Winter moon

Qualche giorno fa è venuta un’amica a cena e ha portato un po’ di alghe in una bottiglia di plastica. Aveva con sé anche roba più commestibile – cioccolatini, vino bianco – ma io mi sono sentito subito attratto dalle alghe. Non erano da mangiare, non avevano proprietà curative e in generale non sembravano un granché: la bottiglia di PET lasciava intravedere filamenti verdi, giallastri o bruni. Ma nella loro banalità, emanavano un richiamo misterioso. Mentre ero intento nella contemplazione, mi hanno spiegato che quella minuscola cosa verde era una delle specie viventi più antiche del nostro pianeta.
image1-2 copia 4Un po’ come le felci, ho detto io. O come le lucertole, ha detto qualcun altro. No, no – ha spiegato la persona che aveva portato l’alga – questa è molto più vecchia. Ha circa 400 milioni di anni. Mi sono girato verso la mia amica. Sei sicura? Ha annuito. Era sicura, anno più anno meno. Allora ho guardato di nuovo la bottiglia. Mi sentivo quasi in soggezione. Si chiama Isoetes velata, ha aggiunto l’amica. Varietà sicula. L’alga, nel frattempo, se ne stava assorta nei suoi pensieri.
Abbiamo bevuto un aperitivo, abbiamo parlato, abbiamo mangiato una pizza. E intanto la piccola alga, matriarca di noi esseri viventi, approdata dal mare sconfinato dell’era paleozoica fino a una bottiglietta di PET riciclabile, se ne stava placida nell’acqua. Proprio come ha fatto per milioni di anni, mentre intorno a lei si frantumavano continenti, si sprigionavano vapori, ruotavano senza fine vaste correnti oceaniche, nascevano spugne, scorpioni, vermi, animali con cinque occhi, coralli e muschi e meduse e lunghi tenaci millepiedi e pesci con le pinne che annaspavano sul fango delle rive. La piccola alga era già vecchia nel periodo Triassico, aveva già visto tutto quando il mondo si stupiva per l’apparizione dei protorotirididi nel Carbonifero. Figuriamoci poi il Giurassico e il Cretaceo, figuriamoci le angiosperme con i loro fiori, ah, la bellezza dei fiori. Il gusto della pizza. I primi primati. Gli australopitechi. La bicicletta. Quel brutto ceffo dell’Homo abilis. L’arco e le frecce. Il tubo di scappamento, le sciarpe, i romanzi a puntate. Il coltellino svizzero. Internet, sì, nella seconda epoca del Quaternario è comparso anche internet. Ma prima ancora, è saltato fuori il polietilene tereftalato. E nel 1973 Nathaniel Wyeth ha inventato le bottiglie di PET.
image1-2A questo punto le vie della Isoetes e della bottiglia si sono incrociate, come succede in tutte le storie. E qualche ora dopo sono arrivato anch’io. Naturalmente, la Isoetes è una remota discendente delle sue antenate che popolavano i mari primordiali, ma è riuscita a invecchiare senza troppi cambiamenti. Ecco quindi un modo poco dispendioso per viaggiare nel tempo: mettersi davanti alla Isoetes velata (varietà sicula), fissare lo sguardo, cancellare tutto il resto – la pizza, la casa, la luce elettrica – e immaginare che quello stesso piccolo filamento avremmo potuto incrociarlo 400 milioni di anni fa, così come lo stiamo vedendo ora.
IMG_9781Lo studioso Renato Giovannoli precisa che l’ammissione della possibilità di un viaggio a ritroso nel tempo, nella scienza o nella fantascienza, avrebbe conseguenze devastanti sul piano cosmologico, e per lo stesso “tessuto logico” della realtà. Da sempre gli scienziati e gli scrittori si trovano alle prese con paradossi insormontabili; Giovannoli li analizza meticolosamente fino a intravedere una soluzione nella pluralità dei mondi. Ma si può tentare anche la strada dell’empatia e dell’immedesimazione. Il viaggio nel tempo non è reale? Certo, così parrebbe, ma chi dice che per qualche secondo, per un’infinitesima frazione di secondo, i miei occhi non abbiano scrutato davvero nelle profondità del Paleozoico?
70a3e084f90e85938540b60de2f51840Non c’è nemmeno bisogno di un’alga preistorica, basta una notte serena. Di recente mi è capitato di guidare la notte e di avvistare, sospesa sulle montagne, una falce di luna immensa, limpida e luminosa, come se fosse a pochi metri dalla terra. In questi casi, a volte, parcheggio la macchina e muovo qualche passo fuori dal ciglio della strada, inoltrandomi nei campi o nei boschi. Quando non vedo più tracce della civiltà contemporanea, mi fermo. Intorno a me ci sono arbusti, un masso di pietra, i rami spogli di un faggio. Allora, alzando gli occhi al cielo, guardo la luna.
In questo momento, che differenza c’è tra me e un mio antenato del XIX secolo? Che cosa mi distingue da un uomo del medioevo? La situazione – immobile, ai margini di un bosco, la luna sopra la testa – mi rende contemporaneo di Giulio Cesare, di Napoleone Bonaparte, di un contadino cinese dell’anno mille.
La luna ci accompagna fin dall’inizio. Passano le epoche, cambiano i popoli e la tecnologia, ma il gesto di alzare gli occhi ci lega inestricabilmente ai nostri progenitori. Siamo certi che davvero, per un secondo, non si crei un cortocircuito, una sovrapposizione di universi, siamo certi che per un istante io non possa trovarmi davvero in un’altra epoca? E se tornassi verso la strada e incontrassi solo una mulattiera? E se nessuno sapesse più niente delle automobili e dei computer?

