L’uomo senza casa

IMG_9877Ho sempre cercato una casa. Già quando ero bambino, ricordo, mi capitava di sognare una dimora misteriosa, che conteneva file e file di letti, uno per ogni persona che conoscevo. Era uno strano edificio in mezzo ai campi, di colore bianco, anche se in certi sogni diventava una sorta di enorme astronave circolare, che avanzava nello spazio buio e sconosciuto, privo di stelle. L’astronave era luce, presenza di amici, certezza che il tempo non sarebbe finito mai. Quella era la casa.
IMG_9887Nella mia vita ho vissuto in diverse abitazioni, ma mi sono presto reso conto che nessuna di esse bastava a racchiudere ciò che per mancanza di parole più precise continuo a chiamare “casa”. Non desidero diventare proprietario di un edificio, e in ogni caso non sarei tanto ingenuo da pensare che un atto di proprietà possa davvero darmi una casa. Non si tratta di muri e di mobili, né di un giardino con un grill o di un locale hobby nello scantinato. Casa non è famiglia, non basta la famiglia, casa non è tanto meno patria, e neppure sicurezza o lavoro o connessione wi-fi o figli da crescere. È qualcosa che potrei descrivere come un luogo ideale a cui appartenere; un territorio vasto, dove ci si può perdere, ma nel quale riconoscere i punti di riferimento dell’amicizia, della condivisione, della tenerezza.
IMG_9891Nel 2007, scrivendo il romanzo L’uomo senza casa (Guanda 2008), riflettevo proprio su questi argomenti, e tentavo di catturare una definizione che continua a sfuggirmi. Che cos’è che è? La scrittrice Clarice Lispector si pone proprio questa domanda. Se ricevo un regalo dato con affetto da una persona che non mi piace, come si chiama quello che provo? Una persona che non ci piace più, e a cui non piacciamo più, come si chiama questo dispiacere e questo rancore? Essere indaffarati, e improvvisamente fermarsi perché colti da un ozio beato, miracoloso, sorridente e idiota, come si chiama ciò che si è sentito? L’unico modo per chiamare una cosa è chiedere: come si chiama? Finora sono riuscita solo a dare un nome tramite la stessa domanda. Qual è il nome? ed è questo il nome. Anche nel mio caso, dietro la vicenda romanzesca, c’era una domanda – che cosa significa “casa”? – che riuscivo a esprimere unicamente sotto forma di domanda.
FazioliCASA-03.inddL’uomo senza casa racconta di un villaggio di montagna sommerso dall’acqua per la costruzione di una diga. Proprio in quel villaggio è cresciuto Elia Contini, che ora tenta di sbarcare il lunario come investigatore privato nel micro territorio della Svizzera italiana. Ormai non pensa più alla casa della sua infanzia, sepolta sotto litri e litri di acqua, finché un omicidio turba la vita più o meno tranquilla del paese di Malvaglia; e in qualche modo questo delitto è legato alla grande diga, al lago artificiale che dorme pacifico in mezzo ai boschi.

1La diga era sempre lì, sempre uguale. Una lastra grigia che chiudeva il cielo e che pareva la prua di una gigantesca nave incastrata fra le montagne. A vederla da sotto faceva quasi paura. Contini lasciò la macchina in basso e salì a piedi. Dopo un po’ si tolse il cappotto e lo piegò sul braccio: era una bella salita.
Il cielo era limpido. Non si udiva nessun rumore. Ogni tanto si alzava un soffio di vento e la macchia rossa di una bandiera svizzera, accanto a una delle case sotto la diga, segnava la presenza dell’uomo. A un certo punto, passando di fianco alla parete di cemento grigio, Contini udì un ronzio fievole, come il respiro di una bestia dormiente. La diga avrebbe potuto essere un grosso animale, una balena addormentata nel solco della valle.
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Ma è soltanto una diga, pensò Contini. Si fermò. Dalla strada in basso giunsero le note del clacson di un autopostale. Do diesis, mi, la: il richiamo inconfondibile della Posta svizzera. Contini sbuffò e riprese a salire.

