Esco di casa alle quattro del mattino, faccio qualche passo e incontro una chiazza di vomito sul marciapiede. Per qualche secondo rimango fermo a guardarla. Mi sembra quasi una creatura viva, che possa contraccambiare il mio sguardo. È una sostanza semipastosa di colore bruno-verdastro, nella quale galleggiano brandelli più scuri e anche qualcosa di arancione (forse dei resti di carote?). Il vomito possiede la capacità di suscitare empatia: per un attimo anch’io devo soffocare un conato, quando mi arriva un effluvio di bile, succhi gastrici e birra, misto a un vago odore di dignità perduta. È un riflesso potente: perfino mentre digito queste parole sulla tastiera del computer, devo tenere a bada i miei recettori esterni, perché non portino l’ordine di rilascio ai neuroni nel tronco dell’encefalo.
Be’, per il momento siamo al secondo paragrafo e non sto vomitando. Nemmeno voi, spero. Dopo aver cautamente aggirato la chiazza, mi dirigo verso il centro della città, che da lontano si annuncia con un boato. È la notte tra sabato e domenica. Bellinzona è blindata e sorvegliata da squadre di agenti della sicurezza: le notti del carnevale Rabadan sono lunghe e affollate. In passato mi è capitato di viverle nell’ordine giusto, cominciando cioè dalla sera e arrivando fino alle ore piccole; quest’anno mi sono detto: perché non fare due passi fra le quattro e le cinque del mattino, per afferrare l’atmosfera del Rabadan con mente fresca? Magari potrei finalmente comprendere quella scintilla, quell’accensione segreta di allegria che ancora non sono riuscito a cogliere, pur avendo partecipato a decine di carnevali.
Prima di avvicinarmi al recinto che chiude la città, incrocio una coppia con il costume abbinato: Coniglio e Coniglia, con le orecchie lunghe, un batuffolo di coda e i baffi dipinti sulle guance. Stanno litigando, mentre camminano ai due lati opposti della strada. Provo un certo imbarazzo mentre passo in mezzo. Coniglia sta accusando Coniglio di essere troppo geloso e nessuno dei due risponde al mio cenno di saluto. Qualche minuto dopo incontro una ragazza esile e bionda, con un costume scintillante di lustrini. Se ne sta accasciata addosso a un muretto e ha gli occhi un po’ vacui, perciò oso chiederle: Tutto bene? Lei mi guarda e risponde stancamente: Vaffanculo.
Proseguo verso il centro. Vaffanculo, penso, che bell’inizio. Ecco cosa succede a parlare con le ragazze esili e bionde intorno alle quattro del mattino. Vaffanculo. Niente da dire, me lo merito. Prima di partire mi sono documentato leggendo Zygmunt Bauman, che usa addirittura la parola fratellanza. Dopo aver sottolineato come il carnevale tenga a bada le ansie dell’individualità con una gioiosa marea di identicità indifferenziata, Bauman spiega infatti che la funzione (e il potere di seduzione) del carnevale liquido-moderno risiede nella rianimazione momentanea di una fratellanza sprofondata nel coma. Carnevali di questo tipo sono affini a “danze della pioggia” e sedute spiritiche, in cui la gente si tiene per mano ed evoca il fantasma della comunità deceduta. Be’, non dico che volessi tenere per mano la esile ragazza bionda, ma non era nemmeno mia intenzione evocare un “vaffanculo”. È andata così, non ci pensiamo. Mentre mi unisco alla fratellanza che invade le vie di Bellinzona, rifletto sulla forma di questo divertimento. Secondo me si sviluppa in due nodi di tensione:
1) Tensione fra proiezione esterna (PE) e discesa nell’intimità (DI);
2) Tensione fra violenza sfrenata (VS) e desiderio profondo di relazioni (DP).
