Periferia

È un periodo con tanti impegni e poche idee. Avrei diverse cose da scrivere, ma è difficile trovare quello spazio intimo, anche mentale, quella stanza tutta per sé in cui accogliere personaggi e storie. Presentazioni, laboratori, incontri: la parte pubblica della vita di uno scrittore – ossia ciò che si fa anche per sbarcare il lunario – a volte rischia di sommergere il tempo vuoto, la lentezza di pensiero necessaria a scoprire un’idea, a levigarla, a trasformarla in qualcosa di concreto. In questi casi, uno dei rimedi che cerco di mettere in atto consiste nel camminare. Non si tratta di jogging (quello non aiuta) né di trasferimenti a piedi da un luogo all’altro, né di passeggiate o escursioni con una meta ben precisa.
img_8155L’idea è quella di camminare a caso. Ma ho notato che i miei vagabondaggi, in qualunque città mi trovi, tendono a portarmi verso la periferia. Mi piace in particolare quella zona in cui le città cominciano a sfilacciarsi, a mostrare un aspetto meno rigido, come se conservassero un ricordo di campagna. Ci sono appezzamenti di terreno vuoti, distributori di benzina, supermercati e complessi residenziali che si svuotano ogni mattina per riempirsi di nuovo in serata. Il momento più interessante, per i vagabondaggi periferici, è proprio quello del Grande Ritorno. Nella calma pomeridiana, per le strade girano soprattutto anziani, gruppi di adolescenti o genitori muniti di carrozzina. Poi, mentre si fa buio, arriva l’ora in cui le macchine appaiono sui vialetti, e con un sommesso ronzio le porte dei garage annunciano che il pomeriggio sta diventando sera.
img_8166Nella mia città ci sono un paio di punti in cui posso contemplare dall’alto un complesso residenziale (in periferia, ma non solo). Allora mi sento nello stesso tempo lontano dal mondo e presente in ogni gesto, in ogni sbattere di portiera, strillo di bambino, cigolio di cancello o fruscio di bicicletta. Il rientro dalla giornata di lavoro significa la pace? È il riposo dell’eroe che torna dal suo viaggio? Oppure è proprio a quest’ora che ogni eroe comincia la vera battaglia? In questi momenti, scrive Cesare Viviani, ci si affanna a smontare / e a rimontare il vero.
img_8105Che cosa significa questo lavoro, questo incessante interrogare il mondo? Non è soltanto il gesto della scrittura: è qualcosa che parte prima della scrittura, in un certo senso, e che finisce dopo. È quell’inquietudine che tiene desto l’eroe: infatti non basta sconfiggere il drago – o essere sconfitti dal drago, perché capita anche questo. C’è bisogno pure di interrogarlo, questo drago, per capire il senso del proprio combattere, del proprio viaggiare. Ogni volta che si arriva a un punto fermo, la ricerca non si placa; anzi, si fa ancora più intensa. Ciò che mi spinge a scrivere, non è il desiderio di svelare il mistero, ma quello di approfondirlo. Scrivendo ho l’impressione di costruire qualcosa di mio, qualcosa di vasto e ramificato; e subito, appena ho dato vita a questo insieme di voci, sento che si allontana, che non è più mio. Scrivere è acquisto e perdita, sempre, così come in un certo senso è tutta la nostra esistenza. Ho trovato questo sentimento in una lirica intitolata Scrivere romanzi, che la poetessa Daria Menicanti dedicò all’amica Lalla Romano (qui in formato pdf).
img_8135Ecco, scrivere è come osservare l’ora del Grande Ritorno. I personaggi seguono il loro destino. Percepisco una vicinanza fra me e loro, e tuttavia mi rendo conto che sono degli sconosciuti: parlano di cose che non so e stanno per entrare in sale da pranzo che non vedrò mai, fieri della loro cucina abitabile o della macchina nuova. img_8169Qualcuno sarà felice, incredibilmente felice in una sera d’inverno, qualcun altro invece nasconde la propria disperazione. C’è chi si lascia avvolgere dalla quotidianità come da una coperta, chi si addormenta sul divano, chi si affanna a smontare / e a rimontare il vero, chi si orienta nel trito di un tremante arcobaleno.
Non è sempre facile cercare le parole per ognuno di loro, liberare dentro di me lo spazio per accogliere queste parole; soprattutto, trovare la fiducia e la speranza perché valga la pena pronunciarle. Qualche volta, quando non ho parole, mi dico che il silenzio contribuisce alla scrittura. E immagino che ogni passo sui vialetti, ogni abbraccio sulla soglia, ogni sigaretta fumata sul balconcino faccia parte di una sola canzone, fatta di accordi in maggiore e in minore, con un suo ritmo, una sua armonia segreta che ogni tanto si rivela, ogni tanto si nasconde.
Proprio in uno spazio di periferia, Ben Wendel (sax) e Ambrose Akinmusire (tromba) hanno provato a dare voce a questa canzone, a queste domande.

PS: L’espressione una stanza tutta per sé è ripresa da Virginia Woolf (ne ho parlato qui). La lirica di Cesare Viviani è tratta da Osare dire (Einaudi 2016). Quella di Daria Menicanti proviene da Lalla Romano e Daria Menicanti: «mentre tu scrivi», a cura di Antonio Ria e Serena Savini, edito nel 2012 da Mimesis Centro Internazionale Insubrico come catalogo di una mostra dedicata alle due autrici.

PPS: Il video con Ben Wendel e Ambrose Akinmusire, registrato in una zona desolata di Los Angeles, vuole suscitare l’atmosfera del mese di dicembre. Secondo Ben Wendel, è un tempo per riflettere e per guardarsi indietro. È tratto dal progetto The Seasons (2015), dello stesso Wendel: sono dodici video per dodici mesi, ognuno con un approccio diverso; lo spunto è nato da Le stagioni, 12 pezzi per pianoforte composti da Čajkovskij nel 1876. Ben Wendel, che ha scritto la musica, duetta ogni mese con un artista che sente affine. Trovate qui la presentazione del progetto (in inglese) insieme a tutti i video in alta definizione. Ecco qui, invece, un commento sul mese di dicembre (sempre in inglese). Di Ben Wendel consiglio anche l’album What we bring, pubblicato qualche settimana fa da Motéma Music.

PPPS: Per chi non vedesse le immagini, ecco il testo completo della poesia di Viviani che ho citato sopra: Quando il cielo si tinge di nero, / a buio, / gli affaticati che ottengono / un giusto riposo a casa / non siamo noi, affannati a somontare / e a rimontare il vero.

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10 pensieri su “Periferia

  1. Riflessioni al volo: ” ogni volta che si arriva ad un punto fermo…” per me non è più necessario approfondire la ricerca, il punto fermo è come la soluzione ad un’equazione. Verificato il risultato, la serenità prende il posto dell’inquietudine, e posso andare avanti.
    E, per me è il mese di novembre, quello per riflettere e guardarsi indietro: l’anno sta andando verso la fine, cosa ne ho fatto? Dicembre invece porta la promessa di gennaio, di novità. Ciao

    1. Ma non c’è un’inquietudine che prosegue anche dopo aver toccato il punto fermo? Non è per forza negativa, ma è come la consapevolezza che – per quanto siamo sereni – abbiamo in noi una inevitabile incompiutezza.
      Sul mese di novembre sono d’accordo: sembra più propizio per guardarsi alle spalle. (Devo andare a riascoltare che cosa propone Ben Wendel in novembre). In generale, comunque, guardare indietro è sempre pericoloso. Meglio avanzare, quando si può…
      Ciao, buona serata!

  2. Bellissimo post! Secondo me c’è chi arriva a casa e dorme tranquillo. E c’è chi smonta e rimonta il vero, i pensieri, i fatti e gli incontri della giornata. Certe volte è dura, ma però è anche bello. Io faccio parte di questa seconda categoria! 😉🙂

  3. Seppure difficilmente trovi il tuo spazio per scrivere, facilmente trovo lo spazio per leggerti: grazie per il tempo che dedichi anche a me.
    Buona scrittura.
    Giuseppe

  4. Mi capita spesso di svolgere mentalmente un tema che era nella terna di un esame di parecchi anni fa. Il titolo era pressapoco questo: “Dalla finestra osservo i passanti”. Io allora l’avevo scartato perché giudicato troppo impegnativo, cioè da non trattare in maniera banale. Forse per uno strano senso di colpa ogni tanto mi sorprendo a svolgerlo ora. Mi immagino di essere in una cittadina di provincia, come ai tempi di quell’esame, dietro ai vetri di una finestra che da sulla piazza. È mattina e la gente si muove in fretta. Qualcuno si prepara a deporre la faccia privata per indossare la maschera del ruolo, a smontare / e a rimontare il vero, appunto. Sono facce stralunate, allegre, beffarde, ma ciascuna è un mistero. Un pozzo senza fondo che vorresti sondare, un pozzo che ti attrae e ti da le vertigini. Forse per questo allora, ho scartato quel tema.

    1. Grazie per questo pensiero, che suggerisce un prezioso spunto di scrittura. È proprio vero: “Dalla finestra osservo i passanti” è un tema semplice e al tempo stesso difficilissimo. Proprio perché ogni faccia, ogni movimento, ogni passo attraverso la piazza è un profondo mistero. Secondo me la scrittura non è un modo per svelarlo o per risolverlo, ma per approfondirlo.

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