L’uomo senza casa era da qualche tempo esaurito, disponibile soltanto in versione digitale. Ora Guanda lo ha appena ripubblicato in edizione tascabile, con una nuova copertina. L’originale presentava un bellissimo disegno dell’artista Guido Scarabottolo; in questo nuovo formato c’è un’illustrazione, altrettanto evocativa, ideata da Mariagloria Posani.
IMG_9883Ho ricevuto ieri qualche copia del romanzo e mi sono divertito a sfogliarlo: tanti anni dopo, mi sembrano le parole di un altro. Qua e là, tuttavia, riconosco l’urgenza della mia domanda. Dietro la suspense e i colpi di scena, dietro gli omicidi e i lunghi inseguimenti sotto la neve, tutti i personaggi stanno cercando – ognuno a modo suo – un luogo da poter chiamare “casa”. Ho riscoperto qualcosa di me stesso anche nella figura dell’assassino, con la sua inquieta solitudine che talvolta sembra irreparabile, e forse pure nel giovane avvocato Chico Malfanti, inesperto del mondo ma desideroso di conoscere, di avvicinarsi al segreto della quotidianità. La vicenda porta i protagonisti su e giù per il Canton Ticino, con una deviazione alle Isole Vergini Britanniche (c’è di mezzo un imbroglio legato alla speculazione edilizia, al riciclaggio di denaro e alle società off shore). Ho riletto la sequenza ambientata a Bellinzona, durante il carnevale Rabadan, e mi sono divertito a seguire il giovane avvocato e lo scorbutico investigatore nelle scintillanti notti luganesi.

69055615@1200*1200-mEra una serata qualunque dell’inverno luganese, con dj Kevin che tuona sopra il parterre del Casanova, promettendo «il sound più assolutamente fuori di tutta Lugano city», mentre giovani lupacchiotti figli di avvocati o banchieri prenotano i tavoli ed escogitano qualcosa per far ridere le ragazze. Fiumi di martini e tequila inondano il locale, la conversazione lotta contro i decibel, finché perfino qualche ragionevole figlio d’impiegato o nipote di pediatra si lascia andare e s’informa: «Ma quanto costa una bottiglia di spumante?»

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Forse, mi viene in mente ora, forse una casa ce l’ho. Non sempre sono pronto a riconoscerla, a volte la perdo o la rifiuto, a volte mi aggiro nelle strade buie dei miei pensieri e mi pare di essere strappato via dal mondo, dalla sua normalità. Se anni fa scrissi questo romanzo, se oggi continuo a scrivere, è soprattutto per portare avanti la mia ricerca, per precisare il mio cammino. A volte ho l’impressione di scrivere semplicemente per intensa curiosità. Il fatto è che, scrivendo, mi abbandono alle più insperate sorprese. È mentre scrivo che spesso prendo coscienza di cose che, essendone prima incosciente, non sapevo di sapere.

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PS: Quest’ultima citazione, così come quella sulla domanda Che cos’è che è?, proviene da La scoperta del mondo (1967-1973), una raccolta di articoli dell’autrice brasiliana Clarice Lispector, pubblicata in italiano da La Tartaruga nel 2001. Le altre citazioni sono tratte da L’uomo senza casa. Trovate qui la scheda del romanzo (oppure sul sito della casa editrice o sul sito Il Libraio).

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12 pensieri su “L’uomo senza casa

  1. Che bello! 😍 “L’uomo senza casa” era l’unico che mi mancava della serie con Contini (l’avevo preso da leggere alla biblioteca, ma ne volevo una copia). Adesso vado a comprarlo. Grazie per le riflessioni che fai sulla casa e l’appartenenza: oltre a essere un giallo divertente, il libro porta a riflettere su che cosa vogliamo davvero nella nostra vita. Ciao, e scrivi un altro libro… che io aspetto!!

    1. Grazie mille, Sarah. Sto lavorando a un romanzo: forse, quando sarà il momento, ne parlerò anche sul blog. Nel frattempo cercherò di proporre almeno qualche racconto. Buona giornata!

  2. Grande notizia! Rileggerò volentieri “L’uomo senza casa”, e con questa piccola “guida alla lettura” sarà un’esperienza ancora più intensa. Ricordo che me l’aveva prestato un amico e che mi era piaciuta la scena della grande nevicata sull’autostrada del Mte Ceneri, con Contini e Francesca in macchina e tutto intorno il caos. Complimenti, writer, e buona scrittura!

    1. Buona rilettura, Ilaria! Nella scena della grande nevicata, così come in quella del carnevale, c’è qualche aspetto autobiografico (ma ben camuffato…). Grazie e buon pomeriggio!

  3. Ahahaa! Troppo forte la descrizione della notte Luganese! 😂
    Mi sembra quasi di essere al WKND! 😜 Se trovo in giro il libro, magari me lo compro. Ciaoo!

  4. Buona sera a tutti.
    1) Sullo scrivere concordo pienamente, Marcel non è Marcel Proust. L’atto dello scrivere fa sì che l’autore diventi altro si separi da sé.
    2) Il ritorno a casa è impossibile. Bene ha fatto lei ad “affogare” la casa di Contini. L’impossibilità di sentirsi/tornare a casa è un tema che ricorre in tutto il novecento: Joyce, Joseph Roth , …
    2.1) Una storiella ebrea sull’assenza citata da Saint Exupéry: “Vai dunque laggiù? Come sarai lontano!” – “Lontano da dove?”