1) PE / DI
La Proiezione Esterna sta nel modo in cui ci stacchiamo dal nostro io, lasciandoci condurre dal ritmo della musica e delle luci, rassicurati dalle canzoni che si ripetono uguali anno dopo anno. Poi c’è la meraviglia, l’incanto di vedere le strade di ogni giorno animate da maschere, volti dipinti, animali antropomorfi, personaggi storici, mostri, fate. Il carnevale ci spinge a uscire, a muoverci. Forse, a pensarci bene, anche la chiazza di vomito si può annoverare fra le proiezioni (o deiezioni) esterne.
La Discesa nell’Intimità, dopo una certa ora, s’insinua negli individui dispersi: li vedi sulle gradinate, o appoggiati contro un muro come la ragazza del vaffanculo. Non sono semplicemente ubriachi; credo che in un angolo del loro inconscio si siano accorti che, nonostante le reiterate danze della pioggia, la siccità non accenna a diminuire. Qualcuno si chiude in una cabina telefonica. Un ragazzo vestito tutto di nero se ne sta accovacciato con la testa fra le mani accanto a una coppia che si bacia solennemente. Un uomo di mezza età è rimasto bloccato nell’autosilo e da dietro la grata implora un agente di farlo uscire. Non posso, risponde quello. L’uomo allora si stringe nelle spalle e dice Tanto fra poco finisce tutto, no? Poi torna nelle viscere della terra.
2) VS / DP
La Violenza Sfrenata sono le risse, ma non solo. A un certo punto mi vengono addosso quattro o cinque energumeni che se le danno di santa ragione, tanto che rischio di prendermi qualche pugno anch’io. Gli agenti della sicurezza bloccano i più facinorosi, in particolare uno travestito da frate e un altro che, con un abito da leopardo, grida Ti ammazzo, zio, giuro che ti ammazzo all’indirizzo di un uomo con il costume zebrato (il che rispetta in un certo senso le leggi di natura). Il carnevale può spaccare le amicizie, incrinare o frantumare le coppie. Se non prendi questo treno – sibila al telefono un uomo stempiato, coperto da un poncho messicano – con me hai chiuso, no, dico sul serio, hai chiuso! In generale, c’è un gran perdersi e telefonarsi e ritrovarsi per poi perdersi di nuovo. Nelle ore che precedono l’alba, con il cumulo crescente di rifiuti, aumenta il Desiderio Profondo di avere qualcuno accanto. Una ragazza in coda al chiosco delle piadine chiacchiera con un gruppo di amici, mentre specifica gli ingredienti e nello stesso tempo digita due messaggi, che riesco a leggere da dietro le sue spalle. SMS.1: Sam ho tanta voglia di vederti; SMS.2: Vorrei davvero dormire abbracciata con te.
In questo incrocio di tensioni, c’è chi tenta di prolungare la notte. Dopo le tende, dopo le Guggenmusik, restano i locali notturni come il Chupito o La Clava. Dai ragazzi – supplica uno vestito da pollo, con il pomo d’Adamo che si muove frenetico – non fate i bastardi, dai, nemm al Chupito – continua a ripetere, come in una cantilena – nemm al Chupito, nemm al Chupito, oh, raga, dai, nemm al Chupito. Sono gli ultimi sussulti della festa, gli ultimi abbracci prima del disgregamento, quando ognuno camminerà da solo sulle strade vuote che portano alla quotidianità. E io, che sono qui nel cuore della festa? Per me è diverso: sono già solo. Mi si avvicina un orso rosa, mi chiede se ho una sigaretta. Te la pago – mi assicura – te la pago due franchi, eh, mica te la voglio rubare. Gliela venderei volentieri, ma non ne ho. Non c’hai neanche una canna, eh? No, mi spiace. E l’orso rosa si avvia sconsolato.
