tentazione è quella di rassegnarsi. Lo diceva anche il Kublai Kan di Italo Calvino: Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è la in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente. Mi sembra che la risposta di Marco Polo sia sempre valida: L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

PS: Ho citato molti autori di nascosto, integrandoli nel testo. Non vorrei quindi rovinare il gioco rivelando le fonti. Mi limito a dire che si tratta, in ordine alfabetico, di Apollonio Rodio, Dante Alighieri, Esiodo, Ovidio, Cesare Pavese, Virgilio. Ho citato anche qualche “indicazione di rotta” incisa su alcune laminette d’oro ritrovate in sepolture greche, menzionate da Anna Ferrari nel suo Dizionario dei luoghi letterari immaginari (UTET 2007); quest’ultima è un’opera utilissima per una panoramica sull’Ade nella letteratura classica e non solo. La frase di Platone è tratta dal Fedone (108a) e si trova in Dialoghi filosofici (a cura di Giuseppe Cambiano, UTET 1981). Le parole di Calvino provengono da Le città invisibili (Einaudi 1972). La vignetta di Lécroart è apparsa nel numero 4090 del settimanale “Spirou” (31 agosto 2016). Una delle fotografie raffigura capo Tenaro, in Grecia; un’altra immagine è un collage che accosta due statue di Antonio Canova (conservate al Museo Correr di Venezia): Euridice appare esasperata e Orfeo sembra chiedersi come abbia potuto fare una cosa del genere.

PPS: Ringrazio Eloisa per gli spunti orfici. Seguendo la tradizione classica, non rivelo qui l’ubicazione dell’autosilo-Ade: se qualcuno volesse fare una visita turistica, mi scriva in privato e vedrò di dargli qualche indicazione in più…

PPPS: Circa un anno fa mi trovavo per qualche giorno nel Gargano, in Puglia. Anche da quelle parti c’è una grotta marina che, se non è l’ingresso dell’Ade, ci assomiglia molto (ne ho parlato qui).

Condividi il post

8 pensieri su “Istruzioni per andare all’inferno

  1. Molto bello! L’ho letto d’un fiato e mi ha fatto prima sorridere, poi riflettere (non accade spesso, che le due cose arrivino insieme). Ho solo due domande al volo:
    1. Il “Dizionario dei luoghi immaginari” parla solo dell’aldilà o anche di altri luoghi?
    2. A che cosa servivano le lamette d’oro con le iscrizioni sull’Ade nei sepolcri?
    Grazie, e complimenti per il blog!

    1. Grazie mille. Ecco due risposte al volo.
      1) Il Dizionario dei luoghi letterari immaginari è un’opera poderosa, che attraversa trenta secoli di letteratura. L’Ade è solo una fra migliaia di voci, che illustrano città, boschi, isole, castelli, palazzi: tutti luoghi che esistono solo nei libri (se vogliamo, l’inferno è una specie di eccezione…).
      2) Le laminette d’oro nelle sepolture greche fungevano da promemoria. Contenevano le dichiarazioni che l’anima avrebbe dovuto rendere nell’aldilà e suggerimenti su come superare le difficoltà del percorso, con tanto di dettagli topografici.
      Un cordiale saluto!

  2. Grande, come sempre! 😍 Stavolta l’ho letto in vacanza (ma al mare non nell’ade!). Persephonestràat e “scusi vado bene fra i tassi funerei” mi hanno fatto davvero scompisciare! 😂 Belle anche le immagini e la parte finale. Ma se ti scrivo in privato, me lo dai davvero l’indirizzo dell’inferno??? 😂😜

    1. Grazie, Lea, molto gentile. Quanto all’indirizzo dell’inferno… sì, in privato posso rivelarlo. Ma attenta: meglio non restare troppo a lungo (Caronte conta le ore di permanenza, ed è piuttosto esoso…). Buona giornata!

  3. Caro Andrea,
    pur non sfiorando il pessimismo modaiolo di chi si sente all’inferno giornalmente, per molto poco, a ben pensare la vita di tutti noi è fatta di momenti infernali e di momenti paradisiaci, e non occorre granché per sentirsi qua o là. Ricordo la lettera d’addio di una suicida che, nel salutare marito e figli, per scritto su un brogliaccio, scriveva: “…non pensarmi all’inferno perché l’inferno è qui…” (mi piace precisare che la signora in questione era frequentatrice assidua di chiese, di messe, di cerimonie religiose). Mi facciano quindi il favore, coloro che dannano il suicida (non è così lontano il tempo in cui i suicidi venivano sepolti in terra non consacrata!) e non fingano un benessere interiore che sono lungi dal provare e che, in particolari occasioni, in particolari soggetti, può condurre alla decisione estrema!
    Sempre stuzzicanti i tuoi post. Buona fine di settimana!

    1. Cara Raffaella,
      grazie per il tuo pensiero. Credo che la disperazione non vada condannata, ma capita e, se possibile, consolata. Fra gli autori che ho citato nell’articolo c’è anche Cesare Pavese, che da sempre è tra i miei preferiti e che morì suicida il 27 agosto 1950, a quarantadue anni. Penso spesso a lui, alla sua solitudine. Il 15 maggio 1939 annotò sul suo diario: Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri. Se le parole servono a qualcosa, quando servono, è proprio perché possono medicare (o tentare di medicare) la nostra solitudine.
      Buon sabato e buona domenica anche a te!

      1. Caro Andrea,
        anch’io ho sempre amato Pavese e mi piace sempre, soprattutto da quando ho scoperto certi suoi lati che mi erano ignoti, grazie ai racconti di Ludovica Nagel. Poco più di un anno fa, Paolo Di Stefano mi fece conoscere quella “dolce vecchietta” di 98 anni, con la testa che era un brillante. Lei ha lavorato all’Einaudi a Roma e ha conosciuto bene gli scrittori che bazzicavano da quelle parti, in particolare alcuni più di altri. Il figlio della Ginzburg pensò di pubblicare alcune lettere che la sua mamma, Pavese e Bembo avevano scritto a Ludovica, intitolandolo “A Ludovica”. È proprio un libretto ma trovo che sia significativo.
        L’intento di Paolo era di ospitarla qui, ma lei, alla quale non andava mai bene nulla (ma con stile!), preferì restare a Casa Serena, dove non c’era una cosa che le andasse bene. Era comunque un personaggio speciale. Purtroppo una polmonite se l’è portata via un paio di mesi fa e io l’ho saputo da Paolo. Naturalmente sono andata al Crematorio (eravamo una decina di persone) e mi aspettavo che uno dei suoi amici (non ha nessun parente) dicesse due parole, invece nulla. Sono rientrata con l’amaro in bocca e lo dissi a Paolo. Lui scrisse l’articolo che fece pervenire ad “Azione” ricordando Ludovica: un ritratto tenero e dolce, una sua fotografia. Comunque, ogni settimana, mi recavo da lei per un’oretta perché lei aveva bisogno di parlare con qualcuno che la capiva (e poi l’avevo promesso a Paolo). Ti confesso che alcune volte dovevo fare violenza su me stessa, ma non sono mai mancata. Anzitutto lei voleva sapere le “belle cose ” che io facevo (secondo lei) e sono riuscita a farla pure parlare di lei (figlia di una statunitense e di un germanico); quando parlava di Pavese, lo faceva con il sorriso sulle labbra.

Rispondi a Andrea Fazioli Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.