Le audiocassette di Contini

Ieri sera ho presentato L’arte del fallimento all’Università di Zurigo. Nell’aula D31, oltre a insegnanti, studenti, lettori e curiosi, c’era un personaggio fatto di aria e memoria. Era ben presente, seduto sul bordo di un tavolo, ma anche intangibile, congelato in un altrove più lontano delle galassie, più remoto dello spazio profondo. Quel ragazzo, studente in quella stessa Università nei primi anni dopo il 2000, non poteva essere lì. Eppure c’era. Annuiva impassibile, come se mi ascoltasse, ma si vedeva benissimo che stava pensando ad altro. Aveva nella testa un investigatore privato di nome Elia Contini (gli piaceva il suono di quelle tre “i”) e stava scrivendo una storia su di lui. Una storia? Un romanzo, addirittura.
BarcheZhTornare dove tutto è cominciato è sempre un’operazione rischiosa. Amo la città di Zurigo, il suo fiume, i suoi ponti, il suo cielo vasto e mutevole. Conosco le vie, i posti dove mangiare e quelli dove starsene da soli – come ogni città, anche Zurigo ha i suoi angoli di campagna, che resistono fra i tram e i negozi di telefonia mobile. Ho amici con cui tirare tardi e scolare pinte di birra (magari una di troppo, ieri sera). Ho strade dove mi piace tornare e altre che credevo di avere dimenticato. Ma soprattutto, il luogo dove ho trascorso i miei anni di studente mi offre l’opportunità di un rendiconto. Lo sguardo degli altri mi permette di capire meglio il lavoro che sto facendo; ma anche lo sguardo indietro verso il passato – purché non mi soffermi troppo a lungo – mi aiuta a dare sostanza alle narrazioni.
StudentiZhLa professoressa Tatiana Crivelli e il professor Nunzio La Fauci (che ieri mi ha insegnato un detto siciliano sul fallimento) hanno incrociato la mia strada all’inizio, quando stavo rimuginando la mia prima storia, e di nuovo ieri sera, quando fingendo di parlare dell’ultima storia stavo già provando a rimuginare la prossima. Ecco, questo è il punto: la prossima storia. Parlando e passeggiando con qualche amico, prima e dopo l’incontro, mi sono reso conto che le divagazioni e i pensieri in apparenza assurdi hanno il valore di ancorarci al presente, anche nei luoghi che per vicenda personale sono intrisi di passato. Più che riflettere sulle vicende che mi hanno portato a creare i miei personaggi, m’interessa coglierne di nuovi. Perché ieri pomeriggio un uomo, in una viuzza del Niederdorf, stava bagnando con l’annaffiatoio il davanzale di una finestra? Non c’erano vasi, non c’erano fiori, ma lui era intento nell’innaffiare, meticoloso, come se coltivasse qualcosa d’invisibile.
TramontoZhTutto sta in queste immagini, in questi incontri fortuiti.
Nei giorni scorsi mi ha scritto una lettrice a proposito di un mio articolo uscito qualche tempo fa sul sito “Il Libraio”. È un testo che presenta dieci investigatori presi da altrettanti romanzi polizieschi, rappresentando ognuno di loro con un oggetto caratteristico (trovate qui l’articolo). E il suo Elia Contini, mi ha chiesto la lettrice, con quale oggetto si potrebbe rappresentare? Non è una domanda facile. Ho pensato a qualcosa che abbia a che fare con le volpi o con le zattere di legno che Contini si diverte a costruire, ma poi mi sono detto: perché non le audiocassette?
image1Il mio investigatore è refrattario alla tecnologia. Ama le piccole azioni concrete, quelle che implicano toccare cose e spostare oggetti. Non gli piace scorrere il dito sugli schermi, non sopporta le macchine che creano link e connessioni, che incrociano dati e immagini in un mondo dove non si può camminare, ma tuttalpiù navigare virtualmente. Di sicuro è un atteggiamento infantile: perché ostinarsi ad ascoltare la musica sulle audiocassette, quando esistono impianti ben più sofisticati? La mia risposta è: non lo so. Non posso spiegare perché Contini sia fatto in questo modo, così come non so perché un uomo a Zurigo annaffiasse una finestra. Io non ascolto più le audiocassette, Contini invece sì. Il fatto che sia un personaggio creato da me, dopotutto, non significa che io conosca ogni suo segreto. E magari è giusto così: si scrive per approfondire il mistero, non per svelarlo. Tornerò a raccontare una storia con Elia Contini? Non so nemmeno questo. Forse sì, forse invece non mi capiterà più. In fondo l’importante non è scrivere di lui, ma sapere che lui è là fuori – da qualche parte nei boschi intorno a Corvesco – e che, fra un’audiocassetta e l’altra, continua a camminare.

Contini stesso non era un fallito? Alla sua età non aveva un vero mestiere, una vera storia professionale, ma si arrabattava accettando casi che un’agenzia seria avrebbe subito respinto al mittente. Chi era lui per avere pietà di Mario? Ripensò ai nomi sulla lapide e ai desideri che quelle persone avevano rincorso per tutta la vita, e qualche volta realizzato. Tutto era svanito come un miraggio, mentre chissà perché Contini aveva l’impressione che le sconfitte avessero più consistenza. Che cosa resta di te, alla fine? Ciò che hai posseduto o magari invece ciò che non hai mai avuto, ciò che hai sperato… o magari disperato?
Ecco il genere di domande a cui di solito rispondeva senza parole, andando a camminare nei boschi.
Sulla via del ritorno, propose a Francesca di ascoltare un po’ di musica. Ora che guidava lei, per Contini non era facile propinarle Brel, Brassens e Aznavour. Lei però non si spingeva fino a fargli ascoltare i Coldplay e così cercavano un compromesso.
«Si chiamano Timber Timbre. Cantano in inglese, ma forse ti piacciono lo stesso…»
«Timber Timbre. Che razza di nome è?»
La musica però non era male. Atmosfere profonde come un dirupo e un cantante dalla voce bassa, cavernosa. Un brano in particolare, Grand Canyon, liberò spazio nella mente di Contini mentre guardava il paesaggio scorrere dai finestrini. Era cresciuto in un territorio piccolo, fitto di montagne e campanili. E chissà che alla fine di lui non potesse restare invece la nostalgia per le pianure sconfinate, per un orizzonte aperto e selvaggio, sempre nuovo…

PS: Il testo con Elia Contini proviene dal romanzo L’arte del fallimento (capitolo 40, “Grand Canyon”, pagine 171-72). Il brano Grand Canyon è tratto dall’album Hot Dreams, pubblicato dai Timber Timbre nel 2014.

PPS: Grazie a Elena Biaggio per le fotografie di Zurigo. E grazie a Yari Bernasconi: non solo per aver condiviso con me la conferenza, ma soprattutto per aver notato l’uomo che annaffia le finestre!

PPPS: Il detto del professor La Fauci suggerisce di guardare al fallimento come a una forma di salvamento. Non è un vero e proprio proverbio, ma un’osservazione, un’arguzia che lo stesso La Fauci ha avuto modo di ascoltare in Sicilia, durante la giovinezza. Avulso dal contesto, suggellato dalla rima, il detto a mio parere assume quasi il valore di un autentico proverbio. Mi sembra infatti portatore di una verità non banale: a volte, nella vita, le cose si aggiustano proprio nel momento in cui falliscono (ne avevo già parlato qui).

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2 pensieri su “Le audiocassette di Contini

  1. Hmmm, sono rimasta impigliata da qualche parte su quel davanzale della finestra accuratamente innaffiato. Ti chiedevi come mai e che ragione vi potesse essere… Ma tu stavi di sotto, non potevi vedere bene…. Forse era successo un piccolo crimine… Aveva schiacciato delle formiche o le aveva uccise con lo spray… Adesso stava accuratamente togliendo ogni traccia e stava lì, con questo rivolo d’acqua che raccoglieva i suoi pensieri e li incamminava verso il basso…. e come a voler essere certo che pure quell’odore dolciastro sarebbe scomparso…

    1. Però! Cancellare le tracce di un omicidio così, con l’annaffiatoio, mentre a pochi passi la gente passeggia ignara… Basta poco perché nasca una storia!
      Grazie per lo spunto; un cordiale saluto,
      Andrea

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