So che il carnevale ha molte facce. Forse io non sto contemplando la migliore. Ci sono i bambini che gettano i coriandoli – anch’io mi travestivo da cowboy – ci sono le famiglie, i nonni, i risotti in piazza. Ma credo che pure in queste manifestazioni diurne, per così dire, si celino le tensioni che ho elencato sopra. Il carnevale presenta sempre una frattura tra esteriorità (anche solo nel concetto di maschera) e interiorità. Non manca neppure la violenza, intesa come trasgressione e improvvisa interruzione della routine, così come il desiderio profondo di relazione, che ci rende difficile essere e restare soli mentre fuori echeggiano i petardi e le fanfare.
Entro ed esco dalle tende, percorro il viale cosparso di immondizia. Sempre di più la solitudine mi avvolge come un telo impermeabile, o meglio, come un blocco di ghiaccio che mi separa dal mondo. Sono sobrio, indosso un paio di jeans, una giacca, una sciarpa. Non conosco nessuno. La mia sensazione supera il qui e ora, mi fa percepire tutto l’irrimediabile peso del mio essere me stesso. Mi accorgo che sto accelerando il passo, come se la velocità potesse vincere l’angoscia. Sorprendo stralci di conversazione: aneddoti, saluti, beghe fra innamorati, qualcuno che si lamenta di avere i coriandoli nella birra, scoppi di risate.
Per terra scorgo un paio di ali rosse, abbandonate come un cuore infranto. Penso alla fatina o alla farfalla o al diavoletto che le ha smarrite. Senza volare, come farà a uscire da questo recinto? Come combatterà la sua lotta contro la solitudine? Quale via misteriosa percorrerà per trovare una mano tesa, una persona con cui condividere la fatica di vivere?
Anch’io sperimento sulla mia pelle le tensioni del carnevale. Soffocato dalla folla, chiuso nel ghiaccio, mi sento colmo di violenza. Quando l’orso rosa torna alla carica, dicendo che può pagarmi anche tre franchi, mi viene voglia di prenderlo a sberle – ne sono io stesso sorpreso, ma è così (VS). Nello stesso tempo ho nostalgia di tutte le persone che conosco, e ho la sensazione di esserne ormai lontano, di essere definitivamente murato nella mia identità (DP). Fuori di casa, fuori dagli orari normali (PE), cerco rifugio nel gesto solitario del camminare, affinché mi ripari dai pensieri più oscuri (DI).
Esco dai confini del Rabadan, lasciandomi indietro le sbarre, come una scimmia che fugga da uno zoo. Mi allontano dalla cittadella blindata, ma la tristezza non mi abbandona. Arrivato a casa – il quartiere è immerso nel sonno – metto gli auricolari e ascolto il sax di Sonny Rollins. Il suo assolo in Serenade mi pare come un grido, come un riassunto di ciò che si annida in fondo all’anima. Rollins ha inciso questo brano a 76 anni: benché la sua voce ruvida sia carica di esperienza, lui è ancora capace di scherzare, con eleganza e perfino con una punta d’impertinenza. Il brano conserva la delicata tenerezza dell’originale, composto da Giovanni Drigo ed eseguito il 10 febbraio del 1900 al palazzo degli zar a San Pietroburgo. Grazie a Rollins la musica si arricchisce di ironia, di swing, e diventa per me un canto di dolore e speranza, posto come suggello a questa notte di coriandoli nella birra e ali di farfalla smarrite.
PS: Da sempre il carnevale è una circostanza che mi affascina, come scrittore. Perciò ogni tanto torno a esplorarlo, a indagarne le luci e le ombre. Avevo già parlato del Rabadan nel romanzo L’uomo senza casa (Guanda 2008). Al momento il libro è esaurito pure in edizione tascabile, ma Guanda lo ripubblicherà fra pochi giorni, con una nuova copertina (ne riparlerò anche qui sul blog).
PPS: Ecco la formula che ho cercato di mostrare in questo articolo (dopo la somma delle due frazioni-tensioni, ho aggiunto un differenziale-imprevisto, perché a carnevale non si sa mai che cosa possa accadere; AC = Atmosfera Carnevale).
PPPS: Serenade si trova nel disco Sonny, please (Doxy 2006); Rollins l’ha interpretata regolarmente fino a ottant’anni e oltre nei concerti dal vivo, come quello da cui ho preso il video che vedete sopra. Il primo video presenta invece Gerry Mulligan al sax baritono, insieme ad Art Farmer (flicorno), Bob Brookmeyer (trombone), Jim Hall (chitarra), Bill Crow (basso), Dave Bailey (batteria); è tratto dall’album Night Lights (Philips 1963). Il brano s’intitola Morning of the carnival; l’originale – Manhã de Carnaval – venne scritto nel 1959 dal compositore brasiliano Luiz Bonfá con le parole di Antônio Maria per il film Orfeu Negro del regista francese Marcel Camus.
PPPPS: Le parole di Bauman provengono da L’etica in un mondo di consumatori, pubblicato da Laterza nel 2010 con la traduzione di Fabio Galimberti.
Bellissimo post… è un po’ agghiacciante, anche. Però mi ha fatto ridere dall’inizio alla fine! È possibile avere tutte queste reazioni insieme, commozione, ilarità, riflessione esistenziale, ammirazione? È tanta roba! 😂
Possibile sì, perché è scritto benissimo. ❤️ La prossima volta però non andare da solo, scrivilo sul blog e vedrai che qualche lettrice o lettore ti accompagnerà! 😉
Grazie, Ilaria, sei molto gentile. Non penso che oserei chiedere ai miei lettori di accompagnarmi. O meglio, già mi accompagnate leggendo le mie divagazioni…
Buona serata!
ciao andrea…. ero in giro anch’io… (ci siamo schivati per un pelo) però nessuno mi conosceva perché ero mascherato da mamuthones sardo… (metti mamuthones in google e vedi di cosa parlo) e nessuno mi ha baciato… anzi qualcuno mi ha detto che l’angoscia era un piacere a confronto con l’immagine che veicolavo… ahahahah..
sono uscito dalle 2 alle 5 sabato notte e ho avuto le stesse tue sensazioni-emozioni… compreso l’odore di vomito (però senza conati) forse perché sono più avvezzo alle porcherie in quanto le disegno… ma tant’è!!! non ho evocato dei vaffanculo ma paura… e me la sono ghignata sotto la maschera e ben contento che nessuno mi vedeva!!! Ho pensato che il carnevale senza “carne non vale” e chiaramente non intendo la bistecca… ebbene camminando sono arrivato nella mia isola-atelier lasciando ai signori del Rabadan il merito di aver distrutto una festa dove la trasgressione poteva magari rabbonire delle esistenze da gregario…
adesso mi sembra invece che alimentano una specie di degrado sociale (parlo appunto dei frequentatori delle notti dei “raté de la revolte”)… ciao e buona vita.. nando
Ciao Nando, grazie per il pensiero! In effetti probabilmente ci siamo schivati per un soffio; anche perché ho cercato in google e un incontro con un mamuthones me lo ricorderei! La prossima volta mi procurerò anch’io una maschera: il fatto di essere “in civile” mi metteva a disagio, e spesso mi attirava sguardi preoccupati (anche da parte degli sgherri della sicurezza). L’anno prossimo possiamo metterci d’accordo e uscire insieme: due mamuthones sono meglio di uno…
Ti confesso che altre volte ho attraversato il carnevale provvisto di una buona dose di carburante alcolico; stavolta, da sobrio, ho conosciuto un soprassalto di solitudine che mi ha gelato il cuore. Sono d’accordo sul passaggio da trasgressione a degrado sociale, sebbene non so quanto tale involuzione si possa controllare o contrastare. Di certo non aiuta il fatto di essere tutti chiusi in una grande gabbia, scrutati e sorvegliati, con il centro della città blindato e sottratto ai cittadini. Per me non si dovrebbe mai impedire l’accesso a una via o a una piazza, in nessun periodo dell’anno, per nessuna ragione. Ma io sono solo un camminatore solitario che non sa niente di affari, politica e “questioni di sicurezza”…
Ti vorrei invitare a presentare un tuo libro.
Sarebbe una serata interamente dedicata alla poesia più graffiante.. così, come sai raccontare la vita.
Ti andrebbe?
Spero di si.
Paola
Buonasera Paola! Volentieri possiamo fissare un appuntamento. Scrivimi magari all’indirizzo info@andreafazioli.ch, così ci accordiamo sui dettagli. Grazie, a presto!
[…] Eppure c’è chi mi liquida sempre con un semplice “odio il Carnevale”, “una stupida festa per bambini” e non sa niente di quanto sia importante appena attraversi il confine e la lingua è tedesca. Un po’ colpa mia anche che dico da decenni di voler andare a Köln e poi a Köln non vado mai. Colpa mia che mi dimentico sempre bene di spiegare cosa abbia fatto Sant’Ambrogio. Poi conosco anche la tiritera del divertirsi a tutti i costi che palle. Sapendo che ci si annida la solitudine, dentro (qui un interessante punto di vista). […]
Grazie per la citazione. In effetti, il senso del carnevale può variare molto secondo le culture e le tradizioni; nelle città della Svizzera tedesca è diverso rispetto alla Svizzera italiana (non sono un esperto, ma così mi dicono). Suppongo che in altri luoghi si presenti con caratteristiche ancora diverse. È una ricorrenza colma di paradossi e di implicazioni simboliche; certo non la definirei una “festa per bambini”.
È un racconto che mi ha scombussolata tutta, davvero un grande grande bravo! Prima di tutto mi ha fatto molto ridere, poi mi ha fatto riflettere e alla fine mi è pure venuta la lacrimuccia! 💧😍
Bravo e facci sapere quando uscirà questa nuova edizione del libro “L’uomo senza casa”! 📚
Grazie mille, Maria Luisa. Vi terrò aggiornati sull’uscita del romanzo, promesso!
Sono una donna di 42 anni, mi piace da sempre fare carnevale, ma non so se è per l’età o perchè il carnevale è cambiato, ma mi sento stanca…mi sento diversa nel festeggiarlo….triste nel vedere tanta bella gioventù bruciata…a carnevale ci son sempre stati gli ubriaconi, pure io bevo, ma così tanti giovani che si bevono gli anni migliori della loro vita mai visti….
Treni alle 21 pieni di voglia di divertirsi, ma la voglia di divertimento è nelle loro bottiglie di super alcolici tenute strette e poi abbandonate vuote in cocci per le strade prima di entrare nella città dei coriandoli….
Triste perchè sono una mamma di due bambine che prima o poi mi chiederanno di andare a festeggiare e non saprei cosa dire per riuscire a non farle entrare in questa festa….
In conclusione festeggerò sempre il carnevale? Non so…..
Gentile Simona,
grazie mille per il suo pensiero e la sua testimonianza. Il carnevale è una festa a doppio taglio; questo ho cercato di scrivere sopra. Ha una tradizione antica, ed è ricca d’implicazioni simboliche. Ma è anche una festa di paradossi feroci: allegria e solitudine, risate e sporcizia, musica e violenza. È possibile scegliere, è possibile secondo me non rifiutare al festa ma nello stesso tempo non accogliere il peggio. Ma è anche possibile non celebrare il carnevale (come in fondo credo faccia la maggior parte delle persone) e vivere sereni. Ciò che davvero mi infastidisce è vedere il centro della mia città blindato per sei giorni come una prigione, o come una gabbia bestie feroci. Ma a quanto pare, dicono che sia inevitabile.
Molto bello! Parlare del carnevale nel modo in cui l’hai fatto mi sembra proprio un modo riuscito di rispondere alla tensione tra il desiderio di lasciarsi coinvolgere e la discesa nell’intimità della scrittura.
Grazie Francesco! Sei riuscito a cogliere e a riassumere perfettamente la tensione che mi ha mosso nella scrittura.
Suonando in una guggen ho passato dal giovedi al martedi a Bellinzona.. non so se riuscirei a descrivere meglio di come hai fatto tu, tutto ció che davvero è diventato.. in bene e nel male neh..
Ciao Jaja! Sono lieto che anche chi ha attraversato il carnevale da cima a fondo possa riconoscersi nella mia stralunata esplorazione mattutina… nel bene e nel male, certo. Buon pomeriggio!
Caro Andrea,
è la prima volta che capito sul tuo blog. Ho già sentito parlare più volte e molto bene di te, da amici tuoi parenti e anche da amici che ti hanno letto e sono rimasti positivamente impressionati e affascinati dal tuo scrivere.
Ho letto questo post perché un amico lo ha condiviso su Facebook e il titolo mi ha incuriosito. Un titolo effimero (perdonami l’espressione) che è però riuscito a suscitare in me quella necessaria curiosità che mi ha portato a leggere il tuo articolo.
Il contenuto però è tutt’altro che effimero è, anzi, lo specchio di una società che, descritta da te in maniera eccelsa nel corso della tua passeggiata, è sempre più povera di valori (e su questa parola si potrebbe a lungo disquisire) e i cui componenti (le varie persone che hai incontrato e descritto) sono sempre più, nella loro profondità intima, sole. Trovo che il carnevale sia una sorta di paradosso: una festa il cui scopo non è altro che l’affermazione superficiale di una felicità, di un’allegria epidermica. Un bombardamento esterno e temporaneo di energia “ad effetto” volto a cancellare per qualche ora la fiacchezza morale e l’insicurezza vitale che si ritrova nelle figure che man mano descrivi.
Il ritorno alla realtà è palesemente drastico e violento.
La festa ora esauritasi non fa altro che mostrare in modo ancor più tangibile la condizione reale dell’uomo. Il contrasto è troppo netto, evidente.
Non siamo forse di fronte ad un umanità vestita da zebra ormai braccata da un ghepardo irreale, apparente? In fondo è la legge della natura, alcune specie sopravvivono altre invece no. E forse l’uomo è una di queste…
Caro Andrea,
ti ringrazio molto per il tuo pensiero, che approfondisce alcuni aspetti filosofici del mio testo e che mi fa riflettere. Hai perfettamente ragione, secondo me, quando scrivi che il carnevale è un paradosso: è sempre stata la sua natura, ha sempre avuto un’anima fatta di contraddizioni, fin dall’antichità. In qualche modo, è anche uno sberleffo alla morte, una risata per coprire il tempo che inesorabilmente passa. Naturalmente, finito l’impeto della follia, il tempo continua a passare e la morte è un po’ più vicina. Da qui la tristezza.
Ognuno poi, nel cuore della notte, può sempre alzare la testa e guardare le luci lontane delle stelle. Basta poco per vincere il frastuono (interno ed esterno) e per lasciare che le antiche domande risuonino dentro di noi. Ecco, paradossalmente, il carnevale può indurre anche a riflessioni sul valore dell’amicizia, sulla solitudine, sulla morte e sulla vita. In fondo, se siamo qui a scriverci sul blog, è anche un po’ merito del carnevale… diamogliene atto. A presto!
Stupefacente racconto sul senso del carnevale andato perso. Complimenti a Andrea Fazioli.
Grazie mille, Marina. È un racconto, sì, ma è composto interamente di fatti reali: sono uscito, ho preso nota nel mio taccuino e ho narrato le mie sensazioni, le mie emozioni, i miei pensieri, cercando di essere preciso. Buona serata!
