La festa dell’Epifania mi fa riflettere su due dimensioni importanti nella mia attività di romanziere: lo sguardo e il movimento. La storia dei Magi che vedono apparire la stella e si muovono verso l’ignoto è anche, fra le altre cose, un buon riassunto di ciò che avviene nel processo di scrittura.
Qualche giorno fa è morto il critico d’arte inglese John Berger, nato nel 1926. Mi sono riletto Sul guardare (Mondadori 2003, dall’originale About looking del 1980) e Modi di vedere (Bollati Boringhieri 2004, a cura di Maria Nadotti). In Modi di vedere, Berger si sofferma proprio sul valore dello sguardo: Non credo che gli occhi siano soltanto gli organi della percezione ottica, pur essendo anche questo. Sto parlando di un’esperienza che è comune a tutti, soprattutto in rapporto alla natura. Anche se non è detto che si guardi la natura come faceva Cézanne, tuttavia, di fronte al mare o a un tramonto, a un semplice albero o a una cascata, ci si accorge che si sta guardando qualcosa che non coincide con ciò che si ha davanti agli occhi, che va oltre.
La tensione a uno sguardo che vada oltre la percezione delle cose è ciò che mi motiva a scrivere. Tale sguardo non ha per forza bisogno di panorami esotici o di esperienze sconvolgenti; quando è allenato e affinato (ma non è facile), riesce a trovare una sostanza misteriosa anche nelle persone in apparenza più ordinarie o nei paesaggi visti e rivisti. Lo stesso Cézanne è un buon esempio. L’autore Charles Ferdinand Ramuz ne parla in questo modo: Ogni pretesto è buono per Cézanne: piantato in questo paese, non va a cercare più distante. Accettazione, anche qui, dei dintorni così come sono; uso di questi dintorni. Altri si sono spinti fino in Oceania; lui ha trovato l’Oceania nel suo cuore. L’immobilità di Cézanne nasconde un movimento interno che ne ha fatto un precursore, un esploratore di vie artistiche prima di lui poco battute. Secondo me la capacità di osservare diventa veramente creativa quando si sviluppa in un gesto, quando segue un itinerario artistico ed esistenziale.
C’è una storia in cui si riassumono tutti questi aspetti: ed è la novella Boule de suif (1880) di Guy de Maupassant, a cui si ispirò l’autore americano Ernest Haycox per scrivere il racconto Stagecoach to Lordsburg (1937). A sua volta, il regista John Ford si ispirò a Haycox per creare il suo film capolavoro Stagecoach (1939), in italiano Ombre rosse. Come scrive Attilio Brilli, il film di Ford è un brandello della grande letteratura europea dell’Ottocento esposto al sole e al vento delle praterie.
Non svelerò la trama né delle novelle né del film (i racconti si trovano agevolmente, così come il dvd di Ombre rosse; i miei lettori nella Svizzera italiana potranno vederlo su grande schermo in occasione del cineforum “Ippopotami in vacanza”, domenica 8 gennaio alle 17.30, in via Lucino 79 a Breganzona).
La storia di Maupassant è ambientata nella Normandia del 1870, durante la guerra franco-prussiana, e racconta di dieci persone in fuga da Rouen su una diligenza diretta a Dieppe. Le prime righe comunicano un senso di fine e, nello stesso tempo di urgenza: Per giorni e giorni, i resti dell’esercito in rotta attraversarono la città. Non erano soldati, ma orde sbandate. Gli uomini, con la barba lunga e sporca, le uniformi a brandelli, camminavano con passo stanco, senza bandiera, senza capi. […] I prussiani – si diceva – stavano per entrare a Rouen.
Haycox riprende l’idea del viaggio in diligenza in una zona pericolosa: In quella regione non ancora riconosciuta come stato dell’Unione, era uno degli anni in cui i segnali di fumo apache si alzavano dalle cime delle montagne rocciose, e più di un ranch era ridotto ormai ad un quadrato di cenere annerita che si stendeva sul terreno. La partenza della diligenza da Tonto segnava l’inizio di un’avventura dall’incerto lieto fine…
La capacità di sguardo e di incisività psicologica di Maupassant è superiore a quella di Haycox, ma l’atmosfera western si addice bene al nucleo della storia: un pugno di persone che finiscono insieme per caso, lungo un percorso accidentato, e che finiranno per rivelarsi in maniera inaspettata.
Maupassant è più crudele nel mostrare le ipocrisie, i pregiudizi e i luoghi comuni di cui sono impastati i personaggi più virtuosi, quelli che si credono nel giusto. Ma anche Haycox, e poi Ford (con lo sceneggiatore Dudley Nichols), insisteranno su questo aspetto: l’itinerario, geografico ed esistenziale, fa uscire allo scoperto la sostanza di cui sono fatti uomini e donne. C’è chi sa guardare oltre l’apparenza e chi è irreparabilmente confinato nel recinto delle proprie rassicuranti convinzioni. Ognuno alla fine conquista qualcosa: l’amore, la morte, una nuova qualità di sguardo, la possibilità di cambiare vita o di tornare a rifugiarsi nella propria visione limitata.