    1. Buonasera Enrico! Le sue osservazioni sono molto stimolanti. Aggiungo brevemente qualche parola. 1) Sono d’accordo: Marcel non è nemmeno Marcel, cioè ogni volta, a ogni lettura, si rivela essere un Marcel diverso, creato per metà dall’autore e per l’altra metà da ogni singolo lettore. 2) In effetti, è un tema sul quale torno spesso, se non nella mia scrittura, nei miei pensieri. 2.1) Siamo sempre lontani da tutto. (E quindi, in un certo senso, anche vicini…).
      Buona settimana, a presto!

  5. Bellissima scrittura, bellissimo commento!
    Eh si, scrivere, pensare, cercare di capire, abitare le nostre case, dar loro delle mura, un aspetto è un “lavoro” continuo.
    Ci sentiamo tutti vicini a te nella tua inquietante e ricca ricerca.
    Mi son chiesto se ciò che avviente sul tuo blog non corrisponde un pochettino a questa
    ricerca. Tanti “letti” per ognuno dei tuoi lettori. Occhi che guardano nella stessa direzione ciascuno a modo suo, grazie ai tuoi scritti, per cercare e dar domicilio a ciò che di più autentico e prezioso sta in noi, spesso sommerso sotto litri e litri di acqua.
    E la diga?
    Difesa artificiale contro un diluvio il cui pericolo è stato creato da noi stessi con il nostro modo di procedere che non lascia spazio alla vera memoria.
    Contiene un volume di ricordi sommersi che ci travolgerebbe se si aprisse improvvisamente.
    Ma poi ce impedisce di ritrovare impressioni, suoni e colori che sono all’origine del nostro sentimento di esistere.
    Mah, chissa?
    Franco

    1. Bellissimo commento anche questo. Non avevo mai pensato al blog come a una sorta di “casa”, in cui trovare riparo dalle distrazioni che spesso insidiano le mie giornate. Una casa… è una bella immagine. Sarei felice se i miei lettori considerassero questo spazio come qualcosa che appartiene anche a loro, in cui sostare anche solo per qualche minuto il mattino presto, nel cuore della giornata oppure prima di dormire. Un momento di quiete, di lettura, di silenzio. Il tempo di un pensiero e di uno scambio di idee che per me è sempre prezioso. Grazie. A presto!

  6. Non ho ancora letto nessuno dei suoi libri, solo le sue riflessioni e qualche racconto trovato nella stampa della Svizzera italiana. Ma ascolto con interesse le sue mattinate in Verde Aurora radiofonica: è un approccio che apprezzo, anche quello musicale.
    Volendo leggerLa, da dove mi consiglia di cominciare?

    Io un luogo che si chiama “casa” ce l’ho, ma oggi è sotto assedio dall’urbanizzazione selvaggia ed interessata dei costruttori e dei riciclatori (di denaro), dal traffico e dallo smog, persino da una mentalitä modernistica che considero deteriore. Pur tuttavia lo difendo e lo conservo perché a sua volta conserva il ricordo presente delle persone della mia infanzia (quasi tutte scomparse ormai) ed anche delle speranze di bimbo e ragazzino non tutte realizzate. Mi aiuta a mantenere vivo l’entusiasmo di fare e la vitalità è vita!

    Da 45 giorni ero senza elaboratore elettronico… mi sono immerso nella fisicità di certi lavori che non sempre mi sono possibili, mettere le mani nel terreno e strappare ebacce non preesistenti, quelle invasive che arrivano dall’oriente e soffocano le erbe dei giochi infantili di un tempo passato…

    1. Grazie mille per il suo pensiero. Mi fa piacere che apprezzi le mie divagazioni qui sul blog o sulle onde della radio. Spero che anche i miei romanzi possano catturare la sua attenzione: potrebbe cominciare da “L’arte del fallimento” (Guanda), il più recente, o provare con “Il giudice e la rondine” (sempre per Guanda), una storia breve che può darle un’idea dell’atmosfera, dello stile e dei personaggi che si trovano nelle mie storie. Ho scritto anche opere di occasione, in seguito a richieste particolari: qualche mese fa è uscito “La beata analfabeta” per le edizioni San Paolo. Qui sul blog, nella sezione “racconti inediti”, troverà qualche storia breve. Se vuole, mi faccia sapere che cosa ne pensa.
      Quanto alla “casa”, sono d’accordo con lei: è un luogo da difendere, sia nel senso letterale, sia nel senso metaforico. Anche l’erbaccia giusta può bastare a ricreare una sensazione, quando cresca nel luogo giusto, suscitando ricordi o pensieri che portano lontano.
      Un cordiale saluto, a presto!

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