La fantasticheria dura per un minuto, poi mi rendo conto che sono sempre io, soltanto io, Andrea Fazioli, con tutta la mia inevitabile andreafaziolitudine, e che questa è ineluttabilmente una sera di marzo del 2017. Aveva ragione Eraclito l’Oscuro, quando nel 500 avanti Cristo ammoniva: Non scenderai due volte nello stesso fiume. La nostra umanità ci vincola al tempo, siamo inchiodati alla nostra identità, al qui e ora di questa epoca, e sentiamo il tempo che lentamente muta e consuma tutto ciò che conosciamo, compresi noi stessi. Nemmeno la luna è più la stessa luna che guardavano Giulio Cesare o il contadino cinese dell’anno mille. Così dice Borges in una breve lirica: C’è tanta solitudine in quell’oro. / La luna delle notti non è la luna / che vide il primo Adamo. I lunghi secoli / della veglia umana l’hanno colmata / di antico pianto. Guardala. È il tuo specchio. Lassù non ci sono mondi fantastici, ampolle di senno perduto o conigli giganti, ma ci siamo noi, le nostre sofferenze, le speranze che nei millenni si sono accese in ogni singolo uomo e in ogni singola donna che almeno per un istante, nel corso di una vita, abbia alzato gli occhi verso la luna. Guardiamola. È il nostro specchio.
image1-2 copia 3Nonostante le catene del qui e ora, è forte nell’uomo la tentazione di correre più in fretta del tempo, o di fermarlo per poterlo assaporare. Perciò sono nate mille storie di fantascienza, mille sogni paradossali. È così fin dal Big Bang, quando l’universo è sbucato dal nulla ed è subito caduto nel tempo, è così fin dall’attimo del nostro concepimento, che è come un big bang personale. Tuttavia, possiamo incontrare una distorsione del tempo quando meno ce l’aspettiamo. A me è successo tre volte in questi giorni: prima con l’alga preistorica, poi con la luna invernale sulle montagne e infine – insospettabilmente – facendo la spesa. Infatti anche alla luce artificiale di un grande magazzino potete vivere un’esperienza di crono-distorsione. Basta che all’improvviso, nel settore dei dolci, vi troviate davanti una fila di panettoni, un mucchio di frittelle di Carnevale e un coniglio di cioccolato che vi scruta con i suoi occhietti folli. Allora di sicuro vi fermerete. Natale, Carnevale, Pasqua. Con un soprassalto interiore, vi chiederete: ma che giorno è? Basta poco. Pochissimo. E state già viaggiando nel tempo.