Scrive il critico cinematografico Jean Wagner: Ogni opera d’arte è un itinerario, itinerario di un’avventura o itinerario di una scrittura. Ogni opera d’arte è una conquista, conquista di un linguaggio o conquista del mondo. Tra i più grandi, questo mondo è, nello stesso tempo, quello di un’avventura e quello di una scrittura. […] Questo è ancora più evidente per il cinema, forma d’arte condizionata, come la musica, dal tempo (al limite, l’itinerario esiste dapprima per lo spettatore che si sceglie un film, lo subisce e ne esce, x minuti più tardi, immutato o trasformato). Questa situazione raggiunge il suo punto critico nel western: questo genere ha per soggetto essenziale un momento storico (la storia è itinerario). […] Non stupisce che abbia attirato i cineasti: bastava loro sovrapporre il proprio itinerario all’itinerario naturale del western.
Ogni progetto artistico parte da uno sguardo e assume la forma di un movimento. Tale movimento può essere celato nell’immobilità, come nel caso di Cézanne, oppure mettere in scena un viaggio reale che, nella mente del lettore, diventa un viaggio dell’anima. Questo vale pure per Ombre rosse: su quella diligenza ci siamo anche noi, tanti anni dopo, sebbene forse non abbiamo mai visto la Monument Valley e di sicuro non abbiamo mai combattuto contro gli apache. Anche noi sentiamo il banchiere disonesto, interpretato da Berton Churchill, che dice: Lo sapete di che cosa ha bisogno la nazione? Di un presidente che sia un buon uomo d’affari! Passano gli anni, ma siamo sempre su quella carrozza, e sempre lo sguardo del narratore (o del regista) ci invita a soffermarci sui reietti: la prostituta, l’ubriacone, il bandito. Sono loro il cuore della storia. Ero un bravo cowboy, dice Ringo (John Wayne), ma successe qualcosa. Dallas (Claire Trevor) annuisce, perché pure lei sa come va il mondo: Già, è così. Succede sempre qualcosa. Fra di loro in quel momento nasce uno sguardo, e subito lo sguardo si fa movimento, speranza, avventura. Ancora una volta dalla visione – che sia una stella nei cieli d’oriente o una prostituta in una diligenza – nasce l’itinerario verso qualcosa di misterioso.
PS: Il racconto di Haycox si trova con il titolo La diligenza per Lordsburg (Sellerio 1992, con la traduzione di Teresa Paratore e una nota di Attilio Brilli, che ho citato sopra). Boule de suif di Maupassant è edito da Albin Michel (anche nella collezione “Le livre de Poche”) e, in italiano, da Vallardi (con la traduzione di Mario Picchi, che ha scelto il titolo Pallina). Le parole di Ramuz provengono da L’exemple de Cézanne. Cézanne le précurseur, a cura di Matteo Bianchi e Carolina Leite, edizioni Pagine d’Arte (agosto 2016). Il breve testo di Wagner è preso dall’opera collettiva, a cura di Raymond Bellour, Il Western. Fonti, forme, miti, registi, attori, filmografia (Feltrinelli 1973, edizione a cura di Gianni Volpi). Le immagini in bianco e nero le ho trovate su internet. Il particolare del quadro Boule de suif (Pierre Falké, 1934) è la copertina dell’edizione francese; il quadro che rappresenta la diligenza, pure intitolato Boule de suif, è stato dipinto nel 1884 da Paul-Émile Boutigny; l’immagine di Cézanne, Étude d’arbre (Le grand Pin), risale al 1890 ed è tratta dal volume edito da Pagine d’arte. La stella cometa l’ho raccolta nei cieli virtuali della rete.
PPS: Del cineforum “Ippopotami in vacanza” avevo già parlato qui, dopo la proiezione di Casablanca.
Andrea, non ci conosciamo ma ti ringrazio per tenermi compagnia tutte le settimane col tuo blog (oltre ai romanzi!!). Non ho mai visto “Ombre rosse”… tempo di recuperare! Buona Epifania!
Grazie, Sarah. Buona Epifania… e buona visione di “Ombre rosse”!
Siamo sulla diligenza. Tutti. Poi “succede sempre qualcosa”. Prima o poi la diligenza comunque arriva a destinazione, il viaggio finisce
È vero. Qualche volta si vorrebbe fermarsi, abbandonare il viaggio per accamparsi da qualche parte, dove ci sia buona acqua e buon cibo. Ma la diligenza non aspetta. La speranza è che, alla fine dell’itinerario, si possa comprendere un po’ meglio ciò che abbiamo visto: le persone sedute accanto a noi, il deserto, l’attacco degli indiani, l’arrivo nella misteriosa città di frontiera…
Trovo la sollecitazione molto suggestiva… ora mi solletica la curiosità per il racconto di Haycox (che non conosco). Mi viene in mente il viaggio di ritorno di Mario Rigoni Stern verso la propria terra dopo la tragedia dei soldati italiani in Russia: il Sergente nella Neve. Trova che abbia una certa assonanza? per l’attenzione del Sergente Rigoni Stern a ciò che incontra nella sua marcia dolorosa…
Grazie per gli spunti di riflessione!