Abitavo al quinto piano del palazzo Corbar sul viale della Stazione, quello dove sta il negozio San Giovanni. Si vede sulle immagini del carnevale. Prima abitavo a Ravecchia e anche lì si festeggiava un carnevale più piccolo ma che mi sembrava più bello. Gli anni sono passati. Abito a Ginevra.
Guardando le immagini del carnevale 2017 mi sembra sia diventato una ripetizione vuota di ciò che fu allora. Ma forse è perché sono diventato vecchio e ho perso quella capacità di divertirmi sempre come se fosse la prima volta. Il vomito, il rigetto mi vengono quando non credo più di poter partecipare autenticamente a quel bisogno di rivenire a una spontaneità priva di desideri di imporre il proprio modo di sentire le cose. Abitavamo non molto lontani quando eravamo piccoli, Andrea. Non ci siamo conosciuti. Questo carnevale mi ha permesso di conoscere une persona sensibile che con i suoi racconti sta suscitando uno scambio ricco e pieno di senso con varie persone. Evviva il carnevale, quindi, con il suo “rovescio della medaglia”!
Forse, oggi, funziona più come rivelatore di una perdita del senso simbolico delle cose e dell’umore. E del piacere di condividerlo anche con persone sconosciute. Franco
Caro Franco, grazie mille per il tuo pensiero. Sono lieto che le nostre piste possano incrociarsi qui, nello spazio virtuale del blog, dopo aver condiviso senza saperlo una vicinanza geografica. Sono d’accordo: il carnevale – con il suo rovescio della medaglia, con i suoi paradossi – è capace ancora di sorprenderci (nel bene e nel male). Con mio stupore, a partire del racconto di una profonda solitudine, ho ricevuto molti messaggi che volevano condividere proprio una solitudine simile alla mia. E questo gesto, la condivisione, il dialogo, l’incontro di narrazioni diverse, non si può mai dare per scontato. Di nuovo quindi ringrazio te, Franco, e tutte le persone che mi hanno scritto, anche in privato. Dopo il carnevale (quello ambrosiano finirà tra poco), a tutti l’augurio di una buona quaresima!
Mi è venuta voglia di lanciarti un coriandolo piuttosto scherzoso. E’ uno scritto di Donald W. Winnicott, psicoanalista inglese, sul tema della capacità di essere soli in presenza dell’altro: nascerebbe dal rispetto di questa dimensione, la solitudine, da parte del nostro “entourage” nei primi anni della nostra vita. Spesso con i suoi “vaffanculo” ci scaraventa in un’altra dimensione, più oscura, della solitudine: sentimento di non appartenere a nulla e a nessuno compensata qualche volta con tendenze additive di varia natura.
Ma, questo coriandolo, mi rendo conto, non è poi così colorato…
Lo diventa attraverso scritti come i tuoi che stimolano un’ascolto molto creativo.
Grazie per il “coriandolo”. Essere soli in presenza dell’altro o non essere soli insieme alla propria solitudine: sono due arti difficile, da esercitare con pazienza. Un cordiale saluto, buona serata!
Carnevale. Un momento che spacca il ritmo quotidiano di una vita. Spacca e nel contempo unisce i nostri io. Li fa esplodere in verità prigioniere in tutti noi.
Piazze, viali erette a ring e camere da letto. Passando dal piscio.
Uno spaccato del costretto quotidiano da altri costretti.
Illusi, necessitano.
Un momento vero pretende il suo giusto compimento. Bisogna farlo bene. Non per noi, non per gli altri. Per Lui. Il Bastardo mai sazio di gente e gesta rese vere da bar ormai ubriachi. Ti entra dentro, ti rapisce, ti rende immenso. Macchia il tuo onore e dignità. Facili prede di dileggi svenduti in tendine e capannoni falsi come Giuda.
È il suo momento. È lui che comanda. Un baratto che si ripete anno dopo anno.
Una volta circhi Romani pieni di bestie. Oggi umani travestiti da bestie senza travestimenti.
Grazie per il pensiero, Rossano. Buona serata!