IMG_9771

PS: Il brano Winter moon venne inciso dal saxofonista Art Pepper nel 1980 per l’album omonimo, pubblicato dalla Galaxy nel 1981. Pepper, nato nel 1925, sarebbe morto l’anno successivo. Aveva sempre desiderato suonare con un’orchestra di archi, e fu lieto di poterlo fare in un periodo tranquillo della sua carriera: negli ultimi anni, pur segnato dalle ferite della droga, del carcere e dell’internamento terapeutico, era tornato a lavorare con una certa serenità. Il suo suono è sempre elegante, con un rintocco doloroso. Le note lunghe dei violini tratteggiano l’oscurità del cielo invernale; le vibrazioni del basso costruiscono la struttura su cui, come un fantasma lirico, si arrampica il contralto di Pepper, su, su, fino a disegnare il contorno della luna. Insieme a lui Stanley Cowell (piano), Howard Roberts (chitarra), Cecil McBee (contrabbasso), Carl Burnett (batteria) e gli archi diretti da Bill Holman, che è pure l’arrangiatore del brano, composto da Hoagy Carmichael negli anni Cinquanta.

PPS: A chi ama la fantascienza consiglio caldamente la lettura dell’opera di Renato Giovannoli, intitolata La scienza della fantascienza e pubblicata in edizione riveduta e aggiornata da Bompiani nel 2015 (la prima edizione risale al 1991). Ho citato anche il frammento 91a di Eraclito (lo trovate in I frammenti, Marcos y Marcos 1989) e la lirica La luna di Jorge Luis Borges, tratta da La moneda de hierro, una raccolta del 1976 (in Tutte le opere, Mondadori 1985). Ecco il testo originale: Hay tanta soledad en ese oro. / La luna de las noches no es la luna / que vio el primer Adam. Los largos siglos / de la vigilia humana la han colmado / de antiguo llanto. Mirala. Es tu espejo.
Il dipinto è di René Magritte: Le maître d’école (1954).

PPPS: Grazie ad Alice per l’Isoetes velata (varietà sicula).

Copia di image1-2                           image1-2 copia 2

Condividi il post

14 pensieri su “Winter moon

  1. Grazie per questo post! 😍 L’ho letto come un romanzo di fantascienza! 😂 Ho ingrandito la foto dell’isoetes e ho cercato anch’io di viaggiare con la fantasia… Molto bella anche la foto finale: siamo proprio un po’ pazzi, noi esseri umani! 😜

  2. Gentile Andrea
    Quando lei racconta della sua passeggiata notturna, parafrasando, subito ho pensato “all’anno della volpe”.
    La Luna d’Inverno di Art Pepper, una luna che rischiara e chiude una vita drammatica, è la luna di Leopardi: 1837 – 1982, ecco un viaggio nel tempo.

    1. Gentile Enrico,
      la ringrazio molto per il suo pensiero e – soprattutto – per il collegamento fra Art Pepper e Giacomo Leopardi. Due persone sensibili, geniali, separate da più di cent’anni e da un oceano, divisi da lingue, culture e mezzi espressivi differenti. Ma quando guardano la luna provano il medesimo struggimento.

      1. … vorrei ritornare su “l’anno della volpe”.
        Io mi riferivo a “l’anno della lepre” di Arto Paasilinna creando (almeno questa era l’intenzione) un cortocircuito tra la sua fermata in campagna e la passione di Contini/Fazioli per le volpi.
        Venendo a noi, quando Vatanen -il protagonista di Paasilinna- scende dall’auto, compie uno scarto, supera un confine invisibile: tutto si capovolge, cambia.
        A mio parere è lo stesso scarto che fa sì che sostituendo la Z con S si compia un gesto creativo, artistico.
        Vatanen superando un confine diventa personaggio, Alice attraversa lo specchio e crea un nuovo mondo.
        Invertendo una lettera si capovolgono le cose e si entra in un altro mondo, si viaggia nel tempo, nello spazio, …

        1. È affascinante il discorso dello scarto creativo: individuare il momento in cui si supera il confine, in cui si passa la frontiera tra due mondi. Nei romanzi di Paasilinna spesso i protagonisti vivono questa esperienza tra civiltà e natura (penso anche a Il bosco delle volpi, tanto per restare in tema). Secondo me questa esperienza, più o meno evidente, si cela in ogni narrazione: lo specchio di Alice, l’armadio delle Cronache di Narnia, la cliente misteriosa nell’ufficio dell’investigatore privato, il giorno in cui un vecchio lupo di mare prende alloggio alla locanda del padre di Jim Hawkins. E forse, chissà, anche una Z scritta al rovescio… e una piccola alga preistorica in una bottiglia di PET. Viaggiare da un mondo all’altro: questo è leggere (e scrivere). Buona domenica!

  3. Mi è piaciuto tantissimo il modo in cui immagini la storia della piccola alga dalla preistoria ai giorni nostri, è una cosa che dà i brividi, a pensarci. Ma le isoetes di questa varietà sono rare? Si possono comprare?

    1. Grazie, Ilaria. Credo che l’alga si possa comprare, sì. Per i dettagli dovrei chiedere alla mia amica; comunque, dando un’occhiata su internet, ho visto che i prezzi non sembrano proibitivi.

  4. Che sogno sarebbe viaggiare nel tempo! Anche se… pensandoci bene, noi non viaggiamo già nel tempo? Non c’è bisogno di avere la piccola alga, basta immergersi nelle tue parole, Andrea, oppure fare come dice Enrico: ascoltare la musica romantica di Pepper e pensare alla parole di Giacomo Leopardi: “Che fai tu, luna in ciel, dimmi che fai, silenziosa luna?” Ciao ciao!

  5. Bel post, complimenti! L’ho letto in treno e non mi sono accorta del viaggio!! Solo una domandina, però, se posso: perché la tua amica si e presentata con un’alga preistorica? Se posso chiedere!!! 😂😂😂

    1. Grazie, Sandra! L’alga era soltanto di passaggio a casa mia. La destinazione finale era un acquario. Ora c’è un pesce rosso fortunato che sta nuotando nell’era paleozoica…

  6. Oh Andrea non hai pensato invece all’alga come un’eroina? Insomma ormai tutto cambia sempre più in fretta e sempre più veloce mentre lei è riuscita ad attraversare intere epoche senza venir nemmeno scalfita! Ed è solo un’alga! Tante volte sono le cose semplici a essere vincenti…
    Comunque non sei il solo,anche io fantastico sulle connessioni spazio-temporali e lo trovo molto affascinante;)

    1. Hai ragione. La storia dell’Isoetes è anche un’avventura che celebra la resistenza, la capacità di sopportare i cambiamenti senza venire meno alla propria natura. Sono convinto che imparare a essere semplici – nel senso profondo e non superficiale del termine – è la chiave che permette pure a noi di percorrere il mondo con fiducia, senza cadere nelle trappole dello sconforto. Quanto alla fantasticheria… è un modo per allargare la visione, per vivere altre vite e altri mondi. Certo, alla fine siamo sempre qui e ora (è bene non dimenticarlo). Ma per me è importante prestare attenzione anche a ciò che non si vede, o a ciò che appartiene all’immaginazione, come le connessioni spazio-temporali più strampalate…
      Un caro saluto!

Rispondi a Lea Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.