Gentile Giuseppe, grazie per il suo riscontro. Sono lieto che abbia apprezzato la mia divagazione fra arte pittorica, cinema e letteratura (tutte cose unite dalla necessità di uno sguardo). Anch’io amo Mario Rigoni Stern: “Il sergente nella neve” ma anche le storie ambientate fra le sue montagne. Di sicuro Rigoni Stern è un esempio di sguardo attento e meticoloso, rivolto in particolare ai fenomeni della natura. Invece Maupassant (e poi Haycox e Ford/Nichols) si concentrano maggiormente nella descrizione dei personaggi e dei loro conflitti, pur accogliendo nella narrazione anche il respiro del paesaggio. Un cordiale saluto, buona Epifania!
Grazie per la risposta dettagliata! Anch’io ho letto quasi tutto di Mario Rigoni Stern: il mio preferito è la Storia di Tönle, ma anche L’ultima Partita a Carte; ora sto leggendo Il Bosco degli Urogalli. Parlavo ora con mio fratello e ci piace rispolverare i film belli del passato: osservavamo che, come dice nella risposta qui sopra, Ford è appassionato dei personaggi (e lo si nota con i magnifici attori caratteristi che individua e affianca ai protagonisti)… ci sentiamo di ricordarne alcuni memorabili di John Ford, magari qualche altro lettore li conosce o sarà incuriosito di andare a scovarli in Biblioteca: L’ultimo Urrà con Spencer Tracy – Com’era verde la mia Valle – Il Traditore – Un Uomo tranquillo con John Wayne e Maureen O’Hara – Missione in Manciuria con Anne Bancroft – La lunga Linea grigia con Tyron Power – La Nave matta di Mr. Roberts con Jack Lemmon ed Henry Fonda e James Cagney – L’Uomo che uccise Liberty Valance con James Stewart e John Wayne – poi tutti i personaggi che animano Sentieri selvaggi sono da incorniciare e credo li ameranno anche le persone che normalmente non apprezzano un film western della Frontiera.
Grazie a lei. E grazie anche a suo fratello: sono convinto che molti lettori apprezzeranno la vostra piccola guida per scoprire (o riscoprire) il cinema di John Ford. Un cordiale saluto, buon pomeriggio!
Ciao, Andrea,
sempre riflessioni emergono da quanto posti in rete.
Due, in particolare:
1- Lo sguardo: sarà perché non posso più usufruire dello sguardo visivo, da ormai vent’anni, ma trovo che tutti noi dovremmo dare più importanza di quanto accada alle persone vedenti con gli occhi, all’importanza dello sguardo interiore, quello che non si vede e che può portare molto lontano, pur rimanendo al computer della mia scrivania.
2- L’itinerario: giocoforza è legato a quanto scritto prima, ma non si fossilizza mai. Ieri ho cominciato un Corso di incisione in vari materiali. Il clou è stato il “percorso” che ho tentato di incidere in una piccola lastra di zinco: niente a che vedere con tutto quello che la giornata mi aveva trasmesso, ma la mia mano ha cercato di incidere, senza che lo avessi programmato, il mio itinerario interiore, risalente a… temporibus illis. L’alternarsidi linee, di tondi, di spigoli e quant’altro raffigurano il mio vissuto molto personale e nascosto. Quando l’acido mi ha permesso di ritoccare con mano il lavoro fatto, mi sono commossa: non era mia intenzione condividere con gli altri la mia vita che non ho spiegato, se non con qualche riferimento qua e là. Simili percorsi, simili itinerari hanno un rovescio quasi immediato: mi sentivo così stanca, alla fine, che mi pesava uscire dall’atelier e arrivare alla macchina…
Grazie per gli stimoli che ci regali a larghe mani.
Sarei venuta molto volentieri a vedere Ombre rosse, che quasi non ricordo, ma ho un appuntamento al MASI, al LAC, per una visita guidata e accompagnata da musiche e letture. Sarà per la prossima occasione.
Buon 2017 a te e alla tua famiglia!
Bellissima testimonianza, che mi ha fatto molto riflettere! Ho capito che devo lavorare sullo sguardo interiore, e anche che bisogna rifletterci sull’itinerario, non darlo per scontato, e che a volte anche un film western aiuta (che io poi di western ne ho visti pochissimi!). Grazie!
Ciao Raffaella! Le tue osservazioni ai miei post sono sempre interessanti, e mi stimolano a ulteriori riflessioni, dandomi nuove idee su cui lavorare. (Le altre osservazioni mi erano pervenute in via privata; ti ringrazio di avere reso pubblico questo tuo pensiero di oggi). In fondo, è anche questo il bello di un blog: avviare un dialogo, come un diario che sia nello stesso tempo personale e condiviso, una sorta di taccuino di appunti in presa diretta. Grazie mille, e buon anno